Riferimento bibliografico

Canning, T., Arias-de la Torre, J., Fisher, H. L., Gulliver, J., Hansell, A. L., Hardy, R., Hatch, S. L., Mudway, I. S., Ronaldson, A., Cartlidge, M., James, S. N., Keuss, S. E., Schott, J. M., Richards, M., & Bakolis, I. (2025). Associations between life course exposure to ambient air pollution with cognition and later-life brain structure: a population-based study of the 1946 British Birth Cohort. The lancet. Healthy longevity, 6(7), 100724

 

In sintesi

L’associazione tra livelli più elevati di esposizione all’inquinamento atmosferico e aumento del deterioramento cognitivo in età avanzata è un dato ampiamente dimostrato in letteratura scientifica. L’obiettivo dello studio di cui ci occupiamo è stato estendere queste evidenze, integrando le diverse fasi di esposizione ambientale lungo l’intero arco della vita, insieme a misurazioni delle funzioni cognitive e a indagini di neuroimaging strutturale cerebrale in soggetti di mezza età e in età senile. In base ai risultati , è stato evidenziato che l’esposizione a inquinanti atmosferici durante la mezza età e la senescenza è associata a un peggioramento delle funzioni cognitive, della velocità di elaborazione e degli esiti strutturali cerebrali. Questi risultati rafforzano le evidenze già esistenti a supporto degli effetti nocivi dell’inquinamento atmosferico sulla funzione cerebrale nell’età avanzata.

 

Il contesto e il punto di partenza

Una quantità sempre più consistente di studi associa maggiori livelli di esposizione a un’ampia gamma di inquinanti a un deterioramento delle funzioni cognitive e a modifiche strutturali cerebrali. . Accanto a questo dato , è stata però mostrata una notevole eterogeneità nei risultati, mentre le evidenze relative agli effetti sulla funzione cognitiva negli anziani (età ≥65 anni) dell’esposizione cumulativa agli inquinanti lungo l’arco della vita risultano estremamente limitate. Infine, sono pochi gli studi che confrontano in maniera sistematica gli effetti dell’esposizione a differenti tipi di inquinanti atmosferici allo stato cognitivo e alla struttura cerebrale all’interno della medesima coorte di partecipanti.

Sono stati ipotizzati diversi meccanismi patogenetici attraverso i quali l’inquinamento atmosferico potrebbe influenzare negativamente la struttura cerebrale, tra cui l’induzione di neuroinfiammazione e di stress ossidativo, possibilmente come conseguenza indiretta degli effetti cardiopolmonari dell’inquinamento stesso a lungo termine. Sebbene esistano ancora limitate evidenze sull’essere umano, i dati attuali suggeriscono che le conseguenze a lungo termine della neuroinfiammazione, dello stress ossidativo e della morte neuronale possano manifestarsi come alterazioni rilevabili mediante neuroimaging — incluse riduzioni del volume cerebrale — nonché come differenze riscontrabili in esami autoptici condotti in età precoce.

Proprio in considerazione di questo , gli autori dello studio hanno posto come obiettivi principali:

  • valutare se l’esposizione agli inquinanti atmosferici durante la mezza età (45–64 anni) fosse associata a una compromissione della memoria verbale e a una minore velocità di elaborazione cognitiva tra i 43 e i 69 anni;
  • verificare se queste esposizioni fossero correlate a un peggioramento dello stato cognitivo e a esiti strutturali cerebrali sfavorevoli tra i 69 e i 71 anni.

 

Le caratteristiche dello studio

Per testare quanto previsto negli obiettivi , è stata analizzata la National Survey of Health and Development (NSHD): durante una settimana nel mese di marzo del 1946, le madri di 13.687 neonati – che rappresentavano il 91% delle nascite registrate in Inghilterra, Scozia e Galles durante lo stesso periodo – furono intervistate, con lo scopo di esaminare le ragioni alla base del basso tasso di natalità di quegli anni. Successivamente, 5.362 neonati furono reclutati nella coorte del NSHD per il successivo follow-up. La selezione avvenne in modo da garantire una distribuzione approssimativamente equa di bambini provenienti da ciascuna classe sociale ed ebbe un tale successo che una parte di quegli individui è ancora ad oggi oggetto di studio. Degli iniziali 5.362 partecipanti, 2.100 sono stati esclusi dallo studio di cui ci occupiamo .

I dati relativi all’esposizione all’inquinamento atmosferico sono stati raccolti con l’obiettivo di stimare questo impatto lungo l’intero corso della vita, utilizzando diversi modelli di inquinamento messi a punto in varie epoche, a partire dal 1946. Gli agenti inquinanti presi in considerazione sono stati:

  • concentrazioni di biossido di azoto (NO₂),
  • materiale particolato con diametro inferiore a 10 μm (PM₁₀),
  • ossidi di azoto (NOₓ),
  • particolato fine con diametro inferiore a 2,5 μm (PM₂.₅),
  • particolato grossolano con diametro compreso tra 2,5 μm e meno di 10 μm (PMcoarse),
  • assorbanza del PM₂.₅ (PM₂.₅abs) quale misura dell’assorbimento del carbonio nero.

Le analisi hanno inoltre tenuto conto dell’esposizione precoce a fumo nero (black smoke) e biossido di zolfo durante l’infanzia.

Per la misura degli effetti inclusi negli obiettivi:

  • la memoria verbale è stata valutata mediante un test di richiamo immediato di 15 parole;
  • la velocità di elaborazione cognitiva è stata misurata attraverso un compito di ricerca visiva, somministrato rispettivamente all’età di 43, 53, 60, 64 e 69 anni;
  • lo stato cognitivo – unitamente alla fluenza del linguaggio – è stato esaminato mediante l’Addenbrooke’s Cognitive Examination III (ACE-III), sottoposto ai partecipanti all’età di 69 anni; questo test risulta essere composto da 19 item con un punteggio totale compreso tra 0 e 100, in cui valori più elevati sono indicativi di un miglior funzionamento cognitivo;
  • i volumi cerebrali globali, ventricolari, ippocampali e il volume delle iperintensità della sostanza bianca (WMHVWhite Matter Hyperintensity Volume – un indicatore di presunta malattia dei piccoli vasi cerebrali) sono stati quantificati tramite risonanza magnetica (MRI) ad un’età compresa tra i 69 e i 71 anni.

L’analisi statistica per esplorare le associazioni tra l’esposizione agli inquinanti, le misure cognitive e gli esiti strutturali cerebrali è stata condotta mediante modelli lineari generalizzati e modelli misti lineari generalizzati, con aggiustamenti per variabili sociodemografiche, inclusi l’essere o meno fumatori e l’indice di deprivazione del quartiere di residenza.

 

I risultati ottenuti

Non è stata riscontrata alcuna associazione tra l’esposizione agli inquinanti presi in esame e il declino della memoria verbale tra i 43 e i 69 anni. Questa evidenza differisce da quanto riportato da un precedente studio, che aveva dimostrato un’associazione tra deficit mnesici globali e più alto contatto con PM₁₀ e NO₂. Questa associazione potrebbe essere stata influenzata da differenti gradi di esposizione cumulativa agli agenti inquinanti, considerando che la pubblicazione in questione è basata su una coorte di età mista – a differenza del sopraccitato NSHD. Inoltre, il lavoro di confronto aveva incluso per la valutazione della memoria una componente di richiamo ritardato (rispetto al test di solo richiamo immediato utilizzato nella pubblicazione in esame); un test di richiamo ritardato potrebbe coinvolgere processi cognitivi legati alla memoria episodica, anziché alla memoria di lavoro (come nel caso dei test di richiamo immediato), ed è possibile che la memoria episodica sia più vulnerabile agli effetti dell’inquinamento rispetto alla memoria di lavoro.

Anche in merito al reperimento di una ridotta velocità di elaborazione cognitiva tra i 43 e i 69 anni a seguito di esposizione più elevata al biossido di azoto (NO₂) e al particolato fine (PM₁₀), ad oggi, le evidenze esistenti sono ancora contrastanti.

Un’esposizione più elevata a tutti gli inquinanti atmosferici esaminati è stata associata invece a punteggi inferiori all’ACE-III, utilizzato per la valutazione dello stato cognitivo e della fluenza verbale, all’età di 69 anni. Questi risultati si sono rivelati simili a quelli di altri studi su medesime fasce di età. Queste evidenze potrebbero essere particolarmente rilevanti se si considera che un punteggio basso in questo test cognitivo (il limite inferiore di normalità è considerato 88) potrebbe aumentare il rischio di demenza.

È stata inoltre provata un’associazione tra esposizione più elevata a NO₂ e PM₁₀ e aumento del volume ventricolare cerebrale tra i 69 e i 71 anni, oltre che una riduzione del volume ippocampale a seguito di aumentata esposizione agli ossidi di azoto (NOₓ). Sebbene non si possa inferire dai nostri dati attuali se queste osservazioni attestino un reale cambiamento della struttura cerebrale nel tempo, le differenze evidenziatesi nel volume dell’ippocampo sono equivalenti a quanto avviene in circa un anno di fisiologico invecchiamento. Da notare che l’atrofia dell’ippocampo non è specifica, ma è stata associata allo sviluppo di deficit cognitivi e della malattia di Alzheimer. È possibile che l’esposizione all’inquinamento possa contribuire a ridurre la resilienza o interagire con i processi neuropatologici che portano alla demenza nella vita avanzata. Non sono infine state riscontrate associazioni tra l’esposizione all’inquinamento e il volume delle iperintensità della sostanza bianca (WMHV) coerentemente con altri studi, nonostante un legame plausibile tra l’esposizione e i cambiamenti cerebrovascolari correlati.

 

I limiti dello studio

Sebbene i dati relativi all’esposizione all’inquinamento atmosferico fossero disponibili sin dalla nascita dei partecipanti, i metodi di misurazione utilizzati sono cambiati nel tempo in funzione dell’evoluzione delle fonti di inquinamento, dalla combustione prevalente di carbone e combustibili fossili durante le prime fasi di vita dei partecipanti a fonti legate, ad esempio, al trasporto su strada nella mezza età e nella senescenza. Inoltre, andrebbe considerato un intervallo temporale di almeno cinque anni tra le ultime misurazioni dell’esposizione (a 60–64 anni) e la valutazione degli esiti (a 69–71 anni); nella pubblicazione presa in esame è stata ipotizzata una relativa stabilità dell’esposizione in questo periodo, sebbene ciò possa non essere valido, soprattutto in contesti urbani. È possibile, inoltre, che residui di confondimento derivino da altri fattori ambientali non considerati, quali – ma non esclusivamente – umidità e temperatura. Infine, la generalizzabilità dei risultati potrebbe essere limitata:

  • da un effetto di coorte sana, ovvero con risultati migliori di quelli della popolazione generale;
  • dal fatto che circa il 15% dei punteggi ACE-III non è stato raccolto all’età di 69 anni;
  • dal fatto che i risultati riflettono esposizioni rilevate in Inghilterra, Scozia e Galles e, pertanto, potrebbero non essere estendibili ad altri contesti geografici con profili di inquinamento differenti.

 

Quali novità

Nel complesso, lo studio che abbiamo preso in esame fornisce alcune evidenze solide a sostegno dell’associazione tra esposizione all’inquinamento atmosferico e peggioramento delle funzioni cognitive, dimostrando che l’esposizione durante la mezza età rappresenta un determinante rilevante del declino cognitivo e, potenzialmente, del rischio di insorgenza di demenza.

Estendendo queste associazioni anche alla struttura cerebrale, lo studio evidenzia che i partecipanti con maggiore esposizione ad alcuni inquinanti atmosferici hanno presentato volumi ippocampali inferiori e volumi ventricolari maggiori. È importante sottolineare che le alterazioni cognitive e strutturali osservate dalla mezza età alla senescenza potrebbero essere il risultato di decenni di esposizione cumulativa all’inquinamento atmosferico, in grado di interagire con fattori di rischio genetici e ambientali già attivi in epoca prenatale. Nonostante questo , in presenza di popolazioni sempre più longeve, anche riduzioni modeste dell’esposizione all’inquinamento atmosferico – persino durante la mezza età – potrebbero tradursi in miglioramenti misurabili della salute cognitiva e cerebrale, contribuendo a mitigare parte del rischio di demenza nella popolazione anziana.

 

Quali prospettive

Ulteriori future ricerche potrebbero approfondire l’analisi di frazioni più fini del particolato atmosferico, incluse le particelle ultrafini, di crescente interesse sia in ambito normativo sia scientifico. Inoltre, in questo studio sono state considerate le esposizioni agli inquinanti a livello residenziale dalla nascita dei partecipanti: altri lavori potrebbero includere anche informazioni relative all’esposizione intrauterina, a quella indoor e occupazionale, laddove disponibili. Come già precedentemente evidenziato, potendo alcuni fattori di confondimento derivare da altri fattori ambientali non considerati, ricerche future dovrebbero mirare a integrare valutazioni ambientali più ampie.

 

A cura di Francesco Varallo


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