In Italia viviamo sempre più a lungo: è un dato di fatto, positivo, che si registra in entrambi i sessi (vedi Figura 1), e che pone l’Italia al di sopra della media europea. Le donne, poi, vivono più a lungo degli uomini: l’aspettativa di vita alla nascita nel 2015 è di 80,1 anni per gli uomini, e di 84,6 anni per le donne. Buone notizie, dunque?

Speranza di vita per genere - AGING Project

Figura 1. Speranza di vita per genere

Come spiega il professor Fabrizio Faggiano, Professore ordinario di Igiene, epidemiologo e coordinatore dell’AGING Project:

«Occorre introdurre un correttivo a queste buone notizie: all’aumento dell’aspettativa di vita, infatti, non corrisponde un eguale aumento di aspettativa di vita sana. L’attesa di vita non è un indicatore sufficiente se non valutiamo contestualmente la morbilità e la disabilità. L’aumento dell’attesa di vita può essere determinato da due principali fattori: l’aumento della sopravvivenza dei soggetti malati (effetto del sistema di cure) o lo spostamento  in avanti dell’inizio della malattia (effetto del sistema sociale e della prevenzione). In Italia, purtroppo, l’attesa di vita da malati sta aumentando di più rispetto all’attesa di vita sana (vedi Figura 2). Fra gli over 60 più di 13 milioni hanno una malattia cronica, più di 9, ne hanno due malattie».

Aspettativa vita senza limitazioni - Aging Project

Figura 2: Speranza di vita e speranza di vita senza limitazioni

Lo squilibrio tra fasce di età: un fardello sociale?

Un altro aspetto da considerare quando si parla di invecchiamento è l’impatto che la transizione demografica ha sulla società. Questa a distorto la “piramide” della popolazione italiana (Figura 3), facendo aumentare la proporzione di soggetti anziani rispetto a quelli più giovani. Sappiamo inoltre che questa  proporzione è destinata a crescere con il tempo, con l’invecchiare della generazione del baby boom, nata a cavallo degli anni ‘60.

L’estensione della durata della vita, e il fatto che la fascia degli ultrasettancinquenni non è mai stata così tanto rappresentata nella composizione generale della popolazione, si accompagna ad un altro dato poco incoraggiante: in Italia nascono pochi bambini. È stato calcolato che per garantire un certo equilibrio tra le varie classi di età di una popolazione l’indice di fecondità dovrebbe essere di 2,2. In Italia abbiamo un indice di fecondità intorno a 1,32.Piramide della popolazione - Aging Project

Figura 3: Piramide della popolazione

«Per comprendere meglio il fenomeno, spiega il professor Faggiano, dobbiamo tenere conto dell’indice di vecchiaia della popolazione – il rapporto percentuale tra la popolazione di 65 anni e più e la popolazione di età 0-14 anni. – e dell’indice di dipendenza della popolazione – il rapporto percentuale tra la popolazione in età non attiva (0-14 anni e oltre 64 anni) e la popolazione attiva (15-64 anni). L’indice di vecchiaia nel 2015 è di 200, quello di dipendenza 38,9. In proiezione nel 2045 l’indice di vecchiaia salirà a 279, mentre l’indice di dipendenza a 61,5»

I giovani di oggi sono dunque destinati a portare sulle proprie spalle un numero di anziani molto elevato, un fardello sul piano sociale prima ancora che economico.  Come rendere più sostenibile questo compito? Una grossa differenza deriva dal fatto che si tratti di ultrasettancinquenni ancora attivi, in buona salute e socialmente connessi, oppure di anziani malati e non più autosufficienti.

L’invecchiamento sano

Una strategia possibile è quella di sviluppare politiche che favoriscano la «compression of disease», prosegue Faggiano « Posticipare l’inizio della malattia cronica, prevenire le riacutizzazioni nei pazienti anziani con malattie croniche, preservare la qualità della vità. Ma non mirare all’allungamento della vita a qualunque costo. Di particolare importanza per posticipare l’inizio della malattia cronica è la prevenzione primaria, che potenzia i fattori utili alla salute».

Per il bene nostro e delle generazioni che verranno, diventa fondamentale seguire le buone regole della prevenzione per invecchiare in salute e rinviare il più in là possibile non solo l’esordio di malattie croniche, cosa che dipende solo in parte dal nostro comportamento, quanto il momento in cui diventeranno invalidanti e comporteranno una perdita di autosufficienza.

«La prevenzione primaria dovrebbe essere trattata con i metodi e il rigore della medicina scientifica: ricerca sperimentale rigorosa, formazione adeguata dei professionisti della salute, programmi di implementazione, monitoraggio, valutazione dell’impatto e finanziamenti. Solo in questo modo è possibile trasformare l’invecchiamento della popolazione da fardello a opportunità».

Che cosa si intende per prevenzione primaria?

Tradizionalmente la prevenzione si suddivide in  prevenzione primaria, che si rivolge a tutta la popolazione sana e ha come obiettivo il controllo dei determinanti di malattia; prevenzione secondaria, che si rivolge alla sola popolazione a rischio ed ha come obiettivo la diagnosi precoce, e prevenzione terziaria, che si rivolge alla sola popolazione malata e ha come obiettivo la riduzione dell’impatto negativo di una patologia.

Le politiche e le pratiche di prevenzione primaria sono lo strumento principale per aumentare l’aspettativa di vita sana nella società. Il concetto di salute però non coincide semplicemente con l’assenza di malattie. La Carta di Ottawa per la promozione della salute descrive la salute come la capacità di soddisfare i propri bisogni, di realizzare le proprie aspirazioni e di modificare o reagire all’ambiente.

Non si tratta quindi di una quantità oggettiva, ma piuttosto una qualità soggettiva: parafrasando il Manzoni, la salute «è una dote che ci si può dare», e che si può, quindi, anche coltivare.

A cura di Francesca Memini e Giulia Candiani

 

Bibliografia

 

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