Riferimento bibliografico

Silveira Santos CG, Romani RF, Benvenutti R et al. Acute Kidney Injury in Elderly Population: A Prospective Observational Study. Nephron. 2018;138(2):104-112. doi: 10.1159/000481181.

 

In sintesi

L’insufficienza renale acuta o danno renale acuto (Acute Kidney Injury-AKI) è una sindrome clinica complessa determinata dalla riduzione improvvisa della funzionalità renale con una prevalenza maggiore nella popolazione anziana. Il setting ospedaliero si configura come quello in cui si riscontra il maggior rischio di sviluppo di AKI. La gravità dell’AKI è correlata negativamente con l’esito della malattia nei pazienti e la classificazione internazionale più diffusa è quella esposta nelle K-DIGO del 2012 (stratificazione in 3 stadi, con gravità crescente, in base ai valori di creatinina sierica e/o della diuresi). Il danno renale può essere reversibile grazie a fenomeni di adattamento funzionali, strutturali e molecolari, ma può anche progredire verso la malattia renale cronica (Chronic Kidney Disease-CKD) e la necessità di avviare la dialisi.
Il presente studio, svolto in Brasile, ha valutato le caratteristiche di pazienti anziani ricoverati in ospedale e le variabili associate alla gravità dei quadri di AKI e alla terapia necessaria.

 

Il contesto e il punto di partenza

Negli ultimi anni, numerosi studi si sono cimentati nella valutazione dell’incidenza dell’insufficienza renale acuta o danno renale acuto (Acute Kidney Injury-AKI) nei pazienti ricoverati in ospedale; i risultati complessivamente sono concordi nel sottolineare come l’AKI coinvolga circa 8-16% della popolazione ricoverata. La prevalenza di tale condizione sta aumentando nel corso degli ultimi anni in dipendenza da variabili della popolazione generale (età anagrafica in progressivo aumento, aumento delle comorbilità, etc.), dalla maggior capacità di riconoscere l’AKI e dal grande numero di eventi clinici intercorrenti acuti che si associano al calo della funzionalità renale (shock settico, shock cardiogeno, etc).

 

Caratteristiche dello studio

Si tratta di uno studio prospettico osservazionale condotto in Brasile su un campione di 286 pazienti anziani (definiti dagli Autori come di età maggiore di 60 anni) ricoverati in ospedale con diagnosi di AKI. Sono state esaminate diverse variabili: gravità dell’AKI, tempo intercorso prima della valutazione nefrologica, esecuzione di trattamento emodialitico, accesso in reparti di Terapia Intensiva ed esito della malattia.

 

I risultati ottenuti

La mortalità complessiva è stata pari al 53% del campione; questi, rispetto al gruppo di controllo (pazienti dimessi alla fine del ricovero) hanno registrato un tempo di degenza in ospedale maggiore, un’incidenza di AKI parenchimale (patologia propria del rene e non secondaria ad altre cause) e durata maggiore di AKI, un grado più grave di AKI (in particolare stadio 3) e la necessità di ricorrere al trattamento dialitico sostitutivo. In particolare, in un’analisi multivariata, lo sviluppo di AKI parenchimale si associava al decesso del paziente con OR 2,88 (intervallo di confidenza 95%:1,29 – 6,13).
Il 36.4% dei pazienti dimessi che avevano già la malattia renale cronica (Chronic Kidney Disease-CKD) hanno avuto un ulteriore declino della funzione renale.
Circa il 15% dei pazienti dimessi ha dovuto ricorrere al trattamento dialitico in cronico e i fattori che sembrano essere legati a tale evento sono stati l’età, la gravità dell’insufficienza renale acuta o danno renale acuto (Acute Kidney Injury-AKI), la presenza di pregressa CKD, il diabete mellito e il numero di sedute emodialitiche eseguite in corso di AKI.

 

Limiti dello studio

Il principale limite dello studio è rappresentato dal cut-off per definire la popolazione anziana (60 anni); nel 2019 l’Istat ha definito per la popolazione italiana anziana il nuovo cut-off di 75 anni. Inoltre, si tratta di uno studio monocentrico i cui risultati devono essere replicati in altre sedi.

 

Quale la novità

Uno degli aspetti più significativi riguarda il tentativo di analizzare l’AKI in un Paese in via di sviluppo, proprio per sottolineare come essa sia una problematica che riguarda l’intera popolazione mondiale e come l’AKI, nonostante la variabilità nell’identificazione della popolazione anziana, sia una condizione che interessa pazienti con età più avanzata.

 

Quali le prospettive

Lo studio che abbiamo riportato, come numerosi altri pubblicati in letteratura è simile a quello che stiamo conducendo c/o la A.O.U. “Maggiore della Carità” di Novara-UPO mirato a mettere in luce l’associazione tra l’invecchiamento generale della popolazione e una minor capacità da parte del rene di resistere agli insulti (i.e. uso di farmaci nefrotossici, eventi ischemici e/o tossici), determinando quindi la riduzione della funzione renale (“Aging Kidney”).
Tale condizione può essere transitoria, con recupero quindi della funzionalità dei reni come prima che si verificasse l’insulto stesso, oppure può determinare come detto un “maladaptive repair” con progressione verso la malattia renale cronica.
Il rene senile quindi è più esposto agli episodi di AKI in quanto diminuisce la propria riserva funzionale (la capacità di poter rispondere in modo adeguato alle sollecitazioni fisiopatologiche con un aumento relativo della filtrazione glomerulare): la predisposizione ad AKI pone il paziente in una condizione di fragilità maggiore e a un aumento dei ricoveri e dei costi sanitari. Sia un adeguato inquadramento nefrologico con la collaborazione dei MMG sul territorio, sia un’adeguata opera di prevenzione possono portare a preservare questa riserva funzionale renale e quindi limitare per numerosità e gravità gli eventi di AKI nella popolazione anziana, migliorandone l’esito clinico e rallentando la progressione verso forme più gravi di malattia renale cronica che necessitano trattamento dialitico.

 

A cura di Umberto Morosini


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