Con l’avanzare dell’età si assiste a un insieme di cambiamenti nelle cellule e nei tessuti del corpo umano: è quello che tutti conosciamo in termini generali come processo di invecchiamento. Questi cambiamenti, seppur fisiologici, diventano il substrato e la condizione predisponente a molteplici patologie tipiche dell’età avanzata. Chiarire questi meccanismi è da sempre interesse degli esseri umani, a maggior ragione ora che la migliore qualità di vita ha portato a un allungamento dell’età media e a un aumento di patologie senili che impattano sul singolo, in termini di qualità di vita, e sulla società intera, in termini di spesa sanitaria.

Ma quali sono i meccanismi alla base del processo di invecchiamento? Che cosa ne scandisce la velocità di progressione? E infine, è possibile in qualche modo agire su di esso?
Le risposte a queste domande risultano ancora lontane, complesse e spesso non univoche, motivo per cui, in ambito di ricerca clinica, ci si concentra più frequentemente sulla cura e sulla prevenzione delle diverse patologie legate all’età, piuttosto che sul chiarire le dinamiche dell’invecchiamento. Eventuali avanzamenti della ricerca in quest’ultimo campo, però, aiuterebbero a posticipare o prevenire buona parte delle patologie tipiche della senescenza (decadimento cognitivo, motorio, scadimento delle condizioni generali).

A che punto è arrivata la scienza a questo proposito?

Prospettive di ricerca

Molti scienziati hanno identificato già da tempo alcuni fattori sicuramente coinvolti nel processo di invecchiamento; altri sono stati da poco scoperti con tecniche complesse di ingegneria genetica.
In particolare, sulla rivista Nature è stato recentemente pubblicato uno studio secondo il quale le cellule staminali dell’ipotalamo avrebbero un ruolo fondamentale nell’invecchiamento. Le cellule staminali sono cellule primitive, non ancora specializzate e che potenzialmente potrebbero diventare diversi tipi di cellule tra quelle presenti nel nostro organismo. L’ipotalamo è una piccola ma importante struttura dell’encefalo ricca di nuclei nervosi. In questo studio gli scienziati, tramite esperimenti su modelli animali, hanno dimostrato innanzitutto la presenza di cellule staminali nell’ipotalamo e successivamente il loro ruolo nel processo di invecchiamento. Come hanno fatto? Si sono avvalsi di diversi esperimenti, arrivando a conclusioni sorprendenti.

Ipotalamo e cellule staminali

Il primo esperimento, condotto sui topi, ha permesso di rilevare la presenza di cellule staminali nell’ipotalamo: gli scienziati, attraverso complesse tecniche di laboratorio, hanno individuato in un gruppo di cellule ipotalamiche alcune proteine (chiamate SOx1 e Bmi1) tipiche delle cellule staminali. Non solo: gli scienziati hanno visto che con l’avanzare dell’età degli animali diminuiva sia la quantità di queste proteine, sia le cellule dell’ipotalamo che le producevano. Questa evidenza, già da sola, suggerisce il possibile coinvolgimento dell’ipotalamo nel processo di invecchiamento, ma gli scienziati non si sono fermati qui.
Per confermare questa ipotesi, i ricercatori hanno provocato la perdita di queste cellule attraverso l’iniezione, a livello dell’ipotalamo, di un genere particolare di virus detto lentivirus. Questo tipo di virus, infatti, è capace di rimanere confinato nell’ipotalamo e di colpire in maniera piuttosto selettiva le cellule staminali, in modo da operare una rimozione precisa e circoscritta di queste cellule.
I ricercatori hanno ottenuto conferma di quanto ipotizzato: a soli tre-quattro mesi di distanza i topi a cui erano state rimosse le cellule staminali presentavano una più rapida riduzione della forza muscolare, della motilità e della socialità, caratteristiche tipiche dei topi in età avanzata. Con questo esperimento, quindi, non solo è stata confermata la presenza di cellule staminali all’interno dell’ipotalamo, ma allo stesso tempo è stato dimostrato il loro contributo alla velocità di progressione dell’invecchiamento.

È possibile agire sulla velocità del processo di invecchiamento?

La parte più sorprendente dell’esperimento è stata sicuramente l’ultima. I ricercatori hanno impiantato le cellule staminali prelevate da topini giovani direttamente nell’ipotalamo di topi adulti, in cui le cellule staminali erano presenti in minor quantità. A sole sei settimane dall’iniezione delle cellule “nuove”, i topi adulti mostravano benefici a livello di tutto l’organismo e questi progressi continuavano anche nei mesi successivi.

Un dato che non è passato inosservato è stata la rapidità con cui questi cambiamenti si sono verificati nei topi a seguito dell’eliminazione, o viceversa dell’iniezione, di cellule staminali. I cambiamenti neuronali, ossia i cambiamenti della struttura stessa e della modalità di comunicazione tra le cellule nervose, non si sarebbero mai potuti verificare nel breve termine; è quindi evidente che il meccanismo alla base deve essere differente. Si è visto, infatti, che le variazioni sull’invecchiamento erano regolate dalla secrezione di sostanze da parte delle cellule staminali ipotalamiche, i miRNA (micro Acidi Ribonucleici), piccole molecole in grado di regolare il tipo e la quantità di geni espressi da una certa cellula.
Una volta identificate, queste molecole sono state iniettate direttamente nell’ipotalamo dei topi più anziani: anche in questo caso, pur non modificando diete e abitudini dei topi testati, si è dimostrato un miglioramento delle loro condizioni cliniche in termini di effetti anti-aging.
Si conferma così la preziosa funzione dei miRNA in quanto regolatori della velocità di avanzamento dell’età e la possibilità di agire in termini di rallentamento del processo di invecchiamento.

A cosa porteranno queste scoperte?

A una prima analisi questi studi potrebbero apparire molto lontani dalla quotidianità, e se da un lato suscitano dubbi e perplessità, dall’altro destano sicuramente un po’ di curiosità su quello che la scienza e il futuro ci posso riservare. Le scoperte fatte sui topi, in condizioni che sono lontane dalla vita reale di ognuno di noi, sembrano quasi fini a sé stesse, ma in realtà rappresentano un punto fondamentale del processo scientifico, in quanto fanno parte di quella che viene detta ricerca di base. Per ricerca di base, infatti, si intende un tipo di ricerca che non ha particolari fini pratici, ma piuttosto è orientata alla conoscenza in quanto tale; in realtà anche la ricerca di base ha degli obiettivi e dei risvolti che poi influenzeranno in maniera significativa la vita delle persone. Per quanto riguarda l’ambito biomedico, per esempio, la ricerca di base può indagare i processi biologici alla base di una malattia, che poi saranno utilizzati come obiettivo di nuovi farmaci nella ricerca clinica, quella che incide in maniera più pratica sulla vita dei pazienti. Allo stesso modo, la conoscenza dei meccanismi che regolano il nostro organismo, inclusi i processi di invecchiamento, apre nuove possibilità di trattamento, ponendosi come obiettivo primario il miglioramento delle condizioni di vita delle persone, al fine di allungare non tanto il tempo di vita in assoluto, quanto il tempo di vita libero dalla malattia.

A cura di Martina Fracazzini e Francesca Santangelo

Fonti

Zhang, Y., Kim, M., Jia, B. et al. Hypothalamic stem cells control ageing speed partly through exosomal miRNAs. Nature 548, 52–57 (2017). https://doi.org/10.1038/nature23282

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