Noi ci immergiamo nel tempo, ne assaporiamo alcuni istanti; ci proiettiamo in esso, lo reinventiamo, ci giochiamo; “prendiamo il nostro tempo” o “lo lasciamo scorrere”: è la materia prima della nostra immaginazione. Di contro, l’età è la spunta minuziosa dei giorni che passano, la visione a senso unico degli anni la cui somma accumulata, una volta visto il totale, ci può far sprofondare nello stupore. L’età ci perimetra tutti, tra una data di nascita di cui – almeno nel mondo occidentale – siamo certi e una scadenza che, in regola generale, auspicheremmo differire. Il tempo è una libertà, l’età un vincolo. – Marc Augé

Se non tutti conosciamo il significato di “teoria dell’invecchiamento” o la differenza tra interdisciplinare e multidisciplinare, di certo tutti sappiamo che cosa significa “età”: un concetto così semplice e di utilizzo quotidiano che potrebbe sembrare superfluo approfondire. Eppure, per chi si occupa di studiare l’invecchiamento, una riflessione sul significato del concetto di età non è affatto scontata, a partire dall’uso che facciamo in ambito di ricerca dei termini inglesi “age” e “aging”. La lingua franca dell’accademia utilizza di fatto la stessa parola per indicare l’età e l’invecchiamento. È lecito quindi cominciare da una domanda: a quale età si diventa vecchi?

Frequentemente in ambito medico e di ricerca gerontologica, il cut-off si pone a 65 anni, ma non c’è una motivazione biologica alla base di questa scelta: si usa l’età cronologica di 65 anni perché la Germania, la prima nazione a istituire un programma di pensionamento, aveva determinato l’età pensionabile a 65 anni, anche se ora in molti Paesi l’età pensionabile si sta spostando sempre più avanti.
Esistono diversi modi per definire l’età negli studi sull’invecchiamento: vediamone alcuni.

Età cronologica: l’illusione della misurazione oggettiva

L’età cronologica indica il tempo trascorso dalla nascita in anni: la precisione quantitativa di questo concetto, la sua misurabilità, rischia di farla passare per un parametro oggettivo di invecchiamento, soprattutto nell’ambito della salute.

È vero che con l’avanzare degli anni aumenta la probabilità di essere affetti da una malattia, tuttavia non è lo scorrere del tempo a produrre effetti sulla salute, indipendentemente dal contesto. Infatti, l’età cronologica non spiega né l’invecchiamento biologico né la presenza di malattie “correlate all’invecchiamento”. Basti come esempio l’ampiamente documentata variabilità individuale nell’invecchiamento all’interno di un gruppo di coetanei.

Una scarsa riflessione sul concetto di età cronologica potrebbe condurre a discriminazioni e pregiudizi ageisti. Durante le prime fasi della pandemia da COVID-19 abbiamo visto un animato dibattito muoversi su questo tema: l’età avanzata può essere considerata un fattore tale da determinare il processo decisionale clinico – ad esempio l’esclusione dalle cure in assenza di risorse – o dovremmo basare la nostra decisione su altri  parametri come la presenza di comorbidità o la fragilità? Lo stesso tipo di problema decisionale si presenta anche in ambito legale o finanziario, per esempio quando si tratta di stipulare un’assicurazione o un mutuo.

L’età cronologica è solo un indice prossimale, ma un indice che viene abitualmente utilizzato dal governi e dai policy makers per la sua facilità d’uso L’età cronologica non deve essere considerata  una categoria omogenea al suo interno e nettamente distinta dalle altre classi di età, ma una generalizzazione basata sulla statistica.

L’età biologica: i parametri dell’invecchiamento

Dall’osservazione che non tutti gli individui invecchiano allo stesso ritmo emerge il concetto di età biologica. L’età biologica dovrebbe rappresentare un indicatore intrinseco del processo di invecchiamento. L’invecchiamento biologico, anche detto fisiologico o funzionale, è definito come il declino graduale e progressivo che coinvolge simultaneamente diversi sistemi di organo.

Non esiste però una spiegazione condivisa sulle cause dell’invecchiamento biologico, le diverse teorie biologiche dell’invecchiamento individuano diverse potenziali cause: danno molecolare, programmazione genetica, accumulo di “errori” e di mutazioni genetiche, la senescenza cellulare, lo stress ossidativo ecc. La scelta della spiegazione determinerà anche la scelta del criterio per calcolare l’età biologica.

Possiamo prendere l’esempio della geroscienza che afferma che l’invecchiamento biologico è causato da un deterioramento a livello cellulare in tutti i sistemi di organi, che provoca l’aumento della multimorbidità. Sulla base di questa teoria la geroscienza ha individuato 9 “segni distintivi “, differenti ma correlati, dell’invecchiamento: instabilità genomica, logoramento dei telomeri, alterazioni epigenetiche, perdita della proteostasi, rilevamento deregolato dei nutrienti, disfunzione mitocondriale, senescenza cellulare, esaurimento delle cellule staminali e comunicazione intercellulare alterata. Sulla base di questi segni distintivi, fortemente influenzati dal comportamento, dall’ambiente e dalla genetica, con conseguente variazione sostanziale tra gli individui, è possibile determinare l’età biologica di un organismo. Facile, no?
Non proprio, perché quando si tratta di misurare questi segni distintivi bisogna definire quali sono i biomarker molecolari o fenotipici da considerare (per esempio si veda questo articolo) e come “metterli insieme”.

In conclusione il concetto di età biologica ha il vantaggio di offrire parametri interni al processo di invecchiamento, ma allo stesso tempo i criteri per determinarla sono ancora oggetto di studi e necessitano di strumenti di misurazione e calcolo complessi (esplorati anche con l’ausilio di IA e deep learning).
La misurazione dell’età biologica rappresenta sicuramente una frontiera e un obiettivo per la ricerca e per la prevenzione (per esempio per permettere di individuare un invecchiamento biologico precoce), ma che difficilmente può essere utilizzata nella pratica clinica quotidiana e ancor di meno a livello sociale, sanitario o politico.

L’età psicologica: fare i conti con la propria età

C’è un altro ambito in cui il concetto di età cronologica risulta poco soddisfacente: basta chiedere, oppure chiedersi, “che età ti senti?” per accorgersi della non coincidenza tra età psicologica soggettiva ed età cronologica: alcuni studi hanno dimostrato che in età adulta più gli anni passano più ci si sente giovani rispetto alla propria età cronologica.
Il costrutto di “età soggettiva” è comunemente utilizzato in psicologia dell’invecchiamento proprio per studiare e comprendere l’età psicologica, in riferimento all’identità, alla percezione di sé, agli atteggiamenti nei confronti dell’invecchiamento, alla consapevolezza dei cambiamenti legati all’età.
Numerosi studi hanno dimostrato che un’età soggettiva più bassa è associata a una migliore salute mentale e fisica, migliori funzioni cognitive, benessere e soddisfazione per la vita. Tuttavia non possiamo credere all’adagio “hai l’età che senti di avere” perché l’età è determinata da numerosi fattori, non solo psicologici (le esperienze vissute, la percezione di sè, le credenze e convinzioni personali, ecc) e biologici (lo stato di salute o le malattie) ma anche socio-culturali: l’età è anche un costrutto sociale.

L’età sociale: la “patente” di anziano

L’età sociale è determinata dai ruoli che il gruppo sociale di appartenenza ritiene compatibili per individui della sua età cronologica. Come scrivono Luca Borzani e Marco Aime:

“La vita degli individui è scandita in modo diverso a seconda della società in cui essi vivono. Lo sviluppo e l’invecchiamento biologico che il nostro corpo, come ogni altro organismo vivente, subisce, sono percepiti e accompagnati, nelle culture umane, da differenti processi di interpretazione. Tali modelli riflettono le modalità di rappresentazione di ogni cultura e definiscono i diversi sistemi di classificazione dell’età. Lo sviluppo biologico segue un percorso lineare, cumulativo, costante e continuo, perché la natura non fa salti; quello sociale è invece frazionato in fasi culturalmente determinate, che mettono in evidenza le raffigurazioni che la società ha dei propri componenti.”

L’età sociale è indipendente dall’età che sentiamo di avere e dall’invecchiamento biologico del nostro organismo: la patente di “vecchi” nel nostro paese ci viene assegnata a 65 anni come a 18 anni quella di maggiorenni. I ruoli sociali e le attività sono assegnati in base all’età, così l’età entra nelle interazioni sociali e nelle aspettative, ed è alla base dell’organizzazione di istituzioni, politiche e programmi. La nostra età sociale definisce e norma il nostro ruolo nelle relazioni familiari e generazionali, la nostra posizione nel ciclo di studi o nel lavoro. La terza età (ma ora esiste anche la Quarta) è una di queste fasi della vita.

“La questione dell’età – ci ricorda Marc Augé – vissuta da tutti sotto ogni aspetto… e in qualunque età… rappresenta l’esperienza umana essenziale, il luogo di incontro tra noi stessi e gli altri ed è comune a tutte le culture. Resta tuttavia un luogo complesso e contraddittorio, in cui ciascuno di noi – ammesso che ne avesse la pazienza e il coraggio – potrebbe commisurare le mezze-menzogne e le mezze-verità che affollano la sua vita. Prima o poi, ognuno è condotto a interrogarsi sulla sua età, che sia sotto un aspetto o un altro, e dunque a diventare così l’etnologo della sua propria vita.“

A cura di Francesca Memini

 

Bibliografia

  • Augé, Marc. Il tempo senza età. Cortina Raffaello.
  • Borzani, Luca; Aime, Marco. Invecchiano solo gli altri (Super ET. Opera viva) (Italian Edition) . EINAUDI.
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