Nero. Silenzio. Buio e quiete, l’assenza di tutto, di luci e di suoni. Di vita. E il fascino del vuoto, del nulla in cui ci si può perdere. Forse.

Perché sì, la scienza empirica ha dimostrato che il nero è un colore anacromatico, senza tinta, un “non colore” insomma. Se noi vediamo gli oggetti che ci circondano, dice la Scienza, è perché il materiale di cui sono composti, quando riceve un fascio di luce ne riflette una parte e ne assorbe un’altra, rendendosi visibile e colorato. Il nero, no: esso inghiotte la luce, non la riflette, e perciò sottrae all’occhio ogni lunghezza d’onda di luce. Il risultato? Niente. Buio. Nero. Un mistero che non ha dimensioni, riproponendosi – con immutato fascino – nell’immensa teoria dei buchi neri dell’Universo.

Ma il silenzio, invece? È soltanto assenza di rumore? È, anch’esso, un “niente”? Oppure…

Fino ad ora, si è tentato di spiegare il silenzio seguendo due prospettive: quella percettiva (“Noi sentiamo il silenzio”) e quella cognitiva (“No, noi sentiamo l’assenza di rumori”). Scienziati e filosofi, da secoli, si chiedono se l’orecchio umano sia in grado di udire qualcosa che non sia esclusivamente un suono, o meglio un segnale acustico. A rispondere, ora, ci hanno provato alcuni ricercatori della Johns Hopkins University di Baltimora (Maryland, USA) avvalendosi, per la prima volta, di test empirici; i risultati sono stati pubblicati a luglio sulla rivista scientifica PNAS – Proceedings of the National Academy of Sciences e hanno suscitato immediato interesse in ambito neurologico, psicologico e filosofico.

L’approccio a questi test, naturalmente, non poteva essere soltanto “tradizionale”, da laboratorio, per intenderci: il nostro cervello, probabilmente, avrebbe risposto come ci si sarebbe aspettato: rumore, non rumore, rumore. Perciò gli studiosi sono ricorsi all’illusione (dal latino ludere: ingannare, giocare…) e hanno deciso di dimostrare che “anche il nulla si può sentire” attraverso una serie di esperimenti basati appunto sulle illusioni uditive. Utilizzando cuffie o auricolari, chi fosse interessato può provare a cimentarsi – come hanno fatto i mille soggetti coinvolti dai ricercatori in questi esperimenti – all’indirizzo https://www.perceptionresearch.org/silence.

Vediamo, allora, in che cosa consistevano i principali esperimenti e a quale conclusione sono giunti alla Johns Hopkins University.

È necessaria però, prima di tutto, fornire una spiegazione basilare della nostra esperienza uditiva, e cioè che essa non può disgiungersi dalla comprensione della durata di un segnale acustico, che aiuta a riconoscere se un rumore è continuo o intermittente e quanto esso si prolunghi nel tempo. Questa capacità di elaborazione temporale del nostro sistema uditivo è fondamentale per interpretare tutto ciò che ascoltiamo, sia esso un discorso come una canzone, una sirena come il suono di una notifica del nostro smartphone.

Chiarito questo concetto di base, ecco l’impianto su cui i ricercatori hanno basato i loro esperimenti, il più importante dei quali, chiamato One-silence-is-more, è stato quello che ha suggerito loro la validazione della teoria percettiva.

Al gruppo di tester – mille persone, lo ricordiamo- è stata fatta ascoltare dapprima la versione “ufficiale” dell’illusione, che serviva per alterare la percezione del tempo: all’ascoltatore sembrava che uno stesso suono, a seconda che fosse inframmezzato con rumori di fondo, per esempio, apparisse più breve rispetto a quando era riprodotto senza interruzioni. Dopodiché gli studiosi hanno elaborato l’illusione sostituendo il silenzio al suono: un sottofondo sonoro era interrotto temporaneamente o da un silenzio prolungato, o da due momenti di silenzio interrotti da un breve rumore. L’esperimento ha ottenuto il risultato sperato dai ricercatori: i partecipanti allo studio hanno percepito l’unico periodo di silenzio come più lungo rispetto alla stessa sequenza di silenzio spezzata in due parti. Esattamente come se si trattasse di un suono.

Naturalmente, un unico esperimento non poteva essere sufficiente per dimostrare inconfutabilmente la teoria, perciò ai tester sono stati proposti altri sei esperimenti suddivisi in tre categorie (oltre a One-silence-is-more, anche Silence event-based warping e Oddball silence: li trovate sempre all’indirizzo web indicato); ebbene, tutte le illusioni “costruite” dagli autori dello studio sono riuscite a ingannare i partecipanti, modificando, in misura diversa, la loro percezione temporale, proprio come accade con le illusioni uditive “classiche”. Da qui, la conclusione pubblicata sulla rivista scientifica: c’è una analogia tra il modo in cui il nostro cervello elabora i suoni e il silenzio.

Ora, stabilito (in maniera non definitiva, comunque: la Scienza non può fermarsi… alle illusioni) che il silenzio sembra rappresentare una forma di ascolto e cioè che gli uomini, in qualche modo, “sentono” il silenzio, resta da stabilire che cosa esso sia esattamente. Insomma, come facciamo a riconoscere quei “sovrumani silenzi e profondissima quiete” di leopardiana memoria se, a differenza di qualsivoglia suono, non hanno altezza, intensità, timbro e durata, cioè le quattro caratteristiche di ogni segnale acustico? Come il nero, colore senza tinta…

A conclusione del loro studio – a suo modo, comunque, rivoluzionario – uno degli autori ha provato a semplificare paragonando il silenzio a un blank file (un file vuoto): immaginate sul desktop del vostro computer una serie di file di testo, tutti uguali, ma in uno dei quali non c’è scritto alcuna parola. Ecco, qui c’è silenzio. Questo è il silenzio.

E a noi, forse, non resta allora che approfittare di questa scoperta e abbandonarci nel sonno dentro il suono del silenzio (cit.: The Sound of Silence, Simon & Garfunkel, 1964) o, accompagnati da chi ha conosciuto anche le ombre della nostra mente, sfiorando le vette dell’assoluta liricità, riconoscere che sì, del silenzio, abbiamo bisogno. Qualunque cosa sia.

 

Ho bisogno di silenzio
come te che leggi col pensiero
non ad alta voce
il suono della mia stessa voce
adesso sarebbe rumore
non parole ma solo rumore fastidioso
che mi distrae dal pensare.
[…]
Ho solo bisogno di silenzio
tanto ho parlato, troppo
è arrivato il tempo di tacere
di raccogliere i pensieri
allegri, tristi, dolci, amari,
ce ne sono tanti dentro ognuno di noi.
[…]
Chi di parole da me ne ha avute tante
e non ne vuole più,
ha bisogno, come me, di silenzio.

Alda Merini

 

Bibliografia

RZ Goh, IB Phillips, C Firestone The perception of silence Proc Natl Acad Sci U S A. 2023 Jul 18;120(29):e2301463120. https://doi.org/10.1073/pnas.2301463120

 

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