“In biologia nulla ha senso se non alla luce dell’evoluzione”, afferma il genetista russo Dobzhansky. Ne deriva che la risposta a qualunque domanda su questo o quest’altro fenomeno fisiologico è sempre la stessa per i biologi: “perché si è evoluto in quel modo!”. Quindi, altrettanto facile, sarebbe la risposta alla domanda che ci ripetiamo fin da bambini, quando prendiamo coscienza della morte: perché moriamo? E invece la risposta non è affatto ovvia, nemmeno in biologia. Che la questione sia molto più complicata di quanto il senso comune ci porti a pensare, balza subito alla mente se seguiamo le riflessioni di Venki Ramakrishnan racchiuse nel libro Perché moriamo. L’autore, premio Nobel per la chimica nel 2009, ha trascorso gran parte della sua carriera a studiare il problema di come vengono prodotte le proteine nel corpo umano. Fin dalle prime pagine conduce i suoi lettori in un’immersione all’interno del funzionamento delle cellule umane. Uno sguardo nell’infinitamente piccolo, fino alle molecole nei mitocondri, con un approccio di grande respiro, rivolto alla biologia evoluzionista e ai principi etici della medicina e della ricerca sperimentale.

Secondo l’approccio evoluzionistico, verso il quale propende l’autore, l’obiettivo di ogni essere vivente, dal più semplice al più complesso degli organismi, è garantire la trasmissione dei geni. Ed ecco subito il paradosso: se questo è lo scopo più importante, perché invecchiamo? E aggiungerei anche – visto che capita a moltissimi di noi – perché invecchiamo male con tanti piccoli o gravi acciacchi con cui dobbiamo faticosamente convivere, a volte per lunghi anni? Se noi esseri umani, infatti, sopravvivessimo più a lungo e in condizioni ottimali, avremmo più possibilità di generare prole. Per godervi le risposte a queste domande, munitevi di taccuino e preparatevi a un viaggio che vale la pena di percorrere guidati dalla piacevole penna di Ramakrishnan. Qualche indizio sento di doverlo dare, intanto una risposta evoluzionisticamente inappuntabile, sebbene del tutto insoddisfacente: sembra che non siamo stati progettati per invecchiare. L’idea di fondo del grande chimico e genetista, infatti, è che l’invecchiamento sia un inevitabile effetto collaterale del grande lavoro che ogni giorno svolgono le nostre cellule, per vivere, nutrirsi, riprodursi e svolgere ognuna le proprie funzioni nella straordinariamente complicata orchestra che è il nostro organismo.

La riproduzione cellulare, meccanismo sul quale si concentra maggiormente l’autore, comporta tutta una serie di aggiustamenti e processi atti alla selezione, eliminazione e correzione genetica, che sono necessariamente continui, molteplici, complessi, e coinvolgono molti elementi interni ed esterni alla cellula, fin dal momento in cui siamo concepiti. E questa indefessa, e in parte ancora misteriosa, procedura elaborata dall’evoluzione va incontro a usura, in maniera lenta e subdola. Piccole falle in alcune fasi del processo di selezione dopo l’avvenuta divisione cellulare, un leggero difetto mitocondriale, l’accorciamento impercettibile dei nostri cromosomi, portano a un accumulo di storture, anomalie, eccessi o privazioni di proteine nei posti sbagliati. Piccoli guasti insomma, nulla di grave inizialmente, che però tendono a non correggersi efficacemente, non si riparano come dovrebbero e aumentano nel tempo, non solo: a guastarsi è lo stesso sistema di sorveglianza e riparazione cellulare. Tutto questo conduce a una generalizzata senescenza cellulare, a un perdurante diffuso stato infiammatorio cellulare, quindi di tessuti, di organi, muscoli, fibre, nervi, una cascata di eventi che lentamente trasforma il nostro corpo, indebolendolo ed esponendolo a fattori nocivi esogeni ed endogeni.

Alla faccia di Putin, verrebbe da dire! All’incontro a Pechino di inizio settembre 2025 con Xi Jiping, pare che il dittatore russo abbia detto all’omonimo cinese della prospettiva (riservata, ben inteso, a pochi) di vivere almeno fino ai 150 anni, grazie a rigenerazioni di organi. Sebbene maldestramente, il colloquio tra i due grandi potenti ha colto il nocciolo della diatriba sulla biologia dell’invecchiamento: c’è un limite per la durata della nostra vita?

Ramakrishnan ci presenta due teorie contrapposte in merito: quella sostenuta autorevolmente da Jay Olshansky, secondo il quale vi è un limite invalicabile fissato dall’evoluzione, e quella proposta da James Vaupel, recentemente scomparso, il quale argomenta che se ci dovessimo attenere solo all’evoluzione le nostre vite dovrebbe durare in media fino ai 40 anni, invece, con il miglioramento delle condizioni abbiamo quanto meno raddoppiato l’aspettativa di vita. Per non parlare, sostiene ancora Vaupel, di alcuni casi eccezionali in natura, come lo squalo della Greonlandia, delle tartarughe e altri (mammiferi e non) che riescono a vivere molto a lungo, o delle meduse immortali e l’idra che rigenerano da sé alcuni tessuti vitali. La questione è aperta tanto quanto vivace. Le argomentazioni sono forti, dall’una come dall’altra parte. Ma, sostiene il nostro autore, se il riferimento ad alcuni animali può essere interessante per la ricerca, il caso dell’invecchiamento umano è questione singolare e assai complessa.

Pur se nei Paesi sviluppati siamo riusciti a raddoppiare l’aspettativa di vita negli ultimi decenni, primato eccezionale nella storia dell’umanità, e anche se riuscissimo a debellare tutte le cause di morte dovute a malattie (cioè, se sconfiggessimo tutte le tipologie di cancro, ci potessimo curare dal diabete e potessimo prevenire gli infarti e le malattie rare), non allungheremmo di molto la nostra esistenza. La persona più vecchia su cui esista una documentazione attendibile è Jeanne Calment, morta nel 1997 all’età di 122 anni. Viveva nel sud della Francia e da ragazza aveva incontrato Van Gogh! Riuscì ad andare in bicicletta fino a cento anni, ma nell’ultimo periodo della sua vita era diventata cieca e sorda.

Come ribadiamo sempre nelle pagine del nostro portale, la qualità dell’invecchiamento è l’obiettivo principale delle scienze dell’Aging. Non è sempre così, denuncia Ramakrishnan, il quale con limpido rigore morale si scaglia contro le retoriche campagne pubblicitarie di alcune start-up e aziende milionarie, che lanciano sul mercato rimedi anti-aging. Un notevole merito di questo libro, forse il più importante, sta proprio nel fornire strumenti di conoscenza paragonabili a vaccini contro le fake-news sull’invecchiamento, uno scudo che ci mette in guarda dalle roboanti promesse (infondate) sulla ‘cura’ all’invecchiamento. Il fenomeno è sotto gli occhi di tutti: negli ultimi decenni sono sorte improbabili aziende commerciali che vendono un gran varietà di prodotti e trattamenti che pretendono di migliorare la salute o prolungare la durate della vita.

Già nel 2002 – ci ricorda il nostro autore – un gruppo di 51 eminenti gerontologi scrisse un manifesto di denuncia contro questa allarmante euforia, cercando di mettere nero su bianco quello che era provato dalla scienza e le ragionevoli piste di ricerca, da quello che era pura fantascienza. Tra i punti chiave della loro denuncia era proprio il fatto che, pur eliminando le cause di morte legate all’invecchiamento, non avremmo potuto aumentare l’aspettativa di vita, se non di un quindicennio appena. Ne raccomandiamo un’attenta lettura all’interno del volume. Per ragioni di brevità, menzioniamo solo alcuni punti che riteniamo importanti per i nostri lettori. Cominciamo con gli antiossidanti: possono avere effetti benefici in certe persone, ma non ci sono prove che abbiano alcun effetto significativo sull’invecchiamento umano. Secondo, l’accorciamento dei telomeri – fenomeno da molti indicato come nemico numero uno della vita cellulare – non può essere additato come responsabile principale dell’invecchiamento umano; o almeno, le prove a disposizione sono contraddittorie. Terzo, al netto di alcuni indubbi benefici sulla salute, non è stato ancora comprovato che la restrizione calorica – oggi tanto in voga – possa allungare la vita di molto (anche perché la maggior parte di noi preferisce una vita piacevole a una vita più lunga fatta di rinunce). Quarto ed ultimo avvertimento, arrendiamoci all’evidenza che non si può aggirare l’invecchiamento, gli individui non possono ringiovanire, perché è impossibile sostituire tutte le cellule, i tessuti e gli organi con altri più giovani, e anche se le cellule staminali potranno aiutarci – con l’ausilio delle nuove tecnologie – a rigenerare alcuni tessuti, non si potrà clonare, sostituire, riprogrammare il nostro cervello. E così, conclude Ramakishnan, “mentre aspettiamo che la grande avventura della ricerca sull’invecchiamento risolva il problema della morte, possiamo godere della vita in tutto il suo splendore”.

 

Scheda libro

AUTORE: Venki Ramakrishnan
TITOLO: Perché moriamo. La nuova scienza dell’invecchiamento e la ricerca dell’immortalità
EDITORE: Adelphi
PAGINE: 348

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