La malattia di Alzheimer è una malattia neurodegenerativa e rappresenta circa il 60% di tutti i casi di demenza. Con demenza si intende un progressivo declino delle funzioni cognitive, che includono la memoria, l’attenzione, il linguaggio, la coordinazione dei movimenti, la capacità di critica e di giudizio e il ragionamento. Trattandosi di una malattia la cui prevalenza aumenta con l’età, il numero di pazienti affetti dalla malattia di Alzheimer è destinato ad aumentare, in relazione all’invecchiamento della popolazione generale, e si stima che per il 2040 potrebbero esserne affette più di 80 milioni di persone nel mondo.

Cause

La demenza di Alzheimer tipicamente colpisce soggetti con un’età maggiore di 65 anni (forma tardiva), ma è anche possibile osservarla, in misura minore, in individui di età inferiore a 65 anni (forma precoce). Si tratta di una patologia sporadica, cioè che insorge senza chiara familiarità, ma in circa l’1% dei casi invece si manifesta in due o più persone appartenenti allo stesso nucleo familiare. La forma ereditaria si sviluppa a seguito di una mutazione che può colpire tre diversi geni coinvolti nella produzione e processamento di una particolare proteina detta beta-amiloide, che è implicata nell’insorgenza della malattia. A determinare la forma sporadica della malattia invece, concorrono fattori di rischio, come mutazioni che colpiscono altri geni (come APOE-e4, il principale fattore di rischio genetico per la forma tardiva), il fumo, la sedentarietà, una bassa scolarizzazione, una vita sociale e mentale poco impegnata, una dieta sbilanciata.

Fisiopatologia

In condizioni fisiologiche i neuroni comunicano tra loro attraverso strutture altamente specializzate, le sinapsi e attraverso varie molecole di segnale, i neurotrasmettitori. Le alterazioni che si riscontrano nei tessuti e che sono tipiche della malattia di Alzheimer sono le cosiddette placche senili, depositi di due tipi di proteine (dette proteina beta-amiloide e proteina tau), mal ripiegate e che si accumulano sia all’esterno che all’interno dei neuroni. Pur con meccanismi non del tutto chiari, questi depositi proteici patologici alterano la funzionalità delle sinapsi e della struttura interna dei neuroni, con conseguente disfunzione e morte di queste cellule. Il risultato macroscopico è una generale perdita di volume del cervello che coinvolge inizialmente alcune aree specifiche per poi estendersi a tutta la corteccia cerebrale.

Sintomi

L’intero decorso della demenza di Alzheimer dura in genere dieci anni. Tipicamente il sintomo di esordio della malattia è la perdita di memoria a breve termine, soprattutto l’incapacità a memorizzare informazioni nuove ma con un iniziale risparmio della memoria autobiografica: il paziente può rievocare eventi avvenuti nell’infanzia, ma non riesce a ricordare fatti e circostanze verificatesi poche ore o giorni prima. Il paziente è generalmente consapevole dei suoi disturbi, e può sviluppare una depressione reattiva. Con il passare del tempo, si associano difficoltà di linguaggio (anomie) e difficoltà nell’utilizzare oggetti di uso comune. Nelle fasi intermedie di malattia il paziente inizia ad avere difficoltà nello svolgere compiti di base nella vita quotidiana, per crescenti problemi di orientamento, sia temporale che spaziale, difficoltà sia nell’espressione che nella comprensione verbale, alterazione nella capacità di critica e di giudizio. Si associano modifiche della personalità, con marcata apatia o, al contrario, atteggiamento disinibito, aggressività ed agitazione. In rari casi, soprattutto nelle forme ad esordio precoce, i primi sintomi della malattia possono riguardare le funzioni visuo-spaziali, il linguaggio o manifestarsi con disturbi comportamentali. Nella fase tardiva, il paziente diventa dipendente in tutte le attività della vita quotidiana, può sviluppare deliri e allucinazioni, oltre a sviluppare disturbi comportamentali come il vagabondaggio e affaccendarsi senza una finalità precisa. Nella fase terminale, infine, il paziente è allettato, incontinente, e incapace di intraprendere qualsiasi comunicazione; generalmente un paziente con malattia di Alzheimer muore per il sopraggiungere di infezioni.

Diagnosi

Per la demenza di Alzheimer sono attualmente utilizzati diversi criteri diagnostici. La diagnosi clinica si basa su una valutazione specialistica e su test neuropsicologici, volti ad indagare la presenza ed il tipo di deficit cognitivo. A supporto della diagnosi clinica, poi, sono disponibili diverse procedure, compreso l’analisi di biomarcatori (indicatori biologici facilmente misurabili che sono correlati alla malattia). La risonanza magnetica del cervello e la tomografia ad emissione di positroni (PET) possono evidenziare specifiche aree in cui è in corso il processo di perdita neuronale, oppure aree di disfunzione e morte neuronale, oltre a essere utili per monitorare l’evoluzione della malattia. Tra gli altri esami diagnostici possibili, l’esame del liquido cefalorachidiano (fluido che si trova nel sistema nervoso centrale) fornisce informazioni sui depositi patologici di proteina sopra descritti. La ricerca sui biomarcatori, inoltre, ha permesso di identificare le alterazioni tipiche della malattia di Alzheimer in fasi sempre più precoci, addirittura prima che la demenza sia clinicamente manifesta, fornendo nuove potenziali strategie terapeutiche da attuare prima che il processo patologico, con la morte neuronale, diventi irreversibile.

Trattamento

Attualmente non esistono terapie in grado di invertire il processo neurodegenerativo: i farmaci ad oggi disponibili possono solo temporaneamente rallentare il declino cognitivo. I neuroni che utilizzano l’aceticolina come neurotrasmettitore principale sarebbero i primi ad essere coinvolti dalla neurodegenerazione, e l’utilizzo, soprattutto nelle fasi di demenza lieve e moderata, di farmaci in grado di stimolare questa via (detti inibitori della colinesterasi) ritarda l’avanzamento dei disturbi dell’attenzione e della memoria e migliora disturbi comportamentali come agitazione ed apatia. Nelle fasi di demenza moderata-severa si può utilizzare un farmaco anti-glutammatergico, che ridurrebbe il danno neuronale mediato da glutammato, un neurotrasmettitore eccitatorio che sarebbe responsabile della progressione del danno neuronale nelle fasi di demenza avanzata. E’ possibile poi associare, nelle varie fasi di malattia, l’uso di farmaci come anti-depressivi per migliorare i sintomi comportamentali.

 

Bibliografia

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