E se il tempo fosse un’illusione? È quanto sembrano dirci alcuni recenti sviluppi della fisica e della filosofia della scienza sullo scorrere in avanti del tempo. Ne ha parlato Matteo Morganti, Professore di Logica e Filosofia della Scienza all’Università Roma Tre, durante il webinar Teorie dell’invecchiamento: la filosofia del tempo. A partire dalle affascinanti suggestioni scaturite da questo evento, che da una parte aveva indagato la possibilità dei viaggi nel tempo e dall’altra aveva scardinato le convinzioni radicate nel nostro senso comune, vogliamo approfondire non solo la natura fisica e filosofica del tempo, ma soprattutto il suo rapporto con l’invecchiamento.

 

Professor Morganti, perché è utile indagare il tempo e l’invecchiamento da un punto di vista filosofico?

Prima di tutto c’è da dire che sia la filosofia che le scienze non hanno a che fare con risposte definitive, ma con possibili concezioni: in generale la scienza e la filosofia hanno lo stesso obiettivo – non a caso sono nate nello stesso momento storico, nell’antica Grecia – cioè cercare di spiegare quello che appare all’esperienza. All’origine le ipotesi proposte per spiegare i fenomeni dell’esperienza umana erano quelle dettate dal senso comune: le cose venivano definite sulla base di come ci appaiono. Ma la filosofia e la scienza cercano di capire se l’apparenza è veramente sufficiente per spiegare la realtà, o se si può andare oltre. Il vero salto concettuale c’è stato quando si è capito che l’apparenza non spiega tutto, e che per risolvere alcuni interrogativi dobbiamo sacrificare un po’ di quello che appare. Indagare il tempo da un punto di vista filosofico e fisico ci mette davanti a interrogativi di questo tipo, che possono riguardare anche l’invecchiamento: a volte le risposte sembrano cozzare con il senso comune, ma è proprio questo lo scopo dell’indagine.

 

Il tempo è reale o è solo un’apparenza? E se si tratta solo di un’apparenza, perché gli effetti dell’invecchiamento, che noi invece vediamo benissimo, ci colpiscono in maniera così evidente nella nostra quotidianità?

Alla domanda su che cosa sia il tempo ci sono varie risposte. Alcune di esse dicono che il tempo non è reale nel senso in cui ci appare, e che quindi dobbiamo guardarlo con una nuova concezione, un po’ come quando abbiamo cominciato a pensare che al centro dell’universo non c’era la Terra. All’estremo opposto ci sono le evidenze della fisica: esse sembrano dirci che il tempo non esiste. Ma negare la realtà del tempo non vuol dire negare la realtà dell’esperienza che abbiamo del tempo. Sono due cose separate. Si tratta solo di capire che il tempo fisico non è ciò che pensavamo, e l’esperienza del tempo va spiegata in altri termini, che possono essere psicologici, oppure biologici, come nel caso del fenomeno dell’invecchiamento. Quindi anche se si dimostrasse che il tempo è illusorio ci sono teorie che comunque spiegano la nostra esperienza del tempo.

 

Se il tempo è un’illusione, allora la sequenzialità con cui viviamo la nostra vita in realtà non esiste oggettivamente. In uno scenario simile, che cosa significa il libero arbitrio?

Alcune teorie filosofiche assumono che il tempo sia semplicemente analogo alla posizione nello spazio, e quindi il momento che ci sembra di vivere ora è solo un trovarsi per caso o quasi in una regione all’interno di un universo quadri-dimensionale (spazio-temporale) che già contiene tutto ciò che è fisicamente rilevante. Ma se non c’è differenza nel contenuto di realtà fra passato, presente e futuro, allora che senso ha agire per uno scopo e cercare di determinare le azioni con conseguenze buone oppure cattive?

Qui i filosofi non hanno una posizione comune: da una parte ci sono quelli secondo cui l’essere umano non ha nessuna possibilità di esercitare il libero arbitrio: a noi sembra di determinare il nostro futuro, ma in realtà tutto avviene secondo necessità e non siamo davvero noi gli artefici di quello che facciamo. L’altro gruppo invece è quello che non ritiene soddisfacente questa concezione di libero arbitrio, perché se la accettassimo non saremmo più responsabili in senso stretto delle nostre azioni, con implicazioni anche etiche. Questo gruppo di filosofi non è disposto a salvare la scienza a discapito dell’esperienza, e allora le reazioni sono due: o si rifiuta la scienza e quello che ci dice sul mondo, cercando di preservare una nozione forte di libero arbitrio anche alla luce delle indicazioni che sembrano provenire dalle teorie scientifiche, oppure si prende atto che la scienza è il migliore strumento che abbiamo per fare delle cose, ma non mi dice come stanno veramente le cose.

 

In medicina il dilemma del libero arbitrio può essere traslato alla possibilità della prevenzione. Assecondando la visione deterministica dell’universo, in cui tutto quello che deve accadere è già accaduto, che senso ha la prevenzione ai fini dell’invecchiamento?

La prevenzione, in fin dei conti, è l’attività più tipica dell’essere umano: egli pensa al passato ma con l’idea di agire per il futuro, e ovviamente questo in medicina riveste un ruolo di grande importanza. Rifacendoci alle due posizioni sul libero arbitrio, una conseguenza della prospettiva “pessimista” (che rifiuta la possibilità del libero arbitrio) è che effettivamente la prevenzione non è una cosa che decidiamo di fare: anche in questo caso, noi abbiamo la sensazione di essere artefici di certe azioni che hanno conseguenze per il futuro, ma siamo in realtà una versione grande di un meccanismo che è lo stesso per le molecole e gli atomi: proprio come le particelle, noi non decidiamo che cosa fare ma obbediamo a leggi.

L’altra risposta è quella “ottimista” secondo cui il libero arbitrio esiste e quindi anche la prevenzione è una nostra responsabilità. In generale, mi sembra di poter dire che anche nella prevenzione c’è la stessa separazione fra elaborazione filosofica ed esperienza di vita quotidiana che ho detto prima: la filosofia della scienza non ha la pretesa di cambiare la vita quotidiana ma di inquadrarla in un contesto più ampio e quindi chi fa prevenzione è giusto che la faccia e continui a farla con l’idea di poter cambiare il futuro.

 

Il nostro universo è caratterizzato dall’aumento di entropia, che in fisica indica il grado di disordine di un sistema fisico. Durante il webinar ci ha spiegato che l’invecchiamento può essere collegato a questo fenomeno e che quindi in un universo in cui l’entropia diminuisce anziché aumentare potrebbe verificarsi l’effetto “Benjamin Button”, personaggio letterario che nasce vecchio e diventa man mano più giovane. In che modo invecchiamento ed entropia sono collegati?

Preciso che l’effetto “Benjamin Button” è un esempio che ho usato nel webinar a livello illustrativo per dare una suggestione, e non si tratta in alcun modo di una possibilità che viene data per scontata dalla scienza. Il punto è che essenzialmente gli organismi viventi sono basati sulla gestione dell’energia: un elemento necessario per un sistema vivente è cercare di andare contro l’aumento di entropia all’interno dell’organismo, cioè cercare di aumentare l’organizzazione interna. La vita, per come la conosciamo, si è costituita così: occorre mantenere bassa entropia dentro di noi aumentandola fuori di noi, cioè sottraendo ordine all’ambiente.

Se l’invecchiamento è inteso come progressiva perdita di efficienza nell’utilizzare ‘energia buona’ togliendola all’ambiente esterno, allora si potrebbe ipotizzare che in un universo in cui l’entropia diminuisce anziché aumentare, è l’esterno che mi aiuta in questo compito e quindi il fatto di essere organizzato internamente non è qualcosa che devo conquistarmi ogni secondo ma è il punto da cui parto. Questo però non esclude un processo di perdita dell’efficienza e quindi che l’invecchiamento si verifichi comunque. Per riprendere l’esempio di Benjamin Button, nel racconto il protagonista muore comunque di “vecchiaia”, ma con le sembianze di un neonato. Quindi per lui l’invecchiamento si è verificato lo stesso, ma alcune caratteristiche che per noi sono intuitive dell’invecchiamento potrebbero non esserlo necessariamente in altri sistemi fisici diversi dal nostro.

 

Durante il webinar ha citato anche il paradosso dei gemelli. Ci può riassumere di che cosa si tratta?

Il paradosso dei gemelli è un esperimento mentale molto utile, perché fa capire veramente che cosa succede quando prendiamo sul serio la teoria della relatività di Einstein. Dice questo: sulla terra vi sono due gemelli, uno parte per un viaggio interstellare di andata e ritorno per una stella lontana, mentre l’altro rimane ad aspettarlo sulla terra. Se il viaggio viene fatto a velocità prossime a quelle della luce, la teoria prevede che, al ritorno sulla terra, il gemello sulla navicella spaziale sarà invecchiato di meno rispetto a quello sulla terra.

Perché si chiama “paradosso”? In realtà non c’è nulla di paradossale. Contrariamente a quanto pensavamo, infatti, la relatività di Einstein ci dice che la simultaneità non è assoluta: da questo segue che le durate temporali e le lunghezze nello spazio sono relative allo stato di moto. Questo vuol dire che in base al sistema inerziale (cioè in base a quanto mi muovo e a chi si muove con me) avremo delle percezioni diverse di quanto è lungo l’intervallo di tempo e di spazio e quindi di quanto tempo è passato. In particolare, l’apparente paradossalità dello scenario dei gemelli è interamente spiegata dagli effetti dell’accelerazione sui sistemi fisici, compresi quelli viventi.

 

Cosa può dirci questo esperimento mentale sull’invecchiamento?

L’invecchiamento, come il tempo, è definito all’interno di un sistema di riferimento e quindi bisogna sempre determinare a quale tempo ci stiamo riferendo. In poche parole, dobbiamo tenere sempre con noi l’orologio: se decidi di partire e assumere velocità vicine a quelle della luce, vedrai che l’orologio non misurerà la tua età che passa nello stesso modo dell’orologio del tuo gemello che rimane sulla terra. Quello che segue è che come il presente e la simultaneità non sono assoluti ma relativi a sistemi di riferimento, così lo è l’invecchiamento. Per cui idealmente possiamo dire che se ci mettiamo tutti ad andare velocissimo invecchiamo più piano. Quello che rimane fermo però è che si invecchia.

L’unico modo per uscire dallo scorrere del tempo e quindi anche dall’invecchiamento sarebbe, per assurdo, andare alla velocità della luce. In quel caso però le leggi della fisica ci imporrebbero di vivere senza tempo (che non vuol dire “per sempre”, bensì senza la grandezza temporale) ma visto che la massa si converte in energia con l’aumentare della velocità della luce, in assenza del tempo perderemmo la nostra corporeità. Quindi potremmo evitare di invecchiare solo decidendo di non essere più dei corpi dentro a un flusso temporale. Meglio accettare l’invecchiamento e cercare di viverlo nel migliore dei modi possibili.

 


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