Chi meglio di uno scrittore dalla penna tanto geniale come Philip Roth per mettere nero su bianco una delle relazioni, quella tra padri e figli, più complesse?
Una relazione difficile e su cui riflettere perché destinata – per ciascuno di noi – a sancire il nostro “posto” nel mondo, il nostro ruolo e a scandire il senso del tempo che passa.
Philip Roth in “Patrimonio” affronta, nel racconto di suo padre che si ammala e poi muore, l’idea di prendere il posto dei nostri genitori anziani quando questi non ci sono più, e di com’è, da genitori anziani, lasciare che siano i nostri figli a prendersi cura di noi quando ne abbiamo bisogno; è il racconto di cosa resta a chi rimane, di quale sia il nostro lascito, l’eredità, e la cura che questa eredità comporta. Roth lo fa in un libro di poco meno di duecento pagine, pieno di amore, sentimento, e, come al suo solito, scrittura brillante e ironia.
È un libro un po’ speciale all’interno del nutrito corpus di opere di Philip Roth: anche se molti dei suoi libri sono intrisi di elementi autobiografici –  a partire dalla straordinaria vita letteraria del suo alter ego Nathan Zuckerman -, “Patrimonio” è una vera e propria riflessione autobiografica, e il suo sottotitolo, Una storia vera, non lascia dubbi in proposito.

È la storia dell’uomo, Philip, che utilizza i suoi grandissimi strumenti letterari per dipanare il filo del complesso legame con suo padre, e dell’eredità – tutta immateriale – che suo padre gli sta per lasciare, il patrimonio che gli ha saputo tramandare negli anni. Così seguiamo le vicende di Hermann Roth e della sua vita da pensionato in Florida, a West Palm Beach, dove decide di trasferirsi per l’inverno con la sua compagna Lil, con cui non vuole andare a vivere ma con cui accetta a fasi alterne, da uomo burbero qual è, di condividere una vita. Il libro racconta di come sia difficile e scomodo, tanto sia per il figlio Philip quanto per il padre Hermann, instaurare un nuovo equilibrio nel loro rapporto sia difficile scomodo, ma è anche il racconto di un un bel viaggio di riscoperta di sé. Ed entrano in gioco gli oggetti di famiglia, i racconti e gli aneddoti del clan Roth e di Newark e persino molte delle ambientazioni del Roth romanziere.
Commovente a tratti, intenso e spiritoso sempre, “Patrimonio” è un buon libro per riflettere sull’oscillazione del considerarsi figli, padri, e sul senso di straniamento che coglie da un lato nell’iniziare a curarsi dei propri genitori, dall’altro nel cedere il timone, e lasciare che siano i figli a condurci. C’è un passaggio del libro in cui assistiamo nitidamente a questa svolta: Philip si trova a cercare di convincere suo padre a seguirlo per fare una cosa e, innervosito, gli dice “Fallo e basta”: con sua somma sorpresa (e quasi costernazione) la cosa funziona.
Oltre al passaggio di testimone tra padre e figlio, Roth fa anche alcune riflessioni profonde sull’eredità, sui soldi, su come siano un veicolo di significati ben più profondi che non una possibile maggiore tranquillità economica, ma stiano a indicare un ruolo e un riconoscimento. Dunque, pur avendo detto da tempo a suo padre di non aver bisogno della sua parte dell’eredità, si trova spiazzato quando questo accade: “ora che la sua morte appariva tutt’altro che remota, sentirsi dire che aveva proceduto e che, in base alla mia richiesta, mi aveva praticamente cancellato dalla lista dei suoi eredi provocò una reazione improvvisa: mi sentii ripudiato (…) Volevo i soldi perché erano suoi, e perché ero suo figlio e avevo diritto alla mia parte, e li volevo perché erano, se non un vero e proprio pezzo della sua pellaccia, qualcosa di simile alla concretizzazione di tutti gli ostacoli che aveva superato”.

Perché leggerlo

Perché ha il pregio di toccare argomenti faticosi, scomodi e a volte scabrosi e di farlo con leggerezza. Perché è in grado di farci sorridere, ridere, e anche piangere, mettendo l’ironia e il genio di uno scrittore al servizio di una storia, che, ancor prima che vera, è autentica, e renderla densa di sentimento e di preziose occasioni di pensiero. Perché è un libro pieno di scene divertenti e incredibilmente veritiere, una per tutte la spassosissima conversazione tra Hermann e Philip su come scegliere un melone, che è in realtà un trattato sull’accettare l’imperfezione umana. Ma anche e soprattutto perché la penna dello scrittore Philip Roth ci presenta suo padre come un personaggio meraviglioso, un ritratto di una persona anziana piena di spirito, gioia, voglia di vivere, e capace di guidare suo figlio anche nel complicato compito di lasciare che sia lui a prendersene cura.

Come comincia

A ottantasei anni mio padre aveva perso quasi per intero la vista dall’occhio destro, ma per tutto il resto sembrava godere di una salute fenomenale per un uomo della sua età quando fu colpito da quella che il medico della Florida diagnosticò, sbagliando, come paralisi di Bell, un’infezione virale che provoca la paralisi, di solito temporanea, di un lato del viso.
La paralisi si manifestò di punto in bianco il giorno dopo che era volato dal New Jersey a West Palm Beach per trascorrere i mesi invernali condividendo un appartamento in subaffitto con una contabile settantenne in pensione, Lillian Beloff, che a Elizabeth abitava sopra di lui e con cui mio padre aveva intrecciato una relazione un anno dopo la morte di mia madre, nel 1981. All’aeroporto di West Palm si sentiva così bene che non si era nemmeno curato di cercare un facchino (al quale, perdipiù, avrebbe dovuto dare la mancia) e aveva portato da solo la valigia dall’area ricevimento bagagli fino al posteggio dei taxi. Poi, la mattina dopo, guardandosi nello specchio del bagno vide che metà del suo viso non era più sua. L’uomo che il giorno prima assomigliava a lui, ora non assomigliava più a nessuno (…)

Scheda Libro

AUTORE: Philip Roth
TITOLO: Patrimonio. Una storia vera
TRADUZIONE: Vincenzo Mantovani
EDITORE: Einaudi

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