Tra il 2019 e il 2030, si prevede che il numero di persone con più di 60 anni crescerà del 38%, passando da 1 miliardo a 1,4 miliardi, superando il numero di giovani a livello globale: questo rapido cambiamento rappresenta una sfida anche dal punto di vista giuridico. L’anziano è nuovo soggetto giuridico portatore di istanze e bisogni diversi. Ne abbiamo parlato con la professoressa Bianca Gardella Tedeschi, docente di diritto privato comparato presso l’Università del Piemonte Orientale

Professoressa, perché inquadrare il tema dell’invecchiamento da un punto di vista giuridico?

Perché le norme giuridiche determinano come ci muoviamo nel mondo: possono renderci la vita più difficile o più facile, possono tutelarci oppure possono offenderci, se non rispettano la nostra dignità. Con la transizione demografica che stiamo vivendo, con l’aumento dell’aspettativa di vita, la società è cambiata e le leggi che abbiamo potrebbero non essere più adatte, sia da un punto di vista individuale sia sociale.

Si tratta di un campo ancora in larga parte inesplorato, in cui sono più le domande che le risposte e serve una particolare precauzione per evitare i pregiudizi.
Perché non abbiamo dubbi sulla capacità giuridica di un diciottenne, mentre se si tratta di un centenario siamo pronti a mettere in discussione la sua capacità di prendere decisioni? Si tratta di una forma di discriminazione? Eppure esistono, è un dato di fatto, fragilità nell’anziano che ci fanno riflettere sulla necessità di specifiche tutele o normative: basti pensare al moltiplicarsi delle truffe ai danni degli anziani o ai bisogni in ambito sanitario di una popolazione che più avanza con gli anni più accumula patologie e disabilità.

Per questo è importante che il diritto dialoghi con le altre discipline che si occupano di aging per comprendere questo cambiamento e poter, eventualmente, ridefinire le norme giuridiche.  Per esempio la medicina e la ricerca nell’ambito delle neuroscienze possono fornire informazioni utili per comprendere come il declino funzionale e cognitivo dell’anziano possa avere un impatto sulla capacità di prendere decisioni in autonomia, la sociologia e la psicologia possono aiutarci a comprendere quali sono i bisogni e le difficoltà affrontate dagli anziani.

L’anziano può essere considerato un nuovo soggetto giuridico?

Data la complessità della società, il diritto è chiamato a ridefinire il concetto di persona per includere le diverse sfaccettature che l’avanzamento dell’età aggiunge alla personalità di ciascuno. È necessario comprendere dove e come si possa intervenire per dare spazio al “nuovo” soggetto della società, in modo da prendere in conto le sue istanze e i suoi bisogni.

Lo stato giuridico di una persona attualmente ha un solo grande spartiacque, quello della maggiore età. Significa che tutti nascono con una capacità giuridica, ma la capacità di porre in essere tutti i diritti e i doveri scatta solo dopo i 18 anni, automaticamente senza bisogno di indagini specifiche, e dura per tutta la vita. Questo stato è per sempre, a meno che venga meno la capacità di intendere e volere e a quel punto potranno essere chiamati in causa gli istituti della incapacità o dell’amministrazione di sostegno.
In pratica, da un punto di vista giuridico non esiste un momento in cui si diventa anziani.  Esistono, però, normative correlate all’età avanzata. Per esempio, per la fideiussione, l’età rilevante sono i 75 anni alla fine dell’ammortamento, ma alcune banche accettano anche 80 o 85. In ogni caso, se la garanzia venisse richiesta il soggetto anziano si troverebbe in gravi difficoltà economiche. Il pensionamento è sicuramente una tappa importante anche da un punto di vista giuridico, che potrebbe essere presa in considerazione come criterio, ma il pensionamento di per sé non implica l’esigenza di  normative specifiche che aiutino l’anziano a vivere meglio.

La complessità di definire l’anziano come categoria possiamo sperimentarla anche empiricamente se invece che ragionare in astratto proviamo a pensare a un nostro amico, familiare o collega: a che età ci sembra appropriato definirlo “vecchio”? e noi? quando ci sembrerebbe giusto poter essere classificati come anziani?

Gli abusi sugli anziani

Il 15 giugno ricorre la Giornata Internazionale per la consapevolezza degli abusi sugli anziani, istituita dalle Nazioni Unite nel 2011 (resolution A/RES/66/127)
Secondo l’OMS, si stima che circa 1 persona su 6 con più di 60 anni subisca abusi, circa 141 milioni di persone in tutto il mondo, un dato sicuramente sottostimato perché si tratta di un tipo di violenza nascosta e spesso non denunciata.
Per abuso si intende un atto singolo o ripetuto o la mancanza di un’azione appropriata, che si verifica all’interno di qualsiasi relazione in cui c’è un’aspettativa di fiducia, che causa danno o sofferenza a una persona anziana. Questo tipo di violenza costituisce una violazione dei diritti umani.
Si distinguono diversi tipi di abusi: fisici, sessuali, psicologici ed emotivi; abusi finanziari e materiali; abbandono; negligenza; grave perdita di dignità e rispetto. Ci sono poi gli atti di abuso all’interno degli istituti di cura e delle RSA: l’immobilizzazione fisica dei pazienti, la privazione della loro dignità (per esempio, lasciandoli in abiti sporchi), cure insufficienti (come la possibilità di sviluppare piaghe da decubito); l’eccesso o la mancanza di cure mediche, l’abbandono e l’abuso emotivo.
I fattori di rischio si possono individuare a livello individuale (stato di salute fisica e mentale), relazionale (dipendenza economica, istituzionalizzazione…) e di comunità (isolamento sociale). Tra i fattori socio-culturali che possono influenzare il rischio di abuso sugli anziani ci sono:

  •  stereotipi ageisti in cui gli adulti anziani sono rappresentati come fragili, deboli e dipendenti;
  • erosione dei legami familiari intergenerazionali;
  • sistemi di eredità e diritti fondiari, che influenzano la distribuzione del potere e dei beni materiali all’interno delle famiglie;
  • la migrazione delle giovani coppie, che lasciano i genitori anziani da soli in società in cui gli anziani sono tradizionalmente curati dalla loro prole;
  • mancanza di fondi per pagare le cure.

All’interno degli istituti di cura è più probabile che si verifichino abusi dove:

  • gli standard per l’assistenza sanitaria, i servizi sociali e le strutture di assistenza per gli anziani sono bassi;
  • il personale è scarsamente preparato, retribuito e sovraccarico di lavoro;
  • l’ambiente fisico è poco curato;
  • le politiche operano nell’interesse dell’istituzione piuttosto che dei residenti.

 Chi si occupa del diritto degli anziani oggi?

Tra i primi a occuparsene a livello economico e giuridico è stata l’Unione Europea, fin dal 2004. A partire dalla constatazione dell’invecchiamento della popolazione e della crescita degli indici di dipendenza, l’Unione Europea si è posta il problema di come sostenere un welfare sempre più costoso in termini di pensioni, sanità, assistenza a lungo termine: è stato creato il Working group on aging population and sustainability , il 2012 è stato proclamato anno dell’Active aging e della solidarietà intergenerazionale in tema di occupazione, partecipazione alla società e indipendenza. La solidarietà intergenerazionale è uno dei principi dell’UE e la carta dei diritti dell’Unione Europea all’articolo 25 parla di diritti degli anziani, affermando che “l’Unione riconosce e rispetta il diritto degli anziani di condurre una vita dignitosa e indipendente e di partecipare alla vita sociale e culturale ” a cui si aggiunge il divieto di discriminazione in base all’età (articolo 21).

Gli Stati Uniti sono la patria della Elder Law che emerge intorno agli anni Novanta e ha ad oggi una sua autonomia e tradizione anche in ambito accademico: si tratta di un’area del diritto che nasce da esigenze pratiche, con un approccio squisitamente patrimoniale. Si occupa, oltre che di questioni patrimoniali, di scelte per le strategie di cura, assicurazioni sanitarie e violenza sugli anziani. Manca però di un framework teorico complessivo: questa è la critica alla Elder Law posta da Israel Doron, direttore del Center for Aging Studies, dell’Università di Haifa e fondatore della Jurisprudencial Gerontology.  La gerontologia giuridica attraverso lo sviluppo di una teoria dell’invecchiamento in ambito giurisprudenziale si propone di guadagnare uno sguardo d’insieme sul fenomeno e giustificare scientificamente i contenuti delle leggi, anche attraverso quell’approccio interdisciplinare di cui parlavamo.

Da un punto di vista normativo in Europa per nessun ordinamento l’anziano è un vero e proprio soggetto giuridico, abbiamo soltanto normative specifiche nei diversi Paesi.

In che modo possono tradursi in pratica il rispetto della dignità e la tutela dei diritti degli anziani?

Il mio parere personale è che, in assenza di criteri medico-scientifici che possano definire la categoria di anziano, è necessario affrontare il problema con un approccio contestualizzante. Non è pensabile una normativa generale che tuteli l’anziano, perché ci sono moltissime differenze anche a parità di età tra gli anziani e una regola generale finirebbe per danneggiare i singoli. Per questo la strada migliore, che garantisce il rispetto della dignità di tutti, è quella di apportare piccole ma significative modifiche al contesto che mirano a rendere la vita più facile alle persone fragili, cambiare il mondo in cui viviamo per renderlo più a misura di anziano. È lo stesso approccio della rimozione delle barriere architettoniche per i disabili o dell’introduzione di caratteri più grandi per gli ipovedenti.

C’è qualche altro intervento che a suo avviso potrebbe migliorare la tutela dei diritti dei cittadini in età avanzata?

Il paradigma dell’healthy aging ci può venire in aiuto: l’invecchiamento è un processo graduale in cui è importante garantire la qualità della vita. Per fare in modo che sia un processo positivo, si potrebbe lavorare non solo sulla protezione e la tutela, ma anche sull’empowerment del cittadino anziano, per favorire una partecipazione attiva alla vita sociale. Per esempio si potrebbero pensare percorsi educativi, che permettano alle persone che invecchiano di maturare consapevolezza in merito ai propri diritti e ai doveri.
Allo stesso modo, anche un’educazione finanziaria, all’utilizzo delle nuove tecnologie e, perché no, alla decisione politica potrebbero contribuire a una migliore qualità della vita. Oltre ad essere un modo per affrontare le decisioni relative alla vecchiaia in modo consapevole, la formazione è un ottimo strumento per mantenere allenata la mente e contrastare il declino cognitivo, ma su questo lascio la parola a medici e neuroscienziati.

Cosa si può fare per contrastare lo stigma e i pregiudizi contro gli anziani?

Contrastare lo stigma significa ripensare e valorizzare l’utilità sociale dell’anziano. Per esempio sul lavoro: se l’età della pensione per molti è un traguardo che non può essere posticipato, per altri rinunciare al lavoro solo a causa dell’anzianità può essere frustrante e a livello sociale potrebbe essere svantaggioso, uno spreco di risorse. Penso per esempio al mio contesto: in università sono in molti a voler proseguire con l’insegnamento anche perché grazie all’esperienza accumulata negli anni i docenti hanno molto di più da offrire agli studenti.

In Europa esiste un importante centro di ricerca il Norma Elder Law Research Environment dell’università di Lund in Svezia, che è nato come gruppo di studio per avvicinare il tema del diritto dell’anziano rispetto alle pensioni, e oggi si occupa di legal empowerment dei lavoratori anziani, di cittadini anziani autosufficienti e di immigrati anziani, sottolineando l’importanza dell’integrazione nel mondo del lavoro per garantire la dignità delle persone anziane.

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