L’idea che abbiamo di noi stessi influenza i nostri comportamenti, e quindi il nostro futuro, molto più di quanto si pensi. Ecco perché il modo in cui ci immaginiamo da vecchi è altamente predittivo di come saremo realmente.

 

Tutte le nostre rappresentazioni, cioè i modi in cui recepiamo, pensiamo e interpretiamo i fatti dell’esperienza quotidiana, hanno a che fare con i fatti stessi, poiché concorrono a creare la realtà. Un esempio di questa correlazione è quella che sociologi e psicologi chiamano profezia che si autoavvera: se io prevedo, in virtù di credenze e supposizioni più o meno fondate, che un determinato evento si verifichi, è molto probabile che metterò in atto tutti i comportamenti necessari affinché la mia previsione si realizzi. Il fenomeno è stato descritto bene dalla corrente psicologica della Gestalt, che rintraccia la base del comportamento umano nel modo in cui viene percepita la realtà, piuttosto che nella realtà stessa.

Questo meccanismo agisce anche quando la previsione riguarda noi stessi: la maniera in cui io mi percepisco, i giudizi e le parole che uso per descrivermi, in una sola parola l’immagine che ho di me, hanno il potere di guidare le mie azioni e la mia proiezione nel futuro, dunque di modellare il mio processo di invecchiamento. Anche la nostra salute dipende, in una certa misura, dalle convinzioni che abbiamo su noi stessi e dalla tonalità emotiva che le accompagna.

 

Percezioni, invecchiamento e salute: se invecchiamo male è perché ci sentiamo vecchi?

La nostra età condiziona le nostre percezioni. Che cosa vedi osservando l’illustrazione in alto? Si tratta di un’illusione ottica molto nota, che può essere letta dal nostro sguardo in due modi differenti: come l’immagine di una donna anziana, oppure come l’immagine di una donna giovane. Per via sperimentale si è constatato che la maggior parte delle persone in età avanzata vede istintivamente l’immagine della donna anziana e solo con uno sforzo percettivo in più riconosce anche i tratti della ragazza, mentre per le persone giovani vale l’esatto contrario. Questo esperimento mostra che l’età influisce sull’interpretazione dei fenomeni.

Ma l’interpretazione di ciò che si presenta ai nostri occhi influisce, a sua volta, sul modo in cui si svolge la nostra vita, ed è questo l’aspetto più interessante.

Uno studio del 2020 condotto su 244 soggetti di età compresa fra i 52 e i 90 anni suggerisce che il modo in cui una persona immagina e valuta il proprio sé futuro determina il modo in cui percepisce e valuta il proprio sé attuale. È ormai assodato che l’immagine di noi stessi ha il potere di condizionare le azioni e gli stili di vita, e quindi la salute in tarda etàUna persona che attribuisce connotati positivi al proprio sé futuro, che non ha paura di invecchiare e che accoglie serenamente il passare del tempo, percepirà se stessa come capace di diventare ciò che auspica (senso di autoefficacia). Adotterà, quindi, quei comportamenti virtuosi che le permetteranno di realizzare le aspettative e di rimanere in salute. 

 

Avere un’immagine di sé negativa: le conseguenze sulla salute

Molte persone si sentono più giovani o più vecchie dell’età che hanno. La discrepanza tra età anagrafica ed età soggettiva mostra una grande variabilità fra gli individui, ma in generale le credenze interne sul proprio invecchiamento dipendono in larga misura dagli stereotipi associati alle diverse età della vita. 

L’ageismo contro le persone anziane, cioè l’atteggiamento di pregiudizio e svalorizzazione associato all’immagine della vecchiaia, è stato riconosciuto come una delle principali minacce all’invecchiamento attivo. L’anziano vittima di ageismo tende a identificarsi con la raffigurazione svilente restituita dallo sguardo altrui (ageismo autodiretto) e a perdere interesse per la propria salute: se non valgo nulla, perché fare attività fisica, mangiare sano e coltivare relazioni sociali? Queste persone con il tempo perdono vitalità e si lasciano andare, fino a subire un calo nella salute generale e una vita più breve. 

Si calcola che sentirsi addosso tra gli 8 e i 13 anni in più rispetto alla propria età effettiva espone a un rischio maggiore di malattie e di morte (dal 18 al 25% in più rispetto a chi si sente allineato alla sua età). Esiste dunque una correlazione tra la nostra autopercezione e i determinanti di salute modificabili, cioè tutti quei fattori su cui possiamo intervenire per stare bene.

 

Le malattie correlate alle autorappresentazioni negative

In uno studio americano del 2020 i ricercatori hanno stimato che l’ageismo sperimentato in un anno dagli over-60 negli Stati Uniti abbia comportato 17,04 milioni di casi di problemi di salute, in particolare malattie cardiovascolari, malattie respiratorie croniche e diabete mellito, con un costo annuale per la sanità di 63 miliardi di dollari.

Per quanto riguarda le malattie cardiovascolari, una ricerca condotta su 10695 partecipanti di età compresa tra 50 e 100 anni suggerisce che un’età soggettiva più avanzata e una autorappresentazione denigratoria del proprio invecchiamento comportano un rischio maggiore del 40% di problemi cardiaci e un rischio quasi doppio di ictus. Coltivare un’idea negativa di se stessi, infatti, induce nell’individuo atteggiamenti di isolamento, passività e sedentarietà, che a loro volta favoriscono i principali fattori di rischio per gli eventi cardiovascolari: stili di vita scorretti, ipertensione, diabete, uno sbilanciamento dell’indice di massa corporea e sintomi depressivi.

Secondo alcuni studi, l’età soggettiva influenza anche le funzioni cognitive. Coloro che si sentono più giovani della propria età cronologica mostrano strutture cerebrali più sane e meglio conservate, al contrario di coloro che si sentono più vecchi, con conseguenze dirette sulla salute. Una significativa atrofia dei tessuti della massa grigia e un’età mentale più avanzata, infatti, possono portare a rischi cerebrovascolari e a una ridotta efficienza cognitiva nello svolgimento dei compiti più complessi.

Infine, si intuisce facilmente l’impatto dell’autopercezione sulla prevenzione e sull’aderenza terapeutica. Una persona che si vede già vecchia e che ripone scarsa fiducia nella possibilità di “essere artefice del proprio destino” mostrerà una certa disattenzione per le misure preventive e sarà meno motivata a seguire le indicazioni del medico.

Insomma, avere una cattiva idea di se stessi non è una buona idea.

Per salvaguardare la nostra salute dovremmo sforzarci di educare il nostro dialogo interno in direzione di sentimenti positivi, prendendo esempio da una comunità di anziani residenti a Osaka: qui l’antropologa Iza Kavedzija ha riscontrato un diffuso “atteggiamento di gratitudine” che aiuta gli anziani a rimanere attivi, ad accettare l’incertezza del futuro e ad accogliere la vecchiaia. La consapevolezza dell’umana interdipendenza, cioè di essere importanti gli uni per gli altri, rafforza il loro senso di autoefficacia, li aiuta a credere che tutto andrà bene e a condurre una vita lunga e piena. In effetti, è ormai ampiamente dimostrato che le relazioni significative e la connessione con gli altri nutrono la nostra autostima e costituiscono una base preziosa per ciò che i giapponesi chiamano ikigai, “la ragione di vita”, ciò che rende la vita degna di essere vissuta.

 

Fonti

Cultural aging stereotypes in European Countries: Are they a risk to Active Aging?

Ageism Amplifies Cost and Prevalence of Health Conditions

‘Attitude of gratitude’ keeps older people in Japan feeling hopeful as they age

Subjective Aging and Incident Cardiovascular Disease

Feeling How Old I Am: Subjective Age Is Associated With Estimated Brain Age

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