Secondo appuntamento con le interviste tratte dal webinar “Ricerca ed aging ai tempi del coronavirus: esperienze a confronto”, organizzato dai dipartimenti della Scuola di Medicina dell’Università del Piemonte Orientale DIMET e DISS.
In questa sessione, la professoressa Cristina Meini, professore associato di Filosofia della mente presso l’Università del Piemonte Orientale, ha intervista la dottoressa Amalia de Curtis, responsabile esecutiva del progetto Moli-Sani.

Cristina Meini (CM) Dott.ssa de Curtis, potrebbe introdurci il progetto della Biobanca Moli-sani? Mi interessa in particolare capire come vi siete relazionati con i volontari: come li avete coinvolti?

Amalia de Curtis (AdC) Moli-sani è una biobanca di popolazione attiva in Molise dal 2005, che attualmente conta circa 25.000 partecipanti volontari provenienti dalle province di Campobasso e Termoli, ovvero da territori molto eterogenei.
Nella prima fase, iniziata nel 2005, i volontari erano reclutati in una popolazione di 35 anni o più. Attualmente pertanto, i volontari più giovani hanno 50 anni.
La fase di selezione e randomizzazione è avvenuta a partire dalle liste elettorali.
Sono stati fortemente coinvolti alcuni attori sociali. Innazitutto i medici di medicina generale, chiamati a fungere da mediatori del progetto informando i volontari loro pazienti. Abbiamo organizzato riunioni di gruppo per spiegare loro l’idea alla base del progetto, insistendo sul fatto che Moli-sani non intendeva affatto sostituirsi ai medici di medicina generale, ma collaborare con loro per conoscere meglio lo stato di salute della popolazione;
Abbiamo coinvolto inoltre i parroci e i comuni, anch’essi mostratisi disponibili a esercitare un ruolo attivo nel coinvolgimento dei volontari.

CM Come è proseguito il coinvolgimento dei volontari?

AdC Una volta fatta la selezione, a ogni persona prescelta è stata inviata una lettera che spiegava gli scopi del progetto, seguita qualche giorno dopo da una seconda lettera di invito a presentarsi ai laboratori referenti. Il riscontro è stato ottimo sin dall’inizio, come molti simpatici indicatori informali hanno evidenziato. Molti ci hanno telefonato per proporre l’inserimento di vicini, amici e parenti – in questo caso abbiamo dovuto spiegare l’importanza della randomizzazione (che significa una selezione casuale dei volontari inseriti).
In altri casi i volontari si sono auto-organizzati per venire in gruppi, scelta utile per assicurare una scansione piacevole della giornata (il volontario arrivava al mattino presto per il prelievo di sangue a digiuno, seguito da vari esami e da questionati su stili di vita, patologie pregresse, alimentazione, che complessivamente lo occupavano molte ore). Il clima era, in caso di gruppi di conoscenti ma non solo, gioviale e collaborativo, improntato alla stima e alla fiducia. Significativo come molte donne, mentre si raccoglievano i dati sull’alimentazione, abbiano proposto al personale dello staff ricette salutari.

CM Una delle criticità per una biobanca è quella di mantenere le comunicazioni con i volontari per un lungo periodo. Come avete fatto?

AdC Parte dei colleghi dello staff organizzava con cadenza quindicinale comunicazioni presso scuole, centri anziani e punti di aggregazione, per comunicare i risultati intermedi e per rendere attivamente partecipi i volontari.
Ai fini della fidelizzazione è stato importante anche il dono del calendario, realizzato ogni anno su un tema attinente il progetto: le donne coinvolte nella biobanca, i ricercatori, gli stili di vita positivi ecc.
Questo contesto positivo è stato importante anche per poter richiamare con successo la coorte. A distanza di 10 anni, a partire dal 2015 si è infatti iniziato il richiamo per la seconda fase.

CM In che modo avete gestito il progetto durante l’emergenza COVID e il conseguente isolamento?

AdC Al momento abbiamo richiamato circa 3.000 soggetti, ma nel periodo di emergenza COVID il richiamo è stato sospeso: un segnale importante per noi è che ancora qualcuno dei partecipanti ci chiama per sapere quando riprenderemo.
Attualmente abbiamo proposto ai partecipanti questionari telefonici sullo stato salute e su eventuali ospedalizzazioni, ma anche per indagare come hanno vissuto il periodo del lockdown, come si sono modificate le loro abitudini, lo stato di resilienza rispetto a questo avvenimento e anche in questo caso la risposta in termini di partecipazione è stata congrua.

CM Un progetto di cittadinanza attiva e consapevole pienamente riuscito, dunque, e naturalmente uno stimolo prezioso per gli studi di coorte della biobanca UPO.

Photo by Louis Reed on Unsplash

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