Riferimento bibliografico

N.C. Harvey et al. Optimisation of vitamin D status in global populations; Osteoporosis International, 2024 Aug, 35(8):1313-1322; doi: 10.1007/s00198-024-07127-z.

 

In sintesi

Molto è stato scritto sul ruolo della vitamina D nella salute muscolo-scheletrica, principalmente nel contesto di interventi per i pazienti, ovvero con un paradigma rivolto alla malattia e non alla salute della popolazione. Tuttavia, data la notevole variazione nelle concentrazioni di 25-idrossivitamina D a livello globale, sia tra popolazioni sia al loro interno, e dato che l’esposizione al sole, la fortificazione degli alimenti e gli integratori forniscono interventi facilmente disponibili per aumentare le concentrazioni di vitamina D, è evidente che il problema dovrebbe essere affrontato non solo per i singoli pazienti che potrebbero avere una malattia sintomatica, ma a livello di popolazione. La presente revisione affronta le ultime scoperte sulla variazione delle concentrazioni globali di 25-idrossivitamina D, le questioni chiave relative ai metodi di misurazione e alla standardizzazione, le considerazioni relative all’integrazione e alla fortificazione alimentare, e i meriti dello screening rispetto all’intervento a livello di popolazione.

 

Il contesto e il punto di partenza

La carenza di vitamina D e le relative conseguenze per la salute pubblica e per la clinica sono riconosciute come un problema globale. Nonostante ciò, il raggiungimento uniforme di uno stato adeguato di vitamina D attraverso la dieta e un’esposizione sicura al sole rimane una sfida per i clinici e gli esperti di salute pubblica. In tutte le regioni del mondo e in tutti i gruppi etnici persiste una scarsità di dati rappresentativi della popolazione, accertati in modo coerente, che affrontino la misurazione della 25-idrossivitamina D (25(OH)D), ovvero la principale forma di deposito circolante dell’ormone. Sebbene ci siano differenze nella definizione di carenza, è generalmente accettato che livelli di 25(OH)D inferiori a 25 nmol/L indicano un rischio aumentato di malattie muscolo-scheletriche, ad esempio rachitismo, osteomalacia, osteoporosi, fratture e cadute.

La prevalenza di carenza è più alta in Europa, Asia e Africa (24-49%) rispetto ad America Latina, Oceania e Nord America (5-18%) così come è maggiore nei soggetti con pigmentazione della pelle più scura. Fattori come la fortificazione alimentare (per esempio in Finlandia e Canada) e l’apporto di calcio influenzano i livelli, superando la semplice relazione con la latitudine.

 

Le caratteristiche dello studio

Questo articolo di revisione narrativa costituisce un Position Paper a nome del gruppo di lavoro sulla vitamina D del Comitato di Consiglieri Scientifici dell’International Osteoporosis Foundation e integra una revisione completa del ruolo della vitamina D nelle malattie muscolo-scheletriche, recentemente pubblicata da un gruppo di lavoro della Società Europea per gli Aspetti Clinici ed Economici dell’Osteoporosi, dell’Osteoartrite e delle Malattie Muscolo-scheletriche.

 

I risultati ottenuti

Integrazione di vitamina D. Le due forme più comuni di vitamina D disponibili per via orale sono l’ergocalciferolo di derivazione vegetale (D2) e il colecalciferolo di derivazione animale (D3); quest’ultima è generalmente preferita per la maggiore efficacia e la migliore misurabilità. Inoltre, il calcifediolo orale aumenta il 25(OH)D più rapidamente del colecalciferolo.
Dosi di bolo o di carico di vitamina D, utilizzate per reintegrare rapidamente gli adulti con carenza, sono sconsigliate per l’ottimizzazione a lungo termine, a causa del rischio di aumentare FGF23, un’osteochina prodotta principalmente nell’osteocita, che regola il metabolismo del fosforo e della vitamina D nel rene; questo può portare a un ridotto assorbimento di calcio e ad un aumento del rischio di fratture e cadute.
Per la popolazione, si raccomandano dosi giornaliere modeste (circa 800-1000 UI/giorno) di colecalciferolo, che sono più che efficaci nel prevenire la carenza franca di vitamina D mentre è estremamente improbabile che causino effetti avversi; è preferibile ricorrere a prodotti medicinali autorizzati, per avere maggiori garanzie del contenuto . Per la riduzione del rischio di fratture, tuttavia, la sola vitamina D non sembra essere efficace. Al contrario, l’integrazione combinata con vitamina D e calcio, a dosi, rispettivamente, di 400-800 UI e 1000-1200 mg al giorno ha ridotto il rischio di frattura dell’anca del 16% e il rischio di frattura del 6% negli anziani con assunzioni insufficienti.

Fortificazione alimentare. La fortificazione alimentare è un metodo efficace per ottimizzare lo stato di vitamina D nella popolazione, riducendo la dipendenza dall’esposizione solare e il conseguente rischio di cancro della pelle. Paesi come Stati Uniti, Canada e Finlandia hanno adottato questa strategia, rendendo obbligatoria la fortificazione per alcuni alimenti comuni, mostrando aumenti significativi dei livelli medi di 25(OH)D. La fortificazione è associata a rari eventi avversi ed è un approccio relativamente sicuro ed efficiente per la salute pubblica.

Approcci alla salute della popolazione. Le linee guida internazionali sulla vitamina D variano, concentrandosi sulla popolazione generale o su individui a rischio muscolo-scheletrico. Le raccomandazioni si basano principalmente sull’apporto dietetico, attraverso fonti alimentari naturali o fortificazione, poiché non ci sono prove sufficienti per raccomandazioni che includano livelli sicuri di esposizione alla luce solare.
La US National Academy of Medicine ha fornito raccomandazioni sull’assunzione di vitamina D per la popolazione generale come segue: per le età da 51 a 70 anni, 15 µg (600 UI) al giorno, e per l’età di 71 anni e oltre, 20 µg (800 UI) al giorno; ciò è stato accompagnato da una raccomandazione di un livello target di 50 nmol/L.
Il UK Scientific Advisory Committee on Nutrition si è concentrato sulla prevenzione della carenza più grave (< 25 nmol/L) all’interno della popolazione generale, raccomandando un’assunzione giornaliera di riferimento di 400 UI (10 µg) al giorno per gli individui di 4 anni o più.
Altre organizzazioni hanno formulato raccomandazioni per le persone a rischio di disturbi muscoloscheletrici raccomandano un livello target di 75 nmol/L. La International Osteoporosis Foundation raccomanda l’integrazione di vitamina D per gli anziani di 60 anni o più, che sono generalmente a maggior rischio di disturbi muscoloscheletrici, con una dose di vitamina D da 800 a 1000 UI/giorno per beneficiare della salute ossea e aiutare a ridurre il rischio di cadute. Per le persone con osteoporosi, l’integrazione sarebbe affiancata a un trattamento definitivo per la condizione, come un farmaco anti-riassorbitivo.
Le raccomandazioni dovrebbero sempre essere chiare sul gruppo target e sugli esiti previsti.

Screening/integrazione della popolazione. Lo screening di massa per la carenza di vitamina D non è generalmente giustificato per la popolazione asintomatica, dati i costi elevati dei test e la scarsa evidenza di benefici per esiti diversi da quelli muscolo-scheletrici. Ad esempio, uno studio australiano ha stimato che nel 2020 ci siano stati quasi 3,5 milioni di test di vitamina D non necessari, per un costo di oltre 87 milioni di AUD (~56 milioni di USD) e generando un’impronta di carbonio equivalente a percorrere fino a 230.000 km con un’autovettura standard.
La carenza è facilmente prevenibile e trattabile con integratori o fortificazione; inoltre, l’integrazione è spesso più economica del test stesso. Lo screening può essere più razionale per le popolazioni ad alto rischio di grave carenza (per esempio le persone con pelle scura che vivono in latitudini elevate, gli anziani istituzionalizzati), ma anche in questi casi l’integrazione diretta potrebbe essere più conveniente. È essenziale un approccio personalizzato, considerando l’apporto di calcio e altri fattori contestuali, poiché interventi unici possono avere effetti inattesi.
La “Endocrine Society” raccomanda lo screening delle persone a rischio, inclusi afroamericani e ispanici, donne in gravidanza e in allattamento, anziani con una storia di cadute o fratture non traumatiche e pazienti con una serie di malattie che coinvolgono lo scheletro.

 

I limiti dello studio

La misurazione della 25(OH)D è la migliore per lo stato di vitamina D, ma presenta una variabilità significativa tra saggi e laboratori, nonostante gli sforzi di standardizzazione (Vitamin D External Quality Assessment Scheme DEQAS, Vitamin D Standardisation Program VDSP). Questa variabilità ostacola la definizione di carenza, i confronti e le metanalisi. Lo studio raccomanda che tutte le riviste scientifiche citino misure standardizzate di 25(OH)D secondo le linee guida VDSP per migliorare la validità scientifica.

 

Quali le novità

Punti chiave

  • La vitamina D varia globalmente nella popolazione in base a fattori come la latitudine, il sole, la pigmentazione e copertura della pelle e la dieta.
  • L’apporto di calcio interagisce con la vitamina D sulle conseguenze della carenza.
  • La variabilità analitica dei test di 25(OH)D ostacola i confronti; si richiedono misurazioni standardizzate.
  • Per gli adulti sani, si raccomandano 800-1000 UI/giorno di colecalciferolo orale, preferibilmente attraverso prodotti medicinali autorizzati.
  • I dosaggi in bolo o di carico di vitamina D sono sconsigliati per l’aumento del rischio di cadute e fratture.
  • La fortificazione alimentare e l’integrazione modesta sono i metodi preferiti per ottimizzare lo stato di vitamina D nella popolazione.
  • Lo screening di routine per la carenza di vitamina D nella popolazione generale non è giustificato.
    Screening e/o integrazione possono essere appropriati per popolazioni ad alto rischio.

 

Quali le prospettive

Le prospettive future sull’uso della vitamina D si orientano verso una medicina di precisione, con integrazioni personalizzate basate sul profilo di rischio e genetico del paziente. La ricerca continuerà ad esplorare il suo ruolo in diverse malattie croniche extra-scheletriche, come quelle cardiovascolari, autoimmuni e oncologiche, sebbene siano necessari ulteriori studi per confermarne l’efficacia.

Per quanto riguarda la misurazione della vitamina D, si assisterà a una maggiore adozione di tecniche analitiche avanzate per una maggiore accuratezza. Crescerà l’interesse per la misurazione dei metaboliti liberi e della proteina legante la vitamina D (DBP), considerati più rappresentativi della frazione biologicamente attiva. Potrebbero emergere anche test non invasivi (per esempio su urina o saliva) e l’integrazione con la genomica per una comprensione più completa del metabolismo individuale.

Le sfide attuali includono il dibattito sui livelli ottimali di vitamina D e la necessità di studi clinici più ampi per definire meglio le indicazioni terapeutiche, bilanciando l’efficacia con il rapporto costo-efficacia dello screening.

 

A cura di Edoardo Sola


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