Oggi, uno dei temi più caldi sia per gli scienziati che per l’opinione pubblica è certamente rappresentato dal cosiddetto Long Covid. Si è infatti scoperto che non tutti i pazienti risolvono i loro sintomi quando guariscono dalla malattia acuta. In questo articolo ci siamo proposti di fare il punto sulle conoscenze attuali.

Il Covid-19 rappresenta da un anno e mezzo una sfida continua per la comunità scientifica. Nell’arco di questi mesi, la diffusione dell’epidemia ha generato una serie di domande, con cui abbiamo dovuto  necessariamente confrontarci. 

E così, la scienza ha innanzitutto dovuto capire come si sviluppa il Covid e come combattere la fase acuta della malattia; poi ha dovuto dare una risposta all’esigenza di prevenire la malattia, identificando norme comportamentali utili e avviando la corsa ai vaccini. Oggi, uno dei temi più caldi sia per gli scienziati che per l’opinione pubblica è certamente rappresentato dal cosiddetto Long Covid. Si è infatti scoperto che non tutti i pazienti risolvono i loro sintomi quando guariscono dalla malattia acuta. Ma quali sono i sintomi che possono perdurare nel tempo? Perché si sviluppano? Chi, tra i soggetti infetti, è a maggior rischio? E come evolvono nel tempo questi sintomi? Queste sono le principali domande cui la comunità scientifica internazionale sta cercando di dare una risposta. 

 

Facciamo chiarezza sulle parole

Iniziamo dicendo che alcuni problemi di nomenclatura contribuiscono a creare confusione. Infatti, l’insieme delle manifestazioni che persistono a distanza dall’infezione acuta è stato indicato nel tempo con termini differenti: “long Covid,” “post-acute sequelae of SARS-CoV-2 infection (PASC),” “postacute Covid-19,” “chronic Covid-19” “post-Covid syndrome”. Questi termini identificano la stessa condizione; noi utilizzeremo, per semplicità, il termine Long Covid

Oltre ad un problema di nomenclatura, c’è anche una questione relativa alla definizione di tale condizione, in quanto non esistono ad oggi criteri diagnostici definitivi; in particolare, non è universalmente condiviso l’arco temporale a cui fare riferimento. In generale, comunque, quando si parla di Long Covid ci si riferisce ad un vasto spettro di sintomi fisici e mentali che si sviluppano durante o dopo il Covid-19 e che perdurano per almeno 2 mesi dopo la fase acuta di malattia

 

Come si manifesta e quali sono le cause

Le manifestazioni cliniche del Long Covid sono molto variabili; i sintomi che vengono più comunemente riportati includono stanchezza, difficoltà di concentrazione, mancanza di fiato e dolore toracico, ma sono stati associati al Long Covid molti altri sintomi come: mal di testa, perdita dei capelli, tosse, mal di gola, perdita di gusto e olfatto, dolori a muscoli e articolazioni. In generale, è comune la percezione dei pazienti di non essere tornati quelli di prima del Covid e che la propria qualità di vita sia inferiore rispetto a prima.

La persistenza di questi sintomi sembra, almeno per alcune persone, correlata ad un danno strutturale causato dal Covid-19: in pratica, in questo sottogruppo di pazienti, non c’è una completa riparazione dei danni che polmoni, reni, muscoli e altri organi subiscono durante la fase acuta di malattia. Infatti, alcuni studi hanno mostrato la presenza di danni strutturali in soggetti guariti dal Covid-19, anche molti mesi dopo la malattia. 

Tuttavia, alcuni pazienti lamentano sintomi che non corrispondono a un danno degli organi interni: per queste persone l’impatto psichico potrebbe giocare un ruolo di primo piano. Sappiamo tutti quanto la salute psichica sia importante per garantire anche la salute fisica. Di per sé, la pandemia ha causato un elevato grado di stress, ansia e depressione nella popolazione generale: la paura di ammalarsi, le limitazioni alla socialità legate alle misure di prevenzione, gli eventuali lutti che hanno colpito molti hanno avuto un impatto anche su chi non si è mai infettato.

Chi si è ammalato e, ancor di più, ha avuto una malattia talmente grave da causare il ricovero in ospedale o perfino in rianimazione, ha subito uno stress psicologico maggiore. Persone cin salute si sono trovate all’improvviso in ospedale, a temere per la propria vita, fianco a fianco  con altri malati che, magari, non ce l’hanno fatta. Non stupisce che molti  studi abbiano documentato, nei soggetti guariti dal Covid-19, un elevato rischio di sviluppare un disturbo post-traumatico da stress. È pertanto verosimile che, sia il danno strutturale agli organi colpiti dalla malattia, sia l’impatto sulla psiche contribuiscano a generare il cosiddetto Long Covid.

 

Chi è a maggior rischio

Ad oggi è molto complicato delineare il profilo del paziente a più alto rischio di sviluppare sintomi a lungo termine. Molti studi hanno cercato di capire quali fattori di rischio si associno al Long Covid; il problema è che i pazienti inclusi nei diversi studi sono molto diversi tra loro, per severità di malattia, età, caratteristiche mediche generali; inoltre, gli stessi studi sono stati condotti in maniera molto diversa (ad esempio per distanza temporale dalla malattia acuta e modalità di valutazione del paziente).

In generale, si può dire che le donne sembrano a rischio maggiore di sviluppo di Long Covid, che appare più frequente anche nei soggetti anziani e con comorbidità multiple. Tuttavia questi fattori di rischio devono ancora essere confermati. Appare invece abbastanza chiaro come il Long Covid sia più frequente in chi è stato ricoverato in ospedale, soprattutto in caso di malattia molto severa. È comunque interessante sottolineare come sintomi persistenti di malattia siano stati lamentati anche da soggetti con forme lievi e trattati a domicilio.

 

Come evolvono i sintomi

Diciamo che gli studi finora condotti, sembrano mostrare un progressivo miglioramento nel tempo nella maggior parte dei pazienti. Tuttavia, studi recenti hanno  documentato  che un’elevata percentuale di pazienti lamenta la persistenza di almeno un sintomo residuo anche fino a un anno dopo la fase acuta della malattia.

Infine, non è detto che le conoscenze acquisite fino ad ora saranno automaticamente valide nel prossimo futuro: infatti, con l’avvento dei vaccini, il quadro clinico del Covid-19 sta mutando. Sempre più frequentemente il decorso è lieve e la percentuale di soggetti infetti che richiede cure ospedaliere o l’accesso a terapie intensive o subintensive è decisamente inferiore rispetto alle  precedenti ondate. Questo potrebbe incidere positivamente sui sintomi residui a lungo termine, riducendone la frequenza e la severità.

Le nostre conoscenze sulle manifestazioni a lungo termine causate dall’infezione da SARS-CoV-2 sono ancora “in divenire”. Certamente negli ultimi mesi le informazioni a nostra disposizione sono significativamente aumentate, ma è necessario aspettare ancora qualche tempo per avere risultati consolidati e più chiari e per poter meglio comprendere l’impatto che il miglioramento delle strategie preventive e di cura della fase acuta, potrà avere sui sintomi a lungo termine.

A cura di Mattia Bellan

 

Fonti

 

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