Prendersi cura di sé non è un gesto di egoismo: tutt’altro! È un bisogno umano fondamentale strettamente correlato alla salute. La cura di sé è un gesto di responsabilità verso noi stessi e verso le persone che ci sono accanto. Il self-care è l’atteggiamento proattivo e consapevole che ci permette di sostenere e migliorare la nostra salute. Nel momento in cui consideriamo la salute non come l’assenza di malattia ma come uno stato di benessere fisico, psichico e sociale il self-care diventa un ingrediente indispensabile.

Un ingrediente che può essere declinato su molteplici dimensioni: abbiamo un self-care fisico, psicologico, sociale ma anche professionale, spirituale, ambientale e finanziario.
Non solo, quello di cura di sé è un concetto che supera i confini del sé individuale, ma si colloca su molteplici livelli: a livello individuale (ad esempio, dieta, esercizio fisico), familiare (ad esempio, facilitazione dell’adesione terapeutica, monitoraggio dei sintomi) e comunitario (ad esempio, accesso ai servizi, cibo sano, spazi aperti, ambienti sicuri).

Non per niente l’OMS considera gli interventi di self care come la nuova frontiera della salute globale
Ma in pratica di che cosa si tratta?

 

Il self-care in pratica

A livello individuale il self-care è allo stesso tempo una capacità, un atteggiamento e un modo di agire. La cura di sé infatti si realizza quando una persona può e sa come prendersi cura di sé, lo vuole fare e lo fa. Sembra scontato ma non lo è!

Il self-care quindi implica un atteggiamento proattivo che ci permette di sostenere e migliorare la nostra salute, di evitare i fattori di rischio, prevenire le malattie e “costruire” una scorta di risorse fisiche, emotive e sociali per far fronte ad eventuali malattie.

Si tratta di conoscere che cosa “ci fa bene” ed essere capaci di mettere in atto le strategie e le decisioni dirette a migliorare il nostro stato di benessere, la nostra salute. Dato che la salute non è qualcosa di statico, ma un processo che implica capacità di adattamento e autogestione, anche la cura di sé è qualcosa che si sviluppa nel tempo e si realizza in un continuo adattamento delle nostre strategie ed azioni, anche grazie alla conoscenza che acquisiamo su noi stessi, sul nostro funzionamento psico-fisico e su quelli che sono i nostri obiettivi di vita. “Stare bene” è un concetto che ha molte declinazioni individuali, gerarchie di valori che possono portare a scelte diverse. Per questo le attività di self-care si costruiscono un po’ sulla base di principi generali di salute e stile di vita – per esempio che evitare il fumo di sigaretta e fare attività fisica, che sono sicuramente buone regole valide per tutti – un po’ “su misura” – per esempio posso decidere di andare in palestra o dedicarmi alla camminata veloce, sulla base delle mie condizioni specifiche e delle mie preferenze.

In un momento particolare della mia vita poi potrei cambiare le mie abitudini per rispondere meglio a nuovi  bisogni emersi: per esempio potrei decidere di passare dalla camminata veloce a uno sport di squadra, in un momento in cui mi sento solo e ho bisogno di allargare la mia rete di amicizie.

In pratica tra le attività di self-care rientrano l’igiene, l’alimentazione, il sonno, l’attività fisica e sportiva, la gestione dello stress, le attività svolte nel tempo libero, la nostra capacità di costruire relazioni supportive e soddisfacenti e anche la spiritualità.

 

Chi è il professionista del self-care?

Il self-care è stato proposto come modello teorico e come strumento per interventi specifici in ambito infermieristico, in particolare “l’inventrice” del self-care è stata Dorothea Orem, un’infermiera e teorica delle scienze infermieristiche americana, che ha ridefinito il ruolo dell’infermiere coerentemente con il significato dell’autocura: secondo Orem l’intervento dell’infermiere è la risposta alla richiesta di una persona che presenta un deficit della cura di sé. L’infermiere è responsabile di riconoscere e intervenire su questo deficit.

In pratica quando le richieste terapeutiche di self-care superano le capacità di autocura della persona – e questo può succedere per diversi motivi, come l’instaurarsi di una patologia grave, ma anche la mancanza di risorse emotive o sociali – l’infermiere subentra con interventi che possono limitarsi a compensare la mancanza – cioè occupandosi direttamente di prendersi cura del paziente – oppure con interventi di stampo più cooperativo ed anche educativo, diretti a favorire l’acquisizione di competenze e conoscenze necessarie per soddisfare i bisogni di autocura.

Questa educazione all’autocura che favorisce l’autonomia e l’indipendenza della persona è molto importante soprattutto per le persone in età avanzata o che soffrono di condizioni croniche. Ma non dimentichiamoci che l’autocura si espleta anche a livello familiare e comunitario: ed ecco che il compito dell’infermiere di educare all’autocura può rivolgersi anche al nucleo familiare della persona che necessita di assistenza e anche a livello di comunità. Proprio a questo scopo si sta sempre più diffondendo la figura dell’infermiere di Famiglia e Comunità.

 

La cura di sé in età avanzata

La cura di sé è importante a tutte le età, ma con l’avanzare degli anni assume altre forme e caratteristiche, soprattutto quando sono presenti una o più condizioni croniche: i bisogni di cure aumentano e diventano più complessi. Proprio per questo è molto importante acquisire l’atteggiamento di autocura in anticipo, prima che si presenti una condizione cronica da gestire: se nel corso di tutta una vita ho appreso che sono in grado di agire efficacemente per migliorare la mia salute, quando subentra una malattia cronica, come per esempio il diabete o la BPCO, sarò in grado di acquisire le nuove conoscenze e competenze che mi servono per continuare a prendermi cura della mia salute.
L’autocura per gli anziani con condizioni di salute croniche è un processo in cambiamento costante su un continuum tra malattia e benessere, che richiede continui aggiustamenti e nuove decisioni per mantenere un equilibrio che è diventato più fragile. Tutta la consapevolezza di sé acquisita prima della malattia, tutte le conoscenze di salute e di accesso alle cure guadagnate nel tempo diventano un patrimonio spendibile per continuare a vivere bene, anche con una malattia cronica.

Le azioni di self-care necessarie riguardano certamente la gestione della malattia, il monitoraggio dei sintomi e la gestione delle terapie, ma anche azioni di prevenzione e mantenimento del benessere non strettamente correlate alla malattia. A cominciare dalle attività della vita quotidiana (ADL): fare la spesa, cucinare e alimentarsi, occuparsi della propria igiene e di quella della casa, muoversi e camminare, ma anche mantenere una vita sociale.

Il self-care preserva quel senso di indipendenza, di controllo e di autoefficacia che è molto importante per le persone in età avanzata e che influisce moltissimo sulla qualità della vita.

 

Prendersi cura di chi si prende cura

C’è poi un altro tema molto importante legato all’autocura quando l’età avanza. Molto spesso (e per fortuna) non invecchiamo da soli: capita sempre più spesso che persone anziane si prendano cura di altre persone più anziane di loro o in condizioni di salute più complicate, all’interno dello stesso nucleo familiare: la moglie si prende cura del marito, il figlio della madre, il fratello della sorella e così via. Sono quelli che vengono definiti “caregiver informali”.
In Italia secondo un’indagine dell’ Istat che risale ormai al 2011, i caregiver familiari o informali sono una percentuale della popolazione pari a circa l’8%. Purtroppo non esistono dati più aggiornati. L’altro dato noto è che in Italia come in tutto il mondo i principali caregiver familiari o informali sono le donne (fino al 75% del totale) di età compresa tra i 45 e i 64 anni, che spesso lavorano o che hanno dovuto abbandonare la propria attività lavorativa per dedicarsi a tempo pieno alla cura di chi non è più autonomo (nel 60% dei casi).

Prendersi cura di un’altra persona richiede il bilanciamento con una buona dose di cura di sé, altrimenti i rischi sono elevati.

I caregiver familiari, infatti, sono sottoposti a un alto carico lavorativo e devono affrontare situazioni stressanti che possono ripercuotersi sulla loro salute. È frequente che si presentino disturbi, quali depressione e ansia, disturbi del sonno e dolori all’apparato muscolo-scheletrico. Inoltre spesso i caregiver familiari riferiscono l’aggravarsi dei sintomi delle loro malattie preesistenti o, addirittura, l’insorgere di patologie di tipo metabolico e cardiovascolare.

Una recente revisione della letteratura scientifica ha messo a confronto i bisogni di self-care dei caregiver familiari di persone con demenza, indagati in diversi studi scientifici negli Stati Uniti. Questi bisogni risultano legati soprattutto alla qualità del sonno, al supporto e alla partecipazione sociale e alle attività di svago. Le attività di autocura svolte dai caregiver informali sono le attività svolte insieme alla persona assistita ma anche la possibilità di prendersi una pausa dall’assistenza e le attività religiose e spirituali.

Insomma, per prendersi cura di un familiare malato è importante non vivere l’assistenza come una sorta di sacrificio della propria vita, ma proprio per poter continuare a garantire quelle cure è necessario trovare il tempo e mantenersi allenati nella cura di sé.

 

Bibliografia

 

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