Gli anziani sono i custodi della memoria storica, quella familiare e quella della nostra società. Eppure spesso i primi effetti dell’invecchiamento si manifestano proprio sulla nostra capacità di ricordare: per capire il perché è necessario approfondire quello che sappiamo dei meccanismi della memoria

«I giovani hanno la memoria corta, e hanno gli occhi per guardare soltanto a levante; e a ponente non ci guardano che i vecchi, quelli che hanno visto tramontare il sole tante volte». Giovanni Verga, nel suo romanzo I Malavoglia, parla così della differenza di punti di vista tra le generazioni. In particolare, indica ciò che maggiormente contraddistingue le persone anziane: la memoria. Gli anziani, infatti, sono i custodi dei ricordi familiari e del mondo che è venuto prima di tutti gli altri: parafrasando lo scrittore siciliano, hanno la memoria lunga, e per questo sono rispettati dalle generazioni più giovani. Eppure, spesso gli effetti dell’invecchiamento si notano proprio sui ricordi: dal fisiologico deterioramento della memoria con l’avanzare dell’età, a vere e proprie malattie associate all’invecchiamento, come la malattia di Alzheimer che intacca pesantemente la capacità di ricordare. Proprio per il ruolo centrale che ha la memoria nelle nostre vite e nel contesto di un invecchiamento sano, scopriamo insieme come funziona da un punto di vista biologico.

La memoria al microscopio

L’8 dicembre 2000, a Stoccolma, lo psichiatra Eric R. Kandel riceveva il premio Nobel per la medicina per le sue scoperte sulla comunicazione delle cellule nervose, e, in particolare, su come esse immagazzinano i ricordi. Lo scienziato era riuscito a capire, grazie alle neuroscienze, il funzionamento biologico della memoria, e di come i neuroni creano e conservano l’unica cosa che ci rimane del passato, i ricordi.

Ma facciamo un passo indietro, perché, per capire il funzionamento della memoria, occorre capire prima come funziona il sistema nervoso, e, più nello specifico, il cervello. Il sistema nervoso centrale, infatti, è composto da diverse cellule, tra cui vi sono i neuroni, che ne costituiscono l’unità funzionale: è grazie a loro, in sostanza, che facciamo tutto, dal pensare, al parlare, al contrarre i muscoli, regolare la nostra respirazione, e molto altro. Tutte le componenti del sistema nervoso (le diverse porzioni del cervello, il midollo, i nervi che arrivano fino agli arti periferici) comunicano tra loro grazie ai collegamenti che si formano tra i neuroni, le sinapsi. Per essere più precisi, le informazioni all’interno del sistema nervoso viaggiano attraverso impulsi elettrici rapidissimi che si trasformano in segnali chimici, mediati da piccole molecole dette neurotrasmettitori: come se fosse un complesso circuito elettronico, tutto il sistema nervoso è finemente connesso, e un’informazione che si origina dal cervello può raggiungere in una manciata di millisecondi anche la porzione più periferica del nostro corpo, e viceversa. Il cervello stesso è un complesso insieme di circuiti di neuroni, detti reti neurali, in stretta connessione tra loro: quando si ha uno scambio di informazioni tra due o più neuroni si genera una sinapsi, e più quell’informazione viene ripetuta più il collegamento tra i due neuroni diventa più forte. Viceversa, se l’impulso cessa di generarsi, la sinapsi sarà sempre più debole: questo fenomeno prende il nome di plasticità sinaptica, ed è alla base delle scoperte di Kandel, grazie alle quali esso ha chiarito il processo di apprendimento e la memoria.

La memoria, proprio come tutte le funzioni del cervello, dipende da queste comunicazioni tra gruppi di neuroni. Più le informazioni vengono ripetute, più gli impulsi nervosi rafforzano le connessioni tra cellule: i ricordi allora, saranno più vividi e duraturi. Del resto, questo ci appare evidente con l’apprendimento, in cui la memoria gioca un ruolo fondamentale: è solo in seguito alla ripetizione che riusciamo a fissare le informazioni nella memoria. Il lavoro di Kandel ha dimostrato anche che i ricordi a breve e lungo termine sono costituiti da segnali chimici diversi.

Lo strano caso di H.M.

Ma cosa si intende per ricordi a lungo termine? Dobbiamo queste informazioni sulla memoria al lavoro della neuropsicologa Brenda Milner, in particolare ai suoi studi su di un caso clinico particolare, un ragazzo il cui nome viene riportato con la sigla H.M. Questi, da adolescente, ebbe un incidente che provocò una forma di epilessia molto grave, risolvibile solo con un particolare intervento chirurgico: la rimozione di una parte del cervello, il lobo temporale, compresa anche una delle regioni più profonde, l’ippocampo. All’epoca non si sapeva come funzionasse la memoria e non si pensava che ci fossero delle aree del cervello specifiche preposte all’immagazzinamento delle informazioni; eppure, dopo l’intervento, H.M. non riusciva più a mantenere le informazioni a lungo termine. Infatti, ricordava in maniera efficace eventi appena accaduti, ma li dimenticava poco dopo: la sua memoria autobiografica era ferma a prima dell’intervento. Un’altra particolarità di questo caso clinico era la capacità di H.M. di apprendere, inconsciamente, lavori pratici (come disegnare con la matita i contorni di una stella, riflessa in uno specchio): giorno dopo giorno l’abilità dell’uomo migliorava, nonostante lui non ricordasse di aver eseguito il test.

Grazie al caso di H.M. e agli studi successivi, oggi la memoria può essere classificata in:

  • Memoria a breve termine, quella in cui le informazioni immagazzinate permangono nel nostro cervello per un tempo limitato, generalmente finché non distogliamo l’attenzione.
  • Memoria a lungo termine, quella responsabile delle informazioni che rimangono fissate a lungo nel nostro cervello, da qualche mese (come per esempio le nozioni imparate per un esame) fino a tutta la vita, come i ricordi della nostra infanzia.
  • Memoria dichiarativa (o esplicita): la memoria così come la intendiamo di solito, costituita da ricordi coscienti di fatti, persone, luoghi ed eventi.
  • Memoria procedurale (o implicita): la memoria che non è cosciente ma che consente, per esempio, l’apprendimento di uno schema motorio, come andare in bicicletta.

La memoria a lungo termine dichiarativa è dovuta all’attività dell’ippocampo, una regione profonda del lobo temporale del cervello (quella rimossa durante l’intervento di H.M.), che è capace di integrare i segnali nervosi e far immagazzinare le informazioni nella corteccia cerebrale (la porzione del cervello deputata al pensiero, alla coscienza, all’integrazione delle informazioni sensoriali). La memoria procedurale, invece, non necessita dell’ippocampo: è per questo che H.M. la presentava intatta.

Il sistema della memoria, dunque, è finemente regolato dall’ambiente esterno, dalle emozioni e dall’attività dei neuroni di queste aree del cervello. In più, le sue caratteristiche biologiche lo rendono altamente plastico, capace di modificarsi nel corso della vita. Se gli anziani sono i custodi della memoria, è anche vero che man mano che avanza l’età i ricordi possono vacillare: con lo scorrere del tempo, come tutte le cellule, anche i neuroni possono danneggiarsi, e un generale indebolimento della memoria è considerato fisiologico. In alcuni casi, però, i ricordi possono abbandonarci prima del previsto, e più rapidamente: è il caso di alcune malattie neurodegenerative, come la malattia di Alzheimer. Sebbene il funzionamento dei processi della memoria, specie per alcuni aspetti legati a queste patologie, rimanga oscuro, è possibile attuare delle strategie di prevenzione, che conservino il più a lungo possibile i ricordi: prossimamente vedremo come è possibile proteggere la nostra memoria, anche in età avanzata.

Foto di Free-Photos da Pixabay

 

Bibliografia

  • E. Kandel (2007). Alla ricerca della memoria. Codice Edizioni. Capitolo 8
  • Amadini, M. (2018). L’anziano come custode della memoria familiare. LA FAMIGLIA, 114-125.
  • Rasch B, Born J. About sleep’s role in memory. Physiol Rev. 2013 Apr;93(2):681-766. doi: 10.1152/physrev.00032.2012. PMID: 23589831; PMCID: PMC3768102.
  • Dudai Y, Karni A, Born J. The Consolidation and Transformation of Memory. Neuron. 2015 Oct 7;88(1):20-32. doi: 10.1016/j.neuron.2015.09.004. PMID: 26447570.

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