Anche se invecchiamo in modi differenti e in tempi differenti, tutti ci svegliamo ogni giorno più vecchi. Invecchiare è difficile, ma per la maggioranza dei casi il passare del tempo ci porta benefici reali. Negando quei benefici e sottolineando le nostre paure, l’ageismo rende l’invecchiamento peggiore di quel che dovrebbe essere.

Queste parole sono tratte dal libro Il bello dell’età: Manifesto contro l’ageismo, di Ashton Applewhite, giornalista e attivista americana che lavora e si batte per contrastare l’ageismo. Il termine ageismo fu coniato nel 1969 dal suo mentore, lo geriatra e psichiatra Robert Butler, che lo definì come “la combinazione di attitudini pregiudiziali nei confronti delle persone più vecchie, della vecchiaia e dell’invecchiamento in sé, pratiche discriminatorie nei confronti dei più vecchi e pratiche politiche che perpetuano stereotipi su questo tema”.
Oggi il significato del termine ageismo si è ampliato e definisce tutte le forme di discriminazione nei confronti di persone appartenenti a gruppi di qualsiasi età.

Come si manifesta in concreto l’ageismo?

L’ageismo rinchiude le persone in categorie in base all’età, creando ingiustizie e ostacolando la solidarietà fra le diverse generazioni. Per evitare questi esiti è fondamentale comprendere e riconoscere nella vita di tutti i giorni quali possono essere i comportamenti che discriminano e che possono agire negativamente sulla vita e sulla salute delle persone.
Possiamo immaginare una situazione in cui si è sistematicamente ignorati dai colleghi o dai superiori sul posto di lavoro, trattati con sufficienza dai propri familiari, insultati, o in cui vengono negati dei trattamenti clinici per via dell’età avanzata. O ancora, sarà capitato quasi a tutti di ricevere complimenti come “Non dimostri assolutamente i tuoi anni!”, che in realtà manifestano un sentimento di avversione per l’età che avanza, come se avere un aspetto esteriore conforme alla propria età sia qualcosa di cui vergognarsi.

Vista l’importanza e l’entità delle conseguenze associate all’ageismo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha studiato il fenomeno e nel 2021 ha redatto il “Global report on aging”, un documento che ha il fine di prevenire e ridurre le ingiustizie e di facilitare la solidarietà intergenerazionale, delineando strategie per prevenire e contrastare l’ageismo.

A partire da questo lavoro di analisi si sono descritte nel dettaglio le tipologie di discriminazioni e le modalità di attuazione, che si traducono in stereotipi e pregiudizi rivolti ad altri o a se stessi.

Gli stereotipi sono le idee e le conoscenze che condizionano il nostro modo di pensare con semplificazioni o generalizzazioni che annullano la variabilità individuale e le peculiarità dell’individuo. Alcuni stereotipi nei confronti delle persone anziane, ad esempio, si riferiscono alle loro minori capacità fisiche, mentali e sociali, come l’essere incompetenti o fragili.
Uno studio dell’università di Berkeley ha evidenziato che i pregiudizi legati all’anzianità riguardano in particolare la malattia (per cui si identifica l’anziano come malato), l ‘impotenza, la perdita dell’avvenenza fisica, il declino delle abilità mentali per via della scarsa capacità dell’anziano a imparare (da notare che le possibili maggiori difficoltà in queste attività non sono dovute all’età bensì alla mancanza di esercizio o di motivazione).

I pregiudizi sono invece rappresentati dai sentimenti che derivano da opinioni preconcette e nel caso degli anziani possono essere la pietà o la simpatia. Infine vi sono le vere e proprie discriminazioni, che riguardano il piano dell’azione: decisioni, scelte e comportamenti nei confronti di un certo gruppo di persone che si possono manifestare anche a livello istituzionale con leggi, norme sociali e pratiche istituzionali che ingiustamente restringono le opportunità con svantaggi individuali sistematici, a causa dell’età.

Donne e discriminazioni legate all’età: l’ageismo di genere

Tra le forme di ageismo analizzate nel documento “Global report on aging” si evidenzia la discriminazione messa in atto nei confronti delle donne, definita come “ageismo di genere” (gendered ageism) per indicare le specificità delle discriminazioni affrontate dalle donne rispetto agli uomini, a causa dell’intersezione di due fattori quali l’età e il genere.

L’ageismo di genere è doppiamente discriminante poiché alla componente dell’età anagrafica si somma la discriminazione legata al genere. Così, ai pregiudizi dovuti all’essere donna si aggiungono quelli dovuti all’età e all’invecchiamento.

Le donne che invecchiano lo fanno in modo diverso rispetto agli uomini. Nella considerazione sociale comune, l’età migliora gli uomini mentre svaluta le donne; Susan Sontag lo definì “il doppio standard dell’invecchiamento” dove le donne rafforzano il doppio criterio “con la loro compiacenza, con l’angoscia e le bugie: per proteggere loro stesse come donne, si tradiscono come adulte”.

Il rapporto delle donne con il proprio corpo è stato analizzato in una revisione sistematica del 2018 intitolata The female aging body, in cui si evidenza che le donne sperimentano l’insoddisfazione per il loro corpo nel corso di tutta la vita e che questa insoddisfazione non svanisce con l’aumentare dell’età, anzi.

L’invecchiamento viene considerato un periodo di declino del corpo. La costruzione negativa dell’invecchiamento considera questa età della vita come il tempo della perdita: la perdita della bellezza, dell’identità e del valore sociale. Le donne di “una certa età” vengono escluse dall’ideale di bellezza perché ritenute espressione di un’estetica che entra in conflitto con il concetto di salute e benessere.

Molte donne accettano i loro cambiamenti come un processo naturale della vita ma la maggioranza li vive con insoddisfazione e frustrazione, sentimenti che possono portare a disagio emotivo, isolamento sociale e comportamenti poco salutari, come rischiose procedure cosmetiche, diete molto rigide, eccessiva attività fisica.

Queste considerazioni mostrano come le donne continuino a mettere in atto strategie per mascherare la loro età, confermando ulteriormente lo stereotipo che vuole le donne sempre giovani e che ritiene impossibile, per una donna, invecchiare senza perdere valore come persona.

Per valutare il fenomeno sociale ed esaminare i comportamenti e le difficoltà affrontate dalle donne con l’invecchiamento, può venirci in aiuto uno strumento usato nelle ricerche di mercato: la mappa sinottica di Eurisko. L’istituto di ricerche di mercato Eurisko ogni anno conduce un’indagine psicografica sulla popolazione italiana che permette di “fotografare”, l’evoluzione culturale, i consumi e gli interessi della popolazione, usando un campione di 10mila italiani di età maggiore di 14 anni.

MappaSinottiva_Eurisko_AgingProject

Tabella 1 Mappa Sinottica Eurisko (Fonte: Del Monte)

Come si può vedere dalla figura 1, le diverse categorie di consumatori vengono posizionate in 16 diverse caselle. La selezione delle categorie nelle due direzioni (verticale e orizzontale) viene effettuata in base a caratteri morbidi (verticali) e duri (orizzontali).
Per caratteri morbidi o femminili si intendono quelli legati a cultura, riflessione, affetti, emozioni, aspetto, moderazione, relazione con gli altri, ecc, mentre i caratteri duri sono quelli legati all’affermazione, al protagonismo, al successo, all’azione, ecc. La denominazione femminile e maschile non si identifica col genere ma a tratti e comportamenti che se associati evidenziano migliori o peggiori condizioni di vita sociale. In basso a sinistra si evidenziano le categorie sociali che in base al reddito, qualità di vita, cultura presentano maggiori difficoltà ed esclusione sociale e non a caso vi si posizionano le donne anziane.

Perché le donne anziane risultano così svantaggiate?

Nel corso della loro esistenza, le donne sopportano il peso di molteplici forme di discriminazioni e l’accumulo di questi svantaggi dati dal sessismo e dall’ageismo portano a situazioni di marginalità e difficoltà. Gli ambiti in cui le donne subiscono discriminazioni sono molteplici.

Nell’ambito lavorativo le donne riscontrano diversi problemi: la disoccupazione femminile rappresenta 11,1% rispetto al 9.6% di quella maschile, il tasso di totale inattività femminile si aggira intorno al 46,3% mentre quello maschile si attesta al 27.6 % e il tasso di occupazione femminile è del 47,7%, cambia con l’età e diminuisce in base al numero di figli.
Quando le donne hanno un lavoro le loro retribuzioni sono inferiori rispetto a quelle degli uomini a parità di mansione. In Italia la differenza di retribuzione fra uomini e donne si aggira intorno al 18% e nel “Global Gender Gap Report del 2020”, l’Italia è al 76° posto per la parità salariale e ha perso 6 posizioni rispetto al 2010.

Molto spesso i lavori svolti dalle donne sono saltuari o con contratti non continuativi, la loro carriera lavorativa presenta spesso dei momenti di inattività per maternità o per il volontario abbandono del lavoro (vista la ridotta retribuzione) per occuparsi dei familiari.
Anche la percentuale di occupazione part-time sulla occupazione totale è nettamente superiore rispetto a quella maschile: nel 2021 l’occupazione part-time femminile, come percentuale dell’occupazione totale, è stata del 31,5% contro l’8,4% di quella maschile.

Con l’avanzare dell’età le donne incontrano sempre maggiore difficoltà a essere occupate. Nel 2020 il 32% delle donne over 45 era impegnato attivamente nella ricerca di un lavoro.
Inoltre è ancora largamente diffusa l’idea che le donne, anche quando anziane, si occupino di assistenza informale per aiutare i familiari (figli, nipoti, coniugi, altri parenti anziani).

Per via di tutti questi fattori le donne arrivano all’età della pensione con un bagaglio contributivo più esiguo (per numero di anni lavorati e per entità di retribuzioni) che porta ad avere una pensione molto ridotta o addirittura assente.

Secondo il Pension Adequacy Report 2018 della Commissione Europea, Il divario pensionistico fra donne e uomini si aggira intorno al 38% e questo espone le donne a maggiori rischi di povertà ed esclusione sociale in età avanzata. Se esse infatti vivono sole (o rimangono sole dopo la perdita del loro partner) si trovano a sostenere costi assimilabili a quelli di una famiglia, con un reddito pensionistico molto più basso.
Con l’ulteriore avanzamento dell’età, nella fascia oltre i 75 anni la situazione si complica ulteriormente. In Italia, secondo le statistiche Istat del 2020, vi sono oltre 7 milioni di anziani e le donne rappresentano il 60%. Quasi la metà delle donne anziane (49,2%) di oltre 75 anni vive da sola e con una salute più cagionevole. Il 24,7% inoltre ha gravi limitazioni nelle attività quotidiane e il 48% ha tre o più malattie croniche (contro il 18% e il 33,7% negli uomini rispettivamente).
Come abbiamo visto le differenze di genere accompagnano le donne per tutta la loro vita con inevitabili ripercussioni sulla salute: sono a rischio di isolamento sociale, vivono per lo più sole e possono essere colpite da povertà in età avanzata e nonostante abbiano una sopravvivenza maggiore, la qualità della loro vita e l’aspettativa di vita in buona salute, (cioè vivere senza disabilità) è minore. Su questi aspetti si sta sviluppando persino un filone di ricerca conosciuto come medicina di genere.

Ageismo di genere: Quali sono le prospettive per il futuro?

Il documento “Global report on aging” ha aiutato a comprendere meglio il fenomeno e ha fornito chiavi di lettura e possibili strategie per contrastarlo, mettendo in atto politiche e leggi antidiscriminatorie, che riconoscano le distorsioni del pensiero ageiste e rinforzino le azioni sull’eliminazione di leggi discriminatorie.

Alla base di questo processo dovrebbe esserci anche un patto sociale basato sull’idea che in futuro le nostre vite saranno più lunghe e che dovranno essere vissute meglio. Tale patto dovrà essere organizzato per far interagire persone di età diverse e favorire interventi e strategie di aiuto intergenerazionale.
Questi interventi potranno avviare un cambiamento positivo nella vita di molte persone, dagli anziani di oggi, ai giovani che saranno gli anziani di domani, affinché tutti possano vivere in modo adeguato le loro età. Fin da subito è doveroso affrontare l’ageismo che ciascuno di noi mette in atto in modo più o meno consapevole, prestando attenzione ai pregiudizi e agli stereotipi che tutti noi rischiamo di perpetrare, perché la considerazione della vecchiaia può e deve cambiare.

Già Simone de Beauvoir denunciava il problema e la sua necessaria soluzione:

La vecchiaia denuncia il fallimento della nostra civiltà. La società non si cura dell’individuo che nella misura in cui esso renda. Quando si sia compreso qual è la condizione dei vecchi, non ci si può accontentare di esigere una politica della vecchiaia più generosa, un aumento delle pensioni, alloggi sani, divertimenti organizzati. E’ tutto il sistema che è in questione, e l’alternativa non può che essere radicale: cambiare vita.

Josè Saramago durante un’intervista disse:
Anche se non si può applicare questo pensiero a qualsiasi persona, io penso che più si è vecchi più si diventa liberi, e più si diventa liberi più si diventa radicali”.

Ecco, diventare liberi, diventare radicali, cambiare vita, lontani da pregiudizi e stereotipi (dentro e fuori di noi) per far sì che in ogni fase della nostra vita, dall’infanzia alla vecchiaia, ogni attimo possa essere vissuto con fierezza e serenità, supportato da scelte sociali e da una rete intergenerazionale da tessere insieme. Non si è mai troppo vecchi e non è mai troppo tardi.

 

Fonti:

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