Per secoli ritenuta appannaggio esclusivo delle religioni e della filosofia, negli ultimi decenni sta emergendo come la saggezza sia associata a un invecchiamento sano, spingendo le neuroscienze a capire come funziona

Confucio, Buddha, Socrate: cosa hanno in comune queste figure storiche con le persone anziane? L’età, probabilmente, ma soprattutto la saggezza. Il concetto di saggezza risale agli albori della civiltà e possiede profonde radici storiche nelle religioni e nella filosofia: l’essere anziani è spesso considerata una condizione necessaria (ma non sufficiente!), per essere definiti saggi, perché man mano che gli anni trascorrono si accumulano esperienze e conoscenze che sono alla base della saggezza. Ma è davvero così? Mentre la ricerca filosofica propone diverse risposte a questa domanda, un nuovo campo di indagine si apre: la saggezza può essere compresa e studiata anche attraverso la neurobiologia e le neuroscienze?

La saggezza, attributo della terza età

Definire che cosa sia la saggezza non è semplice. Nella maggior parte delle religioni la saggezza è una virtù; in alcune correnti di pensiero filosofico la saggezza è la facoltà di applicare la conoscenza teorica in maniera giudiziosa. La saggezza in effetti sembra avere una relazione di qualche tipo con la conoscenza, ma tutti noi sappiamo, intuitivamente, che essere saggi è qualcosa di diverso dall’essere sapienti.

Una definizione di saggezza elaborata dai ricercatori della John Templeton Foundation al termine del Defining Wisdom Project recita così: “Distinguiamo la saggezza dall’intelligenza, dalla conoscenza e dall’esperienza. La saggezza richiede un fondamento morale, ma le due cose non coincidono (la saggezza cioè deve essere morale ma la moralità non ha bisogno di essere saggia). La saggezza integra in modo flessibile considerazioni cognitive, affettive e sociali, ma può essere studiata con profitto comprendendo i suoi elementi costitutivi”.

Mentre l’enfasi su alcune componenti varia a seconda delle culture e dei periodi storici presi in considerazione, quando si parla di saggezza sono sempre presenti degli importanti punti di contatto tra le diverse visioni. Per esempio, mentre gli scritti greci classici sulla saggezza si concentravano sulla razionalità, i primi pensatori indiani e cinesi ne sottolineavano l’equilibrio emotivo; eppure, caratteristiche comuni dei saggi riscontrate in ogni cultura sono l’inclinazione a prendere decisioni in maniera ponderata, la compassione, l’altruismo e l’intuizione.

Altre definizioni che sono state avanzate sulla saggezza riguardano il fatto che le persone sagge sono tali perché possiedono un certo numero di credenze, acquisite attraverso una ricerca guidata da valori morali e si comportano di conseguenza, oltre a essere umili e consapevoli dei propri limiti. Tutte queste caratteristiche definite finora non sembrano indicare le persone anziane come uniche detentrici di saggezza, anzi, alcuni studiosi sostengono che la saggezza sia un attributo presente, in maniera diversa, in ciascuna fase della vita di una persona. Eppure, nell’immaginario comune come anche nei prodotti di fiction, come i romanzi o le opere teatrali, i personaggi più saggi sono anziani. Non solo: nella psicologia moderna, la prima ampia discussione sulla saggezza potrebbe essere stata il trattato di Stanley Hall del 1922 “Senescence: The Last Half of Life”, in cui Hall ha teorizzato che la funzione degli anziani era quella di raccogliere saggezza, caratterizzata da calma, imparzialità e conoscenza morale, da loro precedenti esperienze. Con le dovute eccezioni, anche studi più recenti concordano sul constatare che la saggezza probabilmente aumenta con l’invecchiamento, indicando il possibile ruolo evolutivo dei saggi nonni nel promuovere il proseguimento della progenie aiutando a migliorare il benessere, la salute, la longevità e la fertilità dei loro figli.

Anatomia della saggezza

In sostanza, quindi, la saggezza sarebbe un tratto umano complesso con diverse componenti specifiche: un processo decisionale sociale, una fine regolazione delle emozioni, comportamenti che favoriscono la socialità (pro-sociali), accettazione dell’incertezza, risolutezza e spiritualità. Diverse ricerche in ambito medico e psicologico suggeriscono che la saggezza sia un costrutto utile a livello personale e sociale, oltre a essere stata collegata a una migliore salute fisica e mentale, benessere, felicità, soddisfazione e resilienza. Ma si tratta solo di un costrutto o in qualche modo la saggezza può essere rilevata nelle attività del cervello? Se, fino a qualche decennio fa, attributi come la saggezza (ma anche lo stress o la resilienza) non venivano considerati come entità biologiche, i progressi nelle scienze neurobiologiche e psicosociali hanno portato al loro riconoscimento neuroscientifico, con importanti implicazioni sulla comprensione del funzionamento psico-bio-sociale delle persone. Questo vale anche per la saggezza: si inizia a parlare di neurobiologia della saggezza a partire dagli anni Settanta del Novecento, anche se i ricercatori che indagano questo ambito concordano nella necessità di ulteriore ricerca empirica, attraverso le tecniche tipiche delle neuroscienze.

Per esempio, il neuroimaging funzionale (ovvero le tecniche di visualizzazione del cervello che sono in grado di evidenziare come determinate strutture cerebrali si attivino in risposta a stimoli) consente l’esplorazione di quelli che sono ritenuti gli attributi psicologici che costituiscono la saggezza. Gli studi più recenti ci dicono, infatti, che la corteccia prefrontale (la parte anteriore del lobo frontale del cervello) per esempio, occupa un posto di rilievo nelle diverse componenti della saggezza, come la regolazione delle emozioni e delle azioni sulla base dei propri valori; la corteccia prefrontale laterale, invece, facilita il processo decisionale razionale, mentre la corteccia prefrontale mediale è implicata nella valenza data alle emozioni e nei comportamenti pro-sociali. Anche le vie di ricompensa regolate dal neurotrasmettitore dopamina sembrano importanti per promuovere i comportamenti sociali tipici delle persone sagge.

Saggezza e longevità, il futuro degli studi

Perché è importante studiare la saggezza da un punto di vista neurobiologico? Perché sempre più evidenze indicano che la saggezza potrebbe essere un fattore chiave per la longevità e un invecchiamento sano; per esempio, lo studio longitudinale più ampio e lungo del suo genere, l’Harvard Study of Adult Development condotto da George Vaillant ha esaminato i comportamenti e i fattori che hanno contribuito alla longevità e al benessere mentale e fisico dei partecipanti per oltre 75 anni. Tra i diversi fattori che incidevano su un invecchiamento sano, i ricercatori hanno scoperto che, a 80 anni di età, la saggezza era correlata con il benessere dei partecipanti. Non solo: fare nuove esperienze da giovane e una costante crescita da un punto di vista psicologico sono risultati fattori predittivi di saggezza nella vecchiaia, mentre la stabilità emotiva e i comportamenti pro-sociali – due delle componenti della saggezza – sono risultati predittivi di uno stato di benessere sviluppato in seguito durante la terza età.

I modi in cui la saggezza potrebbe determinare un invecchiamento sano sono molteplici, ma uno di questi sembra di particolare rilievo: sembra che la saggezza riesca a contrastare una delle maggiori criticità delle società contemporanee, la solitudine. Uno studio condotto nel 2019, su quasi 2.500 adulti di età compresa tra 20 e 69 anni, ha dimostrato che possedere comportamenti pro-sociali, considerati tra le componenti principali della saggezza, può proteggere anche dalla solitudine. I comportamenti pro-sociali facilitano la cooperazione, con benefici per la psiche, ma anche per il corpo: uno studio esplorativo del 2021 ha trovato che la solitudine incide talmente tanto nella vita di una persona da cambiare la composizione del microbiota intestinale, con possibili ricadute, da verificare, sulla salute.

“Di tutte le occupazioni aperte agli uomini, la ricerca della saggezza è la più perfetta, la più sublime, la più redditizia e più piena di gioia”. Così scriveva Tommaso d’Aquino, nel 1260: la ricerca della saggezza anima l’uomo da sempre, e sembra non essere destinata a esaurirsi presto. Le neuroscienze, infatti, offrono modi innovativi per riflettere su questa caratteristica umana, nella speranza di capire, in futuro, come funziona la saggezza con una risoluzione inedita, svelando alcuni segreti della longevità che per tanto tempo sono stati appannaggio solo dei “vecchi saggi”.

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