Cosa sappiamo della vecchiaia in età antica da un punto di vista medico? Esisteva una medicina geriatrica? E quanto le indicazioni per una buona vecchiaia possono ancora oggi essere considerate valide?
Ne abbiamo parlato con la dottoressa Alice Borgna, ricercatrice in Letteratura Latina presso il Dipartimento di studi umanistici dell’Università del Piemonte Orientale

 

È nozione diffusa che l’aspettativa di vita media prima del secolo scorso, fosse molto bassa, al di sotto dei 40 anni: è lecito quindi domandarsi se esistesse davvero la vecchiaia nel mondo greco e romano. Dottoressa Borgna, cosa sappiamo dell’aspettativa di vita in età antica?

La domanda è complessa, perché ricostruire l’effettiva durata media della vita dell’uomo antico non è facile. Questo accade perché le fonti riguardano di preferenza un’élite colta, mentre la maggior parte della popolazione sfugge alla nostra osservazione, rendendo quindi assai difficile un’indagine statistica. Eppure, nonostante la complessità della questione, a partire dal secolo scorso storici e archeologi hanno tentato l’applicazione al mondo antico degli strumenti delle scienze sociali, e in particolar modo della demografia. Senza entrare nei dettagli tecnici, possiamo dire che le tavole di mortalità calcolate con metodologie statistiche moderne ci consegnano un quadro sufficientemente chiaro: l’uomo e la donna antichi alla nascita si trovavano di fronte a percorso fatto di clessidre, dove coni più ampi si alternavano a strettoie che in pochi avrebbero superato. La prima di queste strettoie è, senza dubbio, il primo anno di età. Gli studiosi che si sono occupati di incrociare studi demografici, archeologici e storici, hanno concluso che un terzo dei neonati moriva prima di compiere l’anno. Di quelli che sopravvivevano, il 50 % circa moriva entro il decimo anno d’età. Eppure, i (pochi) fortunati che riuscivano a spegnere la decima candelina, avevano una speranza di vita non disprezzabile: 47 anni se maschi. Più difficile parlare delle donne: quelle che riuscivano a giungere al decimo anno di età si trovavano comunque di fronte alla roulette russa dei parti. Andando avanti, quei pochi (e quelle pochissime) che riuscivano a raggiungere i 60 anni, avevano però non scarsissime possibilità di raggiungere i 70. In altri termini: di una coorte di 100.000 persone, cioè uomini e donne nate nello stesso anno, il 16,7% di loro avrebbe raggiunto i 60 anni, il 4,1% i 70 anni, l’1,6% gli ottant’anni. Insomma: qualche anziano c’era. Si stima quindi che a Roma, la proporzione della popolazione anziana si aggirasse tra il 6 e l’8%, numeri che oggi possono sembrare bassi rispetto al circa 18-19% attuale, ma che rappresentano una realtà con cui il mondo occidentale ha convissuto fino a non molto tempo fa. Ad esempio, nell’Inghilterra del 1850 la proporzione delle persone over-60 si aggirava intorno al 7.2%. Quindi, anche se rispetto alle proporzioni attuali parliamo di numeri molto minori, l’anziano come gruppo sociale a Roma esisteva.

Quando una persona era considerata senex?

La risposta è: dipende. Se nella letteratura o nella filosofia si trova qualche tentativo di suddivisione anche numerica dell’età umana, questo non accade nelle discipline tecniche come il diritto e soprattutto la medicina. La medicina antica, infatti, non indicava per la vecchiaia una precisa età di inizio. La senectus era vista come un fatto qualitativo, non quantitativo: non è un certo numero di anni a rendere vecchio un uomo, ma certe caratteristiche fisiche. Neppure la vecchiaia pare essere tutta uguale: qui le fonti mediche concordano nel separare una fase di vecchiaia attiva da una, invece, estrema e inerte. Questa distinzione verrà poi sistematizzata nel VI secolo d.C. da Isidoro di Siviglia che formalizzerà una distinzione tra la senectus, nella quale possono esserci anche tratti positivi e il senium, il momento più estremo, che sembra connesso al declino dell’intelletto. Se quindi per l’inizio della vecchiaia non vi è un valore assoluto, non mancano però passaggi individuabili, come le età al raggiungimento delle quali si veniva liberati da determinati oneri. In questo ambito una cifra significativa è rappresentata indubbiamente dai 60 anni, età a partire dalla quale scattava l’esonero dal servizio militare e, per i senatori, veniva meno l’obbligo di assistere alle sedute dell’assemblea. Nelle fonti giuridiche leggiamo poi la norma che riserverebbe la pratica dell’adozione agli ultra-sessantenni, mentre i più giovani -dicono i giuristi- dovrebbero tentare di avere eredi propri. Questo è un altro indizio del fatto che si supponeva che dia 60 anni in poi anche le funzioni riproduttive fossero ormai compromesse. E del fatto che i sessant’anni rappresentassero un’età-soglia troviamo una prova curiosa in questo antico detto proverbiale: sexagenarios de ponte deici oportet, che possiamo tradurre con “è bene che i sessantenni vengano buttati giù dal ponte”. Questo bizzarro brocardo ci è testimoniato da varie fonti antiche e sulla sua origine si dibatte fin dall’epoca di Cicerone. Molte, infatti, sono state le sue interpretazioni: dal residuo di un antichissimo sacrificio umano, fino al riferimento a una presunta antica norma secondo cui a sessant’anni si perdeva il diritto di voto. In questo senso il detto non prescriverebbe di scaraventare i poveri over-60 nel Tevere ma, molto più pacificamente, di allontanarli (seppur energicamente) dalla passerella (pons) che conduceva al luogo in cui si tenevano i comizi e si effettuavano le votazioni. Ad ogni modo, comunque stiano le cose, i sessant’anni dovevano costituire uno spartiacque.

Constatato che esistevano gli anziani, sia in termini di aspettativa di vita, sia in termini di categoria sociale, esisteva una medicina geriatrica?

Visto che abbiamo appena detto che esisteva la categoria sociale dell’anziano e che essa ha lasciato ampie tracce nella letteratura, dovremmo attenderci qualcosa di simile nella medicina antica, ma a questo punto siamo destinati a una sorpresa: l’ambito che per molto tempo non ha riservato alla senectus alcuna trattazione specifica è, paradossalmente, proprio quello medico. Facciamo un passo indietro e partiamo dalle origini. Padre della medicina antica è Ippocrate, vissuto in Grecia tra V-IV sec a.C. Ippocrate fece sostanzialmente propria la teoria pitagorica dei quattro umori: bile nera, bile gialla, flegma e sangue. Per quanto riguarda la salute, essa dipende sostanzialmente dall’equilibrio tra i quattro fluidi: quando c’è equilibrio, l’organismo funziona bene, mentre quando l’equilibrio si spezza, sopraggiunge la malattia. Ippocrate fu anche il primo a paragonare le tappe della vita umana alle quattro stagioni della natura: la vecchiaia, naturalmente, corrisponderebbe all’inverno. Non si può dire che Ippocrate ignorò il tema della vecchiaia: quel che manca nelle opere del suo corpus è un trattato specificamente dedicato all’argomento o un semplice capitolo di un’opera più vasta. Sì, vi sono considerazioni sparse, ma nulla di specifico. Per un definitivo cambio della situazione bisognerà spostarsi a Roma e aspettare qualche secolo. è infatti solo nella Roma della seconda metà del II secolo d.C. che la scienza medica ripenserà il tema della vecchiaia, organizzerà le pratiche mediche precedenti, le definirà e ne proporrà di nuove. In altre parole: sul finire del II secolo d.C. a Roma si forma una vera e propria branca medica – la gerontokomìa – compare una nuova figura di medico, il geriatra. Padre della disciplina è Galeno, un medico che veniva da Pergamo, in Asia Minore, un’area grecofona. Eppure Galeno visse e operò fondamentalmente a Roma: la geriatria nasce quindi a Roma, ma è scritta in greco.

Che cosa sosteneva la gerontocomia galenica?

Secondo la tradizione precedente, che in un certo senso Galeno riprende, la vecchiaia rappresenta un processo di raffreddamento e essiccamento del corpo, che, al pari delle foglie, inizia dalle parti più esterne (caduta del capelli, raggrinzirsi degli arti), per poi procedere oltre. Il disseccamento, infatti, consente di dare una spiegazione unitaria anche ai disturbi senili della vista, come il glaucoma (inteso come una sorta di “indurimento” degli occhi) o anche dell’indebolimento dell’acuità visiva: la superficie corneale si indurisce e secca. La morte sopraggiunge quando il processo di raffreddamento, essiccazione e indurimento raggiunge infine il cuore. Questa teoria ha le sue radici nella teoria del calore innato, secondo cui il primo giorno di vita corrisponde al momento del massimo calore, mentre l’ultimo rappresenta quello di minimo calore: all’inizio della vita, infatti i processi di accrescimento sono massimi, mentre alla fine sono minimi: verrebbe quasi da parlare di processi metabolici. Una volta compreso che il fenomeno dell’invecchiamento è irreversibile e inesorabile – fallimentari furono naturalmente alcuni tentativi di interromperlo con una dieta a base di ghiandole sessuali di animali… – la grande, grandissima novità di Galeno sta quindi nello sviluppo di una medicina preventiva o “del buon invecchiamento”. Alla base vi è una nuova concezione della natura della vecchiaia, che non è una malattia, non uno stato di salute, ma una condizione a metà tra salute e malattia, come lo stato del convalescente:

Occuparsi in concreto della salvaguardia della salute dei vecchi è molto difficile, così come occuparsi della salute dei convalescenti […] Questi due stati non sono perfetta salute, ma, in qualche modo, condizioni intermedie tra salute e malattia (Galeno, de sanitate tuenda 5, 4)

La vecchiaia per Galeno è, con termine di sua probabile invenzione, un marasmo, marasmòs in greco, termine con cui si indica il processo di corruzione del corpo umano dovuto a disseccazione. Vi sono casi in cui questo marasmòs è innaturale, come nel caso di chi muore di fame e sete; mentre è naturale nel caso della vecchiaia. Scopo della medicina è quello di trattare questa condizione naturale in modo da favorire l’allungamento della vita:

è impossibile impedire il marasmos della vecchiaia, ma è possibile favorire l’allungamento della vita. Questo è esattamente ciò che spetta a questa parte della medicina che prende il nome di gerontocomia. Essa ha lo scopo, entro i limiti della natura delle cose, di ostacolare e impedire, per quanto possibile, che il corpo del cuore si secchi a tal punto da cessare di operare. (Galeno, de marcore 5)

Quali sono alcuni dei consigli per una buona vecchiaia che ritroviamo nei testi di Galeno?

In termini di medicina umorale, il tentativo di rallentare questo marasmòs per Galeno prende la forma di una dieta, un termine che va inteso non nel senso moderno di regime alimentare, ma nel senso greco di “complesso di norme di vita”, in questo caso norme volta a contrastare gli squilibri della vecchiaia, cioè la tendenza inesorabile al freddo e secchezza. Le pratiche sono molto dettagliate e spaziano dalla gestione dell’alimentazione (quali cibi, con quali cotture, quali tipi di bevande, quali quantità, cosa evitare assolutamente), a quella dell’esercizio fisico (che genere di esercizio, con quale frequenza), del riposo, dell’attività sessuale e anche dei rimedi farmacologici e delle eventuali operazioni chirurgiche alle quali sottoporsi.

Perché ritiene sia importante per chi si occupa di invecchiamento oggi conoscere questi testi?

Con la medicina galenica per tutta l’epoca tardo antica si afferma questo approccio di medicina preventiva: non sarà più così a partire dall’alto medioevo, quando prevarrà un approccio essenzialmente orientato alla farmacologia, cioè si scriveranno per lo più ricettari, peraltro ordinati secondo il criterio a capite ad calcem, “dalla testa ai piedi”. Lo studio della letteratura medica tardoantica ci offre quindi la possibilità di confrontarci con questo sapere che, pur venendo dal passato, nell’approccio, ha molte analogie con quello che oggi si definisce “healthy aging”. La sfida ci sembra affascinante e chissà che non si possa riscoprire negli scritti antichi un qualche consiglio o una qualche prassi valida, rimasta nei per secoli in un cono d’ombra e oggi da recuperare. Allo stesso modo sarà interessante misurare le differenze. Tra queste, spiccherà sicuramente la quasi completa assenza della donna dalla geriatria antica, segno questo che l’interesse medico per il mondo femminile si interrompeva là dove terminava la funzione riproduttiva. Non è un caso: gli stessi trattati ginecologici antichi sono privi di trattazioni specifiche sulla menopausa: superata l’età fertile, la donna esce dai radar dalla medicina

Che cosa si potrebbe fare per facilitare la diffusione di questi testi?

L’epoca tardo antica ha visto una fioritura della letteratura tecnica, in particolare di quella medica, letteratura che per lungo tempo è rimasta ai margini degli studi. Un contributo significativo a fare uscire questo patrimonio culturale dai margini degli studi lo abbiamo dato proprio in questo ateneo grazie al progetto DigilibLT, Digital Library of Late Antique Latin Texts. Si tratta di una biblioteca digitale dedicata alla prosa latina tardoantica: il progetto è nato nel 2010 a seguito di un bando competitivo emanato dalla regione Piemonte e da allora prosegue. Lo scopo è quello di dare sistemazione scientifica ad un’area della letteratura antica che, proprio per il suo carattere tecnico, nella storia degli studi non ha goduto dello stesso approfondimento critico. La professoressa Tabacco è direttore e responsabile del progetto, un progetto che negli anni – e lo diciamo con un certo orgoglio – si è imposto a livello sicuramente europeo come lo strumento di riferimento per i nostri colleghi non solo latinisti, ma anche storici, giuristi, linguisti. Ora ci piacerebbe coinvolgere anche i medici. In questo senso, una selezione sistematica e rigorosa di testi tardo antichi che riguardano l’invecchiamento potrebbe essere alla base di una pubblicazione, magari nella forma di raccolta dei consigli degli antichi accompagnata dai commenti critici degli esperti contemporanei di aging.
In conclusione: abbiamo un database di testi ancora parzialmente inesplorati, motori di ricerca e consultazione potenti e … in qualche angolo nascosto della prosa tardo antica potremmo scoprire un consiglio inaspettato e attuale con cui confrontarci.

A cura di Francesca Memini

Immagine: Medicina na Idade Média (1906) – Veloso Salgado

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