Riferimento bibliografico

Comparison of serum neurodegenerative biomarkers among hospitalized COVID-19 patients versus non-COVID subjects with normal cognition, mild cognitive impairment, or Alzheimer’s dementia

In sintesi

Le complicanze neurologiche dell’infezione da SARS-CoV-2 sono frequenti, soprattutto tra i pazienti ricoverati. Lo studio evidenzia come queste complicanze siano misurabili tramite marker dosabili nel plasma: si tratta degli stessi marcatori di cui si riscontra l’aumento in molte patologie neurodegenerative, come conseguenza di danno cellulare. Non solo, i valori di tali marcatori nel sangue sono risultati maggiori nei pazienti con esiti di malattia peggiori, evidenziando un loro potenziale ruolo prognostico.

Contesto e punto di partenza

L’infezione da SARS-CoV-2, sebbene sia conosciuta ai più per le sue manifestazioni respiratorie, in realtà è una malattia sistemica con coinvolgimento multiorgano, come si evince grazie agli innumerevoli studi che da due anni a questa parte stanno arricchendo la letteratura scientifica riguardo questa nuova patologia.
Le complicanze neurologiche, in particolare l’encefalopatia, sono molto comuni tra i pazienti ricoverati per COVID-19 e le alterazioni cognitive a lungo termine persistono in quasi il 50% dei dimessi. Tuttavia, i meccanismi patogenetici alla base di questa disfunzione cognitiva non sono ancora ben compresi e sono un campo di ricerca ancora aperto.
Alla luce dell’importanza e della frequenza del danno neurologico nei pazienti con infezione da COVID-19, questo studio tenta di dare una risposta in merito alla patogenesi dell’encefalopatia documentata nei ricoverati.
Partendo dall’ipotesi che tra i pazienti ricoverati per infezione da COVID-19 che sviluppavano un deficit cognitivo di nuova insorgenza i marcatori ematici tipici del danno neuronale e gliale potessero essere elevati, questo studio cerca di interpretare il significato del loro aumento e non solo per spiegare, almeno in parte, la causa dell’encefalopatia da COVID-19, ma anche per porre le basi per un futuro loro ruolo in senso diagnostico e prognostico.

Caratteristiche dello studio

Si tratta di un’analisi retrospettiva del livello di marcatori di danno neurologico su campioni di siero e plasma raccolti da una popolazione di pazienti con infezione da COVID-19, arruolati nello studio SNap Acute Covid. La stessa analisi è stata condotta, per confronto, su una popolazione controllo senza infezione da Sars-CoV-2, comprendente sia pazienti senza deficit cognitivi, sia pazienti con lieve decadimento cognitivo e demenza di Alzheimer.
L’outcome primario dello studio era confrontare i livelli sierici dei biomarcatori di danno neurologico t-tau, p-tau181, GFAP, NfL, UCHL1 e Aβ40,42 in pazienti ricoverati per infezione da SARS-CoV-2 con encefalopatia e senza encefalopatia, morti in ospedale e dimessi a domicilio o in struttura.
L’outcome secondario era confrontare i livelli degli stessi marcatori tra i pazienti con infezione da COVID-19 e pazienti senza COVID-19, con funzione cognitiva normale, lieve decadimento cognitivo e demenza di Alzheimer.

I risultati ottenuti

I risultati dello studio confermano come i livelli dei biomarcatori di danno neurologico (tau, UCHL, Nfl) siano significativamente correlati alla severità di malattia (necessità di ventilazione meccanica, SOFA score peggiore, ridotta saturazione di ossigeno, ridotta pressione arteriosa) e anche a marcatori di infiammazione, come il D-dimero. Non solo: tra i pazienti COVID, questi marcatori sono maggiormente espressi nei casi con nuovo sviluppo di encefalopatia e nei soggetti deceduti in ospedale, rispetto a coloro che non sviluppano segni neurologici e che hanno un quadro di malattia più lieve. Allo stesso modo, l’aumento dei markers tra pazienti COVID ricoverati è confrontabile a quello che si riscontra in pazienti non-COVID con deficit neurologici lievi e demenza di Alzheimer.

Limiti

Tra i limiti dello studio si annovera il fatto che tra i soggetti COVID presi in esame ci potessero essere, vista l’età media del campione, anche pazienti già portatori di un quadro di deterioramento cognitivo non diagnosticato in precedenza. Inoltre, i marcatori sono stati misurati solo in un preciso momento della malattia: misurazioni effettuate in serie, a determinati intervalli temporali, avrebbero potuto far ottenere dai dati una curva più precisa per una valutazione retrospettiva, se correlata anche alla storia di malattia.
Non c’è poi un confronto tra i markers di danno neurodegenerativo e quelli infiammatori nei soggetti di controllo.
Infine, i markers neurodegenerativi sono stati prelevati su campioni di siero nei pazienti COVID e su plasma nei controlli non-COVID: questo potrebbe rappresentare un limite nel confronto tra pazienti COVID e non-COVID, perché, sebbene UCHL e NFl siano equivalenti su plasma e siero, tau e la proteina beta amiloide non sono confrontabili tra campioni di plasma e di siero.

Novità

È da apprezzarsi l’originalità dello studio: esso si inserisce in un contesto nuovo, ponendosi l’obiettivo di trovare una spiegazione patogenetica alle manifestazioni neurologiche legate aCOVID-19 che si sono registrate durante le degenze ospedaliere delle persone infette. Spiegare la patogenesi della malattia, e soprattutto ricercare marcatori che siano misurabili e facilmente quantificabili è il primo passo per comprendere la storia della malattia stessa.
Un altro punto di forza riguarda la conferma, anche attraverso un’analisi multivariata (analisi statistica che consente di confrontare variabili differenti), di come i biomarcatori neurodegenerativi siano significativamente associati a severità di malattia, a un maggiore rischio di morte ospedaliera o a necessità di percorso riabilitativo post ospedaliero. Infine, la misurazione dei markers su siero, tramite prelievo di sangue periferico, piuttosto che da liquido cerebrospinale, rende tale studio facilmente replicabile e fattibile con un maggior numero di pazienti.

Conclusioni

Possiamo quindi concludere come lo studio abbia il merito di aver scoperto dei marcatori di prognosi negativa della malattia COVID-19, facilmente misurabili nel sangue. Questi biomarkers, responsabili di un peggior decorso dell’infezione da COVID-19 e di un maggior rischio di sviluppare encefalopatia, sono identici a quelli riscontrati nei processi neurodegenerativi che caratterizzano le demenze, tra cui l’Alzheimer. Ciò aggiunge prove al fatto che l’infezione da Sars-CoV-2 sia associata a una malattia sistemica, responsabile tra le altre manifestazioni anche di encefalopatia, oltre che del quadro più eclatante di polmonite. In ottica futura, sarebbero utili studi che monitorino l’andamento nel tempo di questi marcatori e la loro associazione con disturbi cognitivi a lungo termine. Questi studi, se generalizzati, potrebbero permettere anche una più ampia comprensione della patogenesi delle malattie neurodegenerative.

A cura di Mattia Perazzi ed Eleonora Croce


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