Riferimento bibliografico

Elisa Gentilotti, Anna Górska, Adriana Tami, Roy Gusinow, Massimo Mirandola, Jesús Rodríguez Baño et al. Clinical phenotypes and quality of life to define post-COVID-19 syndrome: a cluster analysis of the multinational, prospective ORCHESTRA cohort. EClinicalMedicine. 2023, July 21.

In sintesi

Sebbene l’emergenza sanitaria sia terminata, il COVID ci ha lasciato in eredità una sindrome definita “Long COVID”, che tuttora affligge milioni di persone in tutto il mondo, a distanza di mesi dall’infezione virale. Ancora oggi non ne sono ben chiari né i meccanismi patogenetici né lo spettro clinico: lo studio di cui ci occupiamo si inserisce in questo contesto, al fine di definire meglio la patologia, per identificare più precocemente i soggetti a rischio, sensibilizzare verso la necessità di campagne di supporto e follow up di questi pazienti e orientare le decisioni di politica sanitaria, nonché i futuri trattamenti per il long COVID.

Il contesto e il punto di partenza

La sindrome long-COVID (in inglese PCS, Post-COVID Syndrome) è una complessa condizione clinica a patogenesi ancora non ben nota, la cui incidenza è stimata intorno al 10% dei pazienti affetti da COVID, corrispondente a circa 65 milioni di persone. In accordo con l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la PCS è definita come la comparsa di sintomi a distanza di circa 3 mesi da un’infezione acuta da Sars-CoV-2. I sintomi possono essere persistenti, fluttuanti, recidivanti, e non spiegati da una diagnosi alternativa. Sono molto diversificati: comprendono astenia, dolori muscoloscheletrici, deficit di attenzione e della memoria a breve termine, disturbi respiratori. Dato che sono estremamente aspecifici e che non ne è ancora chiara la patogenesi, un corretto inquadramento diagnostico risulta difficile. In questo contesto, lo studio ha l’obiettivo di investigare i fattori di rischio e protettivi per l’insorgenza della PCS in base al fenotipo clinico, alle caratteristiche del paziente e alle sue comorbidità, alla gravità. della malattia COVID, al trattamento ricevuto e allo stato vaccinale.

Le caratteristiche dello studio

Lo studio ORCHESTRA è uno studio prospettico multicentrico, che ha incluso 6 coorti di pazienti provenienti da 56 centri appartenenti a 5 Paesi (Francia, Italia, Paesi Bassi, Spagna e Argentina). I pazienti sono stati arruolati dal febbraio 2020 al giugno 2022. Lo studio ha riguardato pazienti affetti da Sars-CoV-2, sia ospedalieri sia ambulatoriali, di età superiore a 14 anni, seguiti con visite cliniche e prelievi di laboratorio in un follow up a 3, 6, 12 mesi dall’infezione. I controlli riguardavano sia parametri sierologici, virologici, laboratoristici, sia una valutazione clinica e globale del paziente alle visite di follow up. I dati sono stati raccolti in un database REDCap e per la loro elaborazione sono state utilizzate tecniche di statistica avanzate come l’analisi fattoriale e il machine learning.

I risultati ottenuti

Dai risultati della ricerca emerge che la sindrome long COVID è caratterizzata, a partire da diversi meccanismi patogenetici, da una combinazione di sintomi con un differente impatto sulla qualità della vita. Dei 1.796 pazienti il 57% ha riportato almeno un sintomo a 12 mesi di distanza. All’interno della variabilità dell’espressione clinica sono stati definiti quattro quadri clinici (cluster) differenti, che definiscono quattro forme di long Covid: la sindrome da affaticamento cronico, la stanchezza respiratoria, la sindrome da dolore cronico e la sindrome neurosensoriale. Nella statistica è risultato che le donne hanno un rischio maggiore di dolore e fatica cronica. Tra i fattori di rischio per la PCS ci sono i sintomi d’esordio del COVID, specialmente se neurologici. Il sesso femminile, i sintomi gastrointestinali (ad indicare forse un coinvolgimento del microbioma) e il danno renale sono fattori di rischio per un quadro più grave di PCS. Tra i fattori protettivi si annoverano la terapia steroidea durante la fase acuta di malattia e l’utilizzo precoce degli anticorpi monoclonali.

Limiti dello studio

I limiti dello studio, secondo gli autori, sono legati alla elevata proporzione di pazienti ospedalizzati rispetto ai pazienti ambulatoriali; ciò riflette l’arruolamento di pazienti avvenuto soprattutto nelle prime due ondate. In secondo luogo, l’aspecificità di sintomi come l’astenia, che è difficilmente valutabile con misurazioni obiettive, può portare a sovrastimare la PCS con una certa facilità. Infine, un ulteriore limite dello studio riguarda la carenza di dati sull’effetto dei trattamenti antivirali, che sono stati introdotti solo tardivamente, rispetto ai trattamenti con anticorpi monoclonali compresi nello studio.

Quali le novità

L’elemento più innovativo dello studio è quello di proporre una nuova definizione di long COVID: si tratta di una nuova classificazione clinica basata sulla severità della malattia, sulle caratteristiche cliniche ed epidemiologiche dei pazienti e sull’impatto sulla qualità della vita a 12 mesi dall’infezione.

Quali le prospettive

Anche se la pandemia di COVID 19 volge al termine e non è più un’emergenza di salute pubblica, il numero di individui che soffriranno negli anni a venire a causa della PCS rimarrà comunque elevato e non è eticamente corretto limitare la ricerca di base e clinica in questo campo. Studi come questo hanno il fine di facilitare l’identificazione precoce dei pazienti a rischio di PCS, il loro arruolamento in protocolli di follow up e la loro inclusione in trial per nuovi trattamenti, allo scopo di garantire loro un’adeguata assistenza sanitaria.

 

A cura di Mattia Perazzi


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