Riferimento bibliografico

Brunelli L, Davin A, Sestito G, Mimmi MC, De Simone G, Balducci C, et al. Plasmatic Hippuric Acid as a Hallmark of Frailty in an Italian Cohort: The Mediation Effect of Fruit–Vegetable Intake. Journals of Gerontology: Biological Sciences.  2021, Vol. XX, No. XX. https://doi.org/10.1093/gerona/glab244

In sintesi

La “Frailty syndrome”, traducibile in italiano con Sindrome da Fragilità nell’anziano, è una condizione correlata all’età che porta l’individuo ad una perdita della capacità di adattarsi alle situazioni che lo circondano, ad una maggiore predisposizione ad ammalarsi e quindi, infine, ad una peggiore qualità di vita.

Gli autori hanno condotto uno studio di coorte su 130 persone di età compresa tra 76 e 78 anni (65 considerati in salute e 65 invece fragili); l’obiettivo principale dello studio è stato quello di individuare se nel plasma umano fosse presente qualche metabolita che fosse in relazione con il fenotipo “fragile”.

Il risultato più rilevante ottenuto è stato individuare l’acido ippurico come l’unico metabolita i cui livelli distinguono le persone in salute da quelle fragili. 

Questo risultato è stato poi correlato con la dieta  seguita dai partecipanti allo studio e si è notato che un importante consumo di frutta e verdura, unito a livelli elevati di acido ippurico, porta ad avere un Indice di Fragilità migliore

Il contesto e il punto di partenza

Con l’aumento sempre più elevato dell’aspettativa di vita sta  assumendo un’importanza sempre maggiore  il concetto di fragilità nell’anziano, che definisce una sindrome geriatrica caratterizzata da stanchezza, difficoltà psicologiche e perdita della capacità di resistere allo stress; questo porta quindi ad un’aumentata vulnerabilità della persona in questione rispetto ad outcomes di salute più negativi.

Per classificare il “Fenotipo Fragile” vengono attualmente utilizzati 5 parametri

  • perdita di peso
  • esaurimento psicofisico
  • stanchezza
  • lentezza nel cammino
  • ridotta attività fisica

Tuttavia mancano al momento dei criteri oggettivi per classificare chi ne sia affetto e con quale entità. 

Ci sono diversi fattori biologici implicati nella presentazione di questa sindrome, alcuni dei quali, come la disregolazione del processo infiammatorio, l’instabilità genomica, i cambiamenti epigenetici, lo stress ossidativo e la disfunzione mitocondriale sono stati identificati in vari studi sull’argomento.

Per trovare degli elementi oggettivi tramite i quali individuare e classificare questa condizione, risulta quindi necessario capire se esistano dei metaboliti responsabili dei processi identificati in precedenza, i quali possano legarsi in maniera univoca al concetto di fragilità.

Le caratteristiche dello studio

Gli autori hanno condotto uno studio longitudinale su di una popolazione di età compresa tra i 76 e 78 anni. Su tutti i partecipanti è stata condotta una valutazione multidimensionale mirata a caratterizzarne gli aspetti sociali, clinici e neuropsicologici. 

Per ogni partecipante è stato prelevato un campione di sangue per svolgere indagini biochimiche, biologiche e per l’estrazione del DNA. Tramite un questionario somministrato da intervistatori formati sono state invece raccolte le informazioni riguardanti sesso, età, livello di scolarità e alcune abitudini alimentari e sociali dei partecipanti. Lo studio ha avuto una durata di 4 anni dal 2010 al 2014

I risultati ottenuti

I 130 partecipanti sono stati suddivisi nei 2 gruppi (fragili e in forma) in modo che il rapporto maschi/femmine e il livello di scolarità degli individui fossero omogenei. Sono stati testati 347 diversi metaboliti. L’unico ad aver dato un valore molto differente nei 2 gruppi è stato l’acido ippurico

Per confermare questi risultati si è svolta una nuova indagine nel 2014 (la prima era stata eseguita nel 2010), che ha confermato questa differenza su 264 partecipanti (81 fragili, 59 prefragili e 124 in forma), infatti la concentrazione media di acido ippurico era di 3.67, 3.04 e 2.71 rispettivamente nel gruppo di persone in forma, prefragili e fragili. Si è notato inoltre dai questionari come i soggetti fragili  fossero accomunati da un consumo molto inferiore di frutta e verdura rispetto ai non fragili.

Limiti dello studio

Questo studio presenta diverse limitazioni: in primis mancano le informazioni sul microbioma che potrebbero far capire meglio le interazioni dell’acido ippurico con le altre componenti del microbioma stesso. 

In secondo luogo, per quel che concerne la dieta, non possiamo avere la certezza che le informazioni fornite dai partecipanti siano corrette in quanto autoriferite. 

Infine, la popolazione in esame era tutta residente ad Abbiategrasso, per cui si tratta di soggetti che probabilmente avevano abitudini alimentari e di vita simili e quindi ciò non rende possibile generalizzare lo studio in altri Paesi o anche solo in altre città.

Quali le novità e le prospettive

Questo studio correla per la prima volta i livelli di acido ippurico alla fragilità nell’anziano; inoltre evidenzia come non ci siano correlazioni tra questa e i metaboliti primari. In secondo luogo viene evidenziata la correlazione tra bassi livelli nel consumo di frutta e verdura e presenza di sindrome da fragilità.

Sarebbe necessario verificare il persistere di questi risultati in una popolazione maggiormente eterogenea, in modo da avere una più ampia varietà in termini sia genetici che di abitudini di vita, soprattutto alimentari.

A cura di Daniele Ceriotti

 


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