Con l’avanzare dell’età il sonno spesso peggiora. È quasi un clichè: diminuiscono la sua quantità e la sua qualità, tanto da portare a dei veri e propri disturbi del sonno. Ce ne parla un neurologo specializzato in neurofisiologia clinica che da circa 15 anni si interessa di disturbi del sonno, interesse culturale che definisce “pruriginoso”. Franco Coppo è stato per vent’anni primario della Divisione di Neurologia dell’Ospedale Sant’Andrea di Vercelli.

Con quale frequenza insorgono problematiche del sonno negli anziani over 70?

Al momento posiamo affidarci solamente a dati provenienti da bibliografia anglosassone, che descrivono una prevalenza del 30-60% di problematiche del sonno negli anziani con un’incidenza – nuovi casi che emergono ogni anno – nell’ordine del 5%. Dati chiari riferiti all’Italia mancano ma è plausibile che siano più alti di quelli citati. Questo perché siamo secondi solo al Giappone in quanto a consistenza della popolazione over 70 e addirittura primi al mondo per problematiche cliniche degli anziani, con quello che ciò comporta in termini di terapie e politerapie, che possono indurre problemi del sonno.

Come cambia la qualità del sonno con l’invecchiamento?

Durante la senescenza negli over 70 esistono già delle alterazioni strutturali della fase del sonno.

Tra queste l’aumento di latenza dell’inizio del sonno: se, dal momento in cui ti metti a letto per addormentarti, l’attesa per prender sonno è di oltre mezz’ora, si innesca un atteggiamento di tensione, di rabbia, di impotenza, che peggiora le cose aumentando ulteriormente questo ritardo. Quindi possiamo dire che si parte già piuttosto male nella primissima parte della notte.

Poi abbiamo una frammentazione della continuità del sonno con i cosiddetti risvegli infra-sonno. Questi risvegli generalmente sono a loro volta seguiti da una cattiva gestione: “Sto a letto a tutti i costi nel tentativo di riprendere sonno, questo non arriva, l’ansia sale e il sonno si allontana”.

Ci sono poi alcune alterazioni strutturali, rilevabili tramite la polisonnografia: alterazioni del sonno profondo, che diventa frammentato nelle persone anziane anche se dormienti.

Un ultimo aspetto è il risveglio precoce.

Facendo una sintesi, nell’anziano il sonno “parte male”, con un addormentamento posticipato, è discontinuo e frammentato e si interrompe prima che la sveglia suoni. Tutto ciò determina l’insorgenza di disturbi del sonno negli anziani.

Che cosa si intende per disturbo del sonno?

Il disturbo del sonno è una profonda alterazione della qualità del sonno caratterizzata da cambiamenti nella sua durata, continuità, intensità e stabilità: questo ensamble determina quella sensazione di malessere al risveglio, di aver dormito male anche se c’è stato un lungo tempo di riposo a letto.

È importante distinguere questi due aspetti: il tempo di letto dal tempo di sonno. Cioè ci sono persone che restano letto 9 o 10 ore, ma ne dormono 4 o 5. Questa discrepanza peggiora la qualità del sonno, per cui dobbiamo cercare di mantenerla più bassa possibile.

Altrimenti cadiamo nella trappola dell’insonnia che può anche essere episodica – un’esperienza capitata a tutti nel corso della vita – ma se si protrae fino a superare i tre mesi, diventa insonnia cronica.

Quali sono le cause più frequenti dei disturbi del sonno negli anziani?

Per cominciare abbiamo la depressione e l’ansia, ovvie condizioni che alterano la fluidità è la continuità del sonno.

Poi c’è il dolore cronico, pensi negli over 70 la prevalenza di artrite reumatoide, malattie reumatiche, della semplice artrosi, della polinevrite di qualunque natura essai sia, soprattutto quella diabetica.

Poi abbiamo l’uso di farmaci. Gli anziani over 70 hanno spesso diverse patologie e molte patologie significano molte terapie farmacologiche: spesso non si tien conto fino in fondo degli effetti che ciascun farmaco per conto proprio, oppure in seguito all’interazione con altre terapie farmacologiche, può produrre sulla qualità del sonno.

E poi le classiche patologie internistiche: le pneumopatie, le cardiopatie, il diabete, l’ipotiroidismo, la presenza di un’ernia iatale con reflusso gastroesofageo.

Tutte queste patologie influenzano il sonno per il dolore che provocano ma anche per l’imposizione di una discontinuità del sonno. Sento pazienti che devono, proprio per parlare dell’urgenza minzionale, risvegliarsi quelle tre quattro volte a notte – diciamo così, “richiamati dalla vescica” – e quindi obbligati a riaddormentamenti spesso poco facili.

Poi ci sono delle cause, diciamo, di più squisito interesse sonnologico che sono molto rappresentate negli over 70: la sindrome delle gambe senza riposo, le apnee del sonno, i disturbi comportamentali della fase REM.
La sindrome delle gambe senza riposo è la necessità improvvisa, che compare nel momento in cui tu ti stendi a letto, di muovere le braccia, le gambe o l’intero corpo per una sensazione che viene definita spesso di formicolio. In realtà è un disagio motorio che ti porta a non riuscire a prendere sonno. Quindi devi alzarti, camminare… tutto passa e ritorni a letto et voilà: ricominciano i disturbi.

Le apnee notturne consistono nel ripetersi di episodi di completa e/o parziale ostruzione delle vie aeree superiori durante il sonno, normalmente associati a una riduzione della saturazione di ossigeno nel sangue: nell’anziano possono essere ostruttive, in genere correlate a una condizione di obesità, o possono essere centrali, legate a problematiche cardiorespiratorie. Ci sono anche forme miste, queste possono essere studiate con una polisonnografia completa.

In ultimo, i disturbi nella fase REM, o REM Behavioral Disorders. Sono caratterizzati dalla comparsa di un sogno vivido in genere estremamente allarmante – sto per essere aggredito, vengo inseguito da animali, da cani, sto precipitando in un burrone –  sostenuto dalla mancata paralisi che generalmente caratterizza la fase REM. I soggetti che ne risultano affetti urlano, si agitano, imprecano, tirano schiaffi al partner, cadono dal letto; ciò genera un problema di continuità del sonno ma anche un rischio fisico per chi dorme accanto.

Anche i comportamenti e lo stile di vita possono mettere a rischio la qualità del sonno?

Certo. Per esempio, i pisolini in momenti non congrui: è comune che un anziano dorma anche dalle 3 alle 5 di pomeriggio; la siesta non dovrebbe superare i tre quarti d’ora, o un’ora, e non dovrebbe eccedere le 15 pomeridiane per mantenere quella ciclicità armonica che ci permette di dormire con continuità.

Un altro comportamento comune ma poco salutare è quello di appisolarsi dopo cena davanti alla televisione. Alle 9- 9:30 di sera questo incipit di sonno può durare pochi minuti fino a un’ora o due, dopo di che l’anziano si alza e vuole andare a dormire a letto. Ma ha “sprecato” un’accensione del meccanismo del sonno, che non ritornerà con facilità e continuità.

Sono certamente da citare anche le condizioni di ambiente: il caldo, il freddo, il cuscino inadeguato, il materasso, la luce che entra. Tutti fattori che possono generare una variabilità del sonno. Le condizioni d’ambiente dipendono anche dalla sensibilità individuale e dalla stagionalità. I rumori d’ambiente mostrano inoltre l’importanza dell’adattamento dato dall’abitudine: un rumore insolito ci sveglia, mentre l’abitualità e quindi il ripetersi del rumore incide molto meno nel determinare l’insonnia.

Tra le cause dei disturbi del sonno c’è anche l’abuso di bevande eccitanti, come il caffè?

Certo, e non solo. Teniamo conto che sia le bevande eccitanti – il tè, il caffè con la caffeina – sia l’alcool, sono utilizzati fondamentalmente per abitudine.

Riguardo alle prime, la risposta alla teina e alla caffeina – che sono poi la medesima sostanza – sono determinate geneticamente e anche abbastanza variabili. Con questo intendo che ci sono persone che possono tranquillamente prendere un caffè doppio prima di andare a letto e dormire beatamente, mentre altre persone se dopo le 16 assumono un caffè leggero o un tè, non riescono più a prender sonno.

L’abitudine all’alcool può essere l’effetto di una errata terapia nei confronti di malinconia e ansia, perché è un buon ottimizzatore, nel senso che ti fa salire il tono della partecipazione esistenziale ma è anche un ottimo ipnoinduttore per i primi 10, 15, 20 giorni. Dopo di che la trappola scatta perché chi abusa di alcol non riesce più a dormire a causa dell’ assuefazione: l’alcole quindi è da evitare nella immediatezza del sonno e, io direi, anche nel corso della giornata.

Quali possono essere le conseguenze di un disturbo del sonno cronico?

Si dice chi dorme non piglia pesci, quello che è certo è che chi non dorme piglia peso. L’insonnia porta con sé un aumento dell’appetito, anche di cibi incongrui, ergo un aumento di peso e in ultimo l’obesità.All’aumento di peso si possono accompagnare diabete e ipertensione e come conseguenza di queste condizioni, un aumento di aritmie cardiache e cardiopatie ipertensive.

Un‘ulteriore possibile conseguenza dei disturbi cronici del sonno è un deficit del sistema immunitario e una maggiore suscettibilità alle infezioni e alle malattie su base autoimmune.

Infine, ci sono l’ansia, la depressione, l’aggressività e i disturbi della memoria.

Esiste, quindi, un rapporto tra sonno e declino cognitivo in età avanzata?

Il sonno, in effetti, è conditio sine qua non per la fissazione delle porzioni di memoria che sono state utilizzate nei giorni precedenti. In particolare, il sonno ad onde lente, come anche il sonno REM, intervengono nella gestione, nella codifica e nella strutturazione della memoria. La frammentazione delle fasi REM che interviene in un disturbo del sonno non fa che enfatizzare questa problematica: un cattivo sonno vuol dire una cattiva memorizzazione.

Esiste un rapporto stretto, anche se non lo possiamo definire causale, tra malattie degenerative del sistema nervoso – Alzheimer, Morbo di Parkinson e altre forme di demenza – e le caratteristiche del sonno del paziente nei mesi e negli anni precedenti. Ora, non è ancora chiaro se è venuto prima il disturbo degenerativo che ha condizionato la variabile del sonno o viceversa. Però è un dato di fatto che queste situazioni siano in qualche modo correlate.

Come si può affrontare il problema dei disturbi del sonno nelle persone anziane?

Il rischio è quello di aggiungere farmaci su farmaci in una situazione in cui la reattività del paziente e il suo metabolismo possono essere molto alterati. È quindi spesso preferibile valutare strategie psico-comportamentali come un’attenta igiene del sonno e prestare attenzione alle cattive abitudini di cui abbiamo già parlato, per ragionare su come instaurare delle nuove, più sane, routine. Questo tipo di intervento che pare tutto sommato qualcosa di banale permette di ottenere ottimi risultati.

Un’altra esperienza che le persone anziane rischiano di lasciarsi scappare a discapito di un buon sonno è quella di esporsi alla luce solare: si parla persino di Light Therapy, esporsi alla luce nelle prime ore del mattino, perché innesca la produzione di melatonina che è uno degli ormoni fondamentali nella gestione del sonno.

Infine, una buona attività fisicanei limiti del possibile per un paziente anziano – porta a una maggior produzione dell’adenosina che è un altro “accenditore” del sonno.

Solo in un secondo momento, dopo avere valutato queste terapie comportamentali, potremo passare ai farmaci.

Qual è il posto della medicina del sonno nella cura dell’anziano?

La medicina del sonno che ha, almeno in Italia, massimo 50 anni di storia è uno degli ambiti più recenti di tutta la neurologia. Non è, in effetti, solo di pertinenza neurologica perché coinvolge anche pneumologi, otorinolaringoiatri, perfino dentisti.

Invece l’analisi del sonno è ancora un po’ lasciata da parte da molti medici. Chiediamo “Che sintomi hai?”, “Come stai?” e poi facciamo la diagnosi. Ma quanto il sonno interviene nel determinare quel problema? O quanto quel problema interviene nel determinare la cattiva qualità del sonno? Sono cose che vorrei che la nuova generazione medica fosse un pochino più attenta a recepire.

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