Il 7 aprile si celebra il 71esimo anniversario della Giornata Mondiale della Salute indetta dall’ONU. Ma che cosa vuol dire essere in salute? La domanda è lecita, perché trovare una definizione soddisfacente è tra i compiti più difficili e controversi con cui l’uomo e le istituzioni si confrontano. Quest’anno l’ONU inaugura anche il Decennio dell’Invecchiamento sano e vale la pena sottolineare che la concezione più attuale e aggiornata di salute ha un legame molto forte e specifico proprio con l’idea di invecchiamento sano. Non era così fino a pochi decenni fa, ma andiamo per ordine.

 

La salute nell’esperienza umana

Quella che viene comunemente chiamata “salute” indica, in realtà, un oggetto di studio sfuggente, multidisciplinare e problematico, su cui non c’è un accordo universale né tra i medici, né tra gli scienziati, né tra i filosofi. Questo concetto racchiude in sé componenti oggettive e soggettive, fisiche e psichiche, misurabili e non misurabili, quantitative e qualitative, stabili e dinamiche, che difficilmente possono essere legate insieme in una sola definizione.

Il primo problema deriva dalla complessità della nostra stessa esperienza. Ciascuno di noi può sperimentare almeno due diverse condizioni di “buona salute”: 

La prima rimanda a quella dimensione di tranquillità silenziosa e latente di cui generalmente non ci accorgiamo ma che emerge alla coscienza solo quando non c’è più, ovvero quando siamo malati. Solo allora, nel disagio e nella sofferenza, comprendiamo che cosa volesse dire stare bene e quanto l’irrilevanza e la trasparenza del proprio corpo, la mancanza di coscienza e di attenzione al proprio stato di salute, fossero preziosi. 

Il filosofo Hans Georg Gadamer nel saggio Dove si nasconde la salute (1993) fa notare che è proprio la malattia a creare in noi la percezione sgradevole del corpo, che diventa oggetto della nostra attenzione cosciente solo quando è disturbato:

Dobbiamo ammettere che è solo a partire dall’alterazione della situazione complessiva che noi diventiamo realmente consapevoli della salute, su cui poi il nostro pensiero si sofferma. So bene che la malattia, questo fattore di disturbo di qualcosa che in condizioni di tranquillità ci si sottrae quasi completamente, ci rende consapevoli del nostro corpo fino all’inopportunità.

Ma la salute dell’uomo si manifesta al soggetto anche in un altro modo, come una rara sensazione di particolare benessere che improvvisamente ci rivela che cosa voglia dire davvero stare bene. In questo senso la consapevolezza della salute irrompe nel fluire indifferente della vita quotidiana anche senza l’intervento della malattia, come una condizione di armonia, pienezza ed efficienza che sembra pervadere tutto il nostro essere.

Da questa seconda esperienza prende le mosse la definizione messa a punto nel 1946 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che identifica la salute con uno «stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non soltanto come assenza di malattia o infermità».

Come si vede, la salute umana sembra oscillare costantemente tra il carattere di normalità e quello di eccezionalità: quando siamo malati sappiamo di esserlo e sentiamo che ci manca quella quiete tipica della salute, ma quando siamo in salute avvertiamo di non esserlo mai pienamente, come se ci mancasse qualcosa o se ci fosse un costante rumore di fondo a disturbare il nostro star bene.

È questa la sostanziale asimmetria tra l’esperienza della salute e quella della malattia, che riproduce, in fondo, il rapporto asimmetrico tra la felicità e l’infelicità. Da qui il paradosso: la felicità, come la salute, è identificata con la condizione normale dell’essere umano, ma nello stesso tempo sembra manifestarsi solo come tensione o desiderio e mai come fatto acquisito e duraturo. Solo la malattia e l’infelicità sembrano avere una consistenza reale, tangibile.

Secondo il filosofo e antropologo Arnold Gehlen il carattere paradossale della salute e della felicità umane deriva dalla posizione peculiare che l’uomo occupa all’interno del regno animale. A differenza degli altri animali, che nascono già adattati al proprio ambiente, l’essere umano non è così rigidamente vincolato ad una nicchia ecologica specifica e deve continuamente adattarsi alle sue condizioni di esistenza. Il carattere “mancante” dell’uomo lo costringe a dover continuamente scegliere come rispondere agli stimoli, ma soprattutto lo obbliga a desiderare di essere sempre qualcos’altro e altrove. Il desiderio dell’uomo, il carattere di insoddisfazione che nasce dal suo essere carente, è qualcosa di originario, necessario e connaturato.

 

Evoluzione del concetto di salute

L’intento della definizione OMS era quello di contrastare il riduzionismo biologico del meccanicismo ottocentesco, che identificava la salute con l’assenza di disfunzioni e infermietà, dunque con il corretto funzionamento dell’organismo. A questo modello l’OMS contrappone una visione olistica e soggettiva costituita da un insieme di fattori psicologici, sociali, culturali, oltre che biologici. L’ampiezza e l’apertura di questa definizione la rendono inadeguata almeno per 3 ragioni:

    1. Ha un carattere elitario e restrittivo: quanti esseri umani possono godere di un completo benessere fisico, mentale e sociale? Probabilmente nessuno, di conseguenza secondo quella idea siamo tutti malati per la maggior parte del nostro tempo, e lo siamo per definizione
    2. Nello stesso tempo, una visione così estensiva della salute addossa ai professionisti della cura funzioni e responsabilità praticamente illimitate. Secondo alcuni ciò ha prodotto, dalla metà del secolo scorso in poi, un eccesso di medicalizzazione e di istituzionalizzazione, cioè un abuso nel ricorso a terapie mediche, ricoveri ospedalieri e trattamenti farmacologici
    3. Inoltre, legare il benessere alla salute significa legare il malessere all’assenza di salute, ma questa relazione non ha un riscontro nell’esperienza umana: una persona può anche avere una malattia, ad esempio essere cieca dalla nascita, senza per questo “stare male”.

La critica del filosofo e psichiatra Karl Jaspers sintetizza bene i limiti di questa definizione:

Una salute di questo tipo non esiste. In base a questo concetto, in realtà, tutti gli uomini, in ogni istante, sono in qualche modo malati. Se il concetto di malattia non ha più alcun confine, se ciascuno, in quanto esserci, è già autorizzato ad andare dal medico, se il medico deve essere presente per ogni sorta di sofferenza, ecco allora subentrare la confusione esistenziale.

Negli anni la comunità scientifica ha lavorato per correggere il tiro, ricercando una definizione che potesse tenere insieme alcuni elementi:

  • Abbandono del concetto negativo di salute come assenza di malattia
  • Esigenza di curare la persone e non solo le malattie
  • Superamento di una condizione puramente biologica della malattia
  • Considerazione dell’equilibrio dinamico fra individuo e ambiente
  • Richiamo alla  responsabilità personale
  • Ruolo dei determinanti della salute: l’ambiente, lo stile di vita, i fattori socio-economici

 

A partire dal 2008 è iniziato un lungo dibattito durante il quale si sono fatti strada nuovi approcci.

Nel 2011 Fiona Godlee, Direttrice del British Medical Journal, definisce la salute come capacità di adattamento e di autogestione di fronte alle sfide sociali, fisiche ed emotive.

Questa definizione è meno ambiziosa e più realistica rispetto a quella prodotta 60 anni prima, ma anche più aderente ai connotati del mondo contemporaneo, perché ha come sfondo la questione della cronicità e prende atto del progressivo invecchiamento della popolazione occidentale.

Anziché pretendere un benessere totale e assoluto, pone l’accento sulla capacità della persona di convivere con la malattia nelle sue varie fasi, attraverso l’attivazione delle sue risorse interne. Se la definizione del 1948 poteva aver procurato un eccesso di medicalizzazione e un dispendio di risorse non sempre associato ad aumento dello stato di salute, la nuova definizione invita a un uso più razionale delle risorse e alla capacità di autodeterminarsi, in un’ottica di prevenzione, partecipazione ed empowerment del cittadino.

L’editoriale di Fiona Godlee ha rappresentato un vero e proprio punto di non ritorno nel dibattito sulle teorie della salute. Spostando il focus dal concetto di stato a quello di capacità ha proposto una definizione dinamica e sostenibile in grado di restituire dignità alla persona e affermare la centralità dell’essere umano. Un cambio di paradigma che sposa in pieno il cosiddetto capability approach, teorizzato per la prima volta dal filosofo ed economista Amartya Sen nella metà degli anni ‘80: la salute non è un concetto normativo, fissato a priori e uguale per tutti, a cui gli individui dovrebbero tendere; somiglia piuttosto ad una “produzione personale” alla portata di ogni essere umano, perché ciascuno può trovare i mezzi, le risorse e le opportunità per fronteggiare le difficoltà che gli si presentano, anche in una condizione di fragilità e disabilità. 

Tuttavia, anche questa definizione ha dei limiti e pone problemi che non sono solo di natura teorica ma soprattutto di natura pratica, etica e deontologica.

In primo luogo, il rischio è che tutta la responsabilità della salute venga scaricata sul singolo individuo.

In secondo luogo, senza una visione chiara e condivisa del concetto generale o sovraordinato di malattia non si possano prendere responsabilmente decisioni in ambito sanitario e diventa impossibile discriminare, nei casi controversi, ciò che è malattia da ciò che non lo è.

Infine, la definizione di Godlee non prende in considerazione il ruolo dei fattori sociali, culturali ed economici che influenzano in positivo o in negativo la nostra salute. Insistendo unicamente sull’adattamento dell’uomo all’ambiente si trascura il fatto che anche l’ambiente va adattato all’uomo perché in esso risiedono i fattori e le condizioni in grado di determinare la sua salute. Per giungere a una definizione praticabile e convincente di salute bisogna assumere, in definitiva, uno sguardo ecologico che valorizzi il sistema uomo-ambiente come l’unico spazio possibile in cui ha senso parlare di salute umana.

 

FONTI

Hans Georg Gadamer, Dove si nasconde la salute, Raffaello Cortina Editore, Milano 1996

Arnold Gehlen, L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, Mimesis, Milano 2010

Fiona Godlee. What is health? BMJ 2011;343:d4817

Jaspers K., Il medico nell’età della tecnica, Milano, Cortina, 1991

Decade of Healthy Aging 2021-2030 

Preamble to the Constitution of WHO

World Health Day 2021

 

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