Numerose prove scientifiche ce lo confermano: con l’età i ricordi sbiadiscono e aumentano gli episodi in cui la memoria non fa il suo dovere. Ma in che modo possiamo riconoscere un naturale indebolimento della memoria durante l’invecchiamento da qualcosa di più grave? 

Le persone anziane, come custodi della memoria e dei ricordi storici e familiari, sono portatrici di saggezza ed esperienza. Tuttavia, il fenomeno dell’invecchiamento è legato a doppio filo anche con la perdita di funzionalità e il deterioramento graduale della memoria: è comune che, da anziani, si si dimentichino alcune cose come se il sofisticato sistema di immagazzinamento dei ricordi si usurasse, rendendoli meno nitidi e più difficili da recuperare. A questo, però, si aggiunge la minaccia dell’insorgenza di demenze, malattie neurodegenerative in cui il danno alla memoria prende una preoccupante accelerazione. Ma che differenza c’è, quindi, tra semplici vuoti di memoria dovuti all’età, e i primi sintomi di malattie più gravi? E cosa si può fare per preservare il più possibile la nostra memoria? Scopriamolo insieme.

 

Biologia della dimenticanza

Il cervello umano ha la straordinaria capacità di acquisire, memorizzare e richiamare informazioni nel corso di interi decenni, con una risoluzione altissima: spesso i ricordi, anche quelli più lontani nel tempo, ci paiono estremamente nitidi. Come abbiamo già visto in un articolo precedente, l’acquisizione delle informazioni modifica lo stato fisiologico di alcuni neuroni, posizionati nelle zone deputate alla memoria. La natura di questi cambiamenti è molto eterogenea, e comprende qualsiasi modifica nelle attività delle cellule neuronali: ad esempio, possono condurre meglio gli impulsi elettrici, formare nuove connessioni o rafforzarne altre già esistenti. Il sistema della memoria è infatti finemente regolato dall’ambiente esterno, dalle emozioni e dall’attività dei neuroni di queste aree del cervello. È plastico e si modifica con il tempo e con l’esperienza. Cosa succede con l’invecchiamento? Quello che accade a livello biologico nel cervello degli individui anziani non è ancora stato chiarito in toto dalla scienza, anche se una cosa è certa: con l’avanzare dell’età, come tutte le cellule, anche i neuroni possono danneggiarsi, ed è per questo che un generale indebolimento della memoria è considerato fisiologico: i disturbi della memoria legati all’età sono spesso attribuiti a danni, a livello generale o molecolare, dei processi di acquisizione e richiamo dei ricordi del sistema della memoria.

Tuttavia, il deterioramento della memoria associato all’invecchiamento non è sempre fisiologico, e può celare l’insorgenza di demenze come la malattia di Alzheimer. Questa malattia neurodegenerativa, infatti, che si sviluppa con il progredire dell’età, causa una crescente perdita di neuroni, specie nelle aree preposte alla memoria: il risultato , inizialmente,  è che ci dimentichiamo di informazioni ed episodi recenti, ma in seguito si manifesta un declino cognitivo, che porta alla disabilità e alla totale perdita dell’indipendenza. 

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, le demenze sono sindromi croniche che causano in chi ne è affetto un progressivo declino cognitivo. Tra le funzioni colpite (tra cui il linguaggio, il pensiero, l’orientamento, il giudizio etc.) vi è anche la memoria. Anzi: solitamente la perdita di memoria, specie quella legata a fatti o eventi, la memoria dichiarativa, è uno dei primi segnali dell’insorgenza di una demenza. 

 

Semplice dimenticanza oppure altro?

Quando l’età avanza, quindi, ci si può dimenticare di pagare una bolletta, può capitare di sentirsi confusi di tanto in tanto, di perdere qualcosa o dimenticarsi come si chiama un oggetto, per poi ricordarsene subito dopo. Si tratta di eventi per lo più nella norma, e che non devono destare particolare preoccupazione. Invece è importante, se si verificano episodi di dimenticanze gravi e frequenti, o esistono già casi di demenze in famiglia, rivolgersi a uno specialista, che potrà accertare lo stato cognitivo, ed eventualmente suggerire un controllo approfondito. Tra i comportamenti che potrebbero essere qualcosa di più di semplici dimenticanze troviamo:

  • Ripetere le stesse domande più e più volte
  • Perdersi in posti che si conoscono bene
  • Avere problemi a seguire ricette o indicazioni
  • Diventare più confusi su tempo, persone e luoghi
  • Non prendersi cura di sé stessi: per esempio mangiare male e trascurarsi

In presenza di questi sintomi, il medico prescriverà ulteriori controlli ed esami, volti a individuare l’origine del calo di memoria. Infatti, le ragioni per cui la memoria si deteriora non sono legate esclusivamente all’insorgenza di demenze: possono contribuire alla perdita di memoria eventi traumatici, la presenza di depressione o stress, infezioni batteriche o virali, effetti collaterali dovuti all’assunzione di determinati farmaci. Capire nel minor tempo possibile quale sia il motivo delle dimenticanze è importante, sia, nel caso fosse possibile, per eliminare la causa scatenante, sia per adottare comportamenti il più possibile protettivi.

 

Prendersi cura della propria memoria

Che la perdita di memoria sia dovuta al normale invecchiamento o a ragioni patologiche, è sempre possibile prendersene cura, in modo da agire attivamente sulla prevenzione e diminuire i fattori di rischio per lo sviluppo di demenze. Purtroppo, l’insorgenza e la progressione di demenze come la malattia di Alzheimer non sono ancora trattabili, ma ciò non vuol dire che non si possa fare nulla al riguardo: modificando gli stili di vita, infatti, è possibile agire positivamente per conservare quanto più possibile il sistema della memoria. Ecco i comportamenti che lo proteggono:

  • Attività fisica costante: le linee guida consigliano almeno 150 minuti a settimana di esercizio fisico moderato, o 75 minuti di esercizio fisico intenso. Comunque sia, è bene combattere la sedentarietà: per iniziare, vanno bene anche 10 minuti di camminata al giorno.
  • Allenare la mente: insieme al corpo, è molto importante tenere la mente in costante allenamento con attività stimolanti che aiutano a mantenere il cervello in forma. Qualche esempio: fare le parole crociate, prendere percorsi alternativi quando si guida, imparare a suonare un nuovo strumento.
  • Socialità: gli esseri umani sono animali sociali, e coltivare le relazioni affettive – oppure crearne di nuove – è un ottimo modo per fare del bene alla propria mente e alla propria memoria.
  • Tenersi organizzati: specie se già si sono sperimentati episodi di dimenticanza, è bene annotarsi quante più cose possibili e cercare di organizzare il proprio tempo; sono esercizi che fanno bene sia alla produttività sia alla mente.
  • Igiene del sonno: nei processi di immagazzinamento dei ricordi il sonno gioca un ruolo fondamentale; è importante quindi, dormire un sufficiente numero di ore a notte (di solito tra le 7 e le 9 ore) e avere una buona qualità del sonno.
  • Dieta sana: numerose evidenze suggeriscono che la dieta mediterranea ha degli effetti protettivi anche sulla memoria. Via libera quindi a cereali integrali, verdura, frutta; meglio preferiregrassi di origine vegetale come l’olio di oliva e fonti di proteine vegetali (come i legumi) o animali come il pesce e il pollame.
  • Tenere sotto controllo patologie croniche: condizioni cliniche come la depressione, l’ipertensione, il colesterolo alto, il diabete e la perdita dell’udito possono avere effetti sulla memoria; prendersi cura della propria salute aiuta anche a rafforzare il sistema della memoria.

 

Fonti:

Memory, forgetfulness and aging: what’s normal and what’s not

Do memory problems always mean Alzheimer’s disease?

Williams, P. B., & Nusbaum, H. C. (2016). Toward a Neuroscience of Wisdom. Neuroimaging Personality, Social Cognition, and Character, 383–395. doi:10.1016/b978-0-12-800935-2.00021-x 

Gold PE, Korol DL. Forgetfulness during aging: an integrated biology. Neurobiol Learn Mem. 2014 Jul;112:130-8. doi: 10.1016/j.nlm.2014.03.005. Epub 2014 Mar 24. PMID: 24674745; PMCID: PMC4051825.

Davis RL, Zhong Y. The Biology of Forgetting-A Perspective. Neuron. 2017 Aug 2;95(3):490-503. doi: 10.1016/j.neuron.2017.05.039. PMID: 28772119; PMCID: PMC5657245.

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