Con l’avanzare degli anni può succedere: si cade improvvisamente perché si perde l’equilibrio. Ciò può avere un impatto importante sulla vita delle persone, soprattutto oltre i 65 anni perché, come conseguenza di tale caduta, può subentrare una frattura al femore

Ma cerchiamo di capire perché negli anziani sia così frequente la rottura di questo osso. Alla base di un simile evento ci sono fenomeni legati all’invecchiamento e alla fragilità, che vanno compresi per prevenire ed evitare le fratture. In caso di frattura un ruolo da protagonista è rivestito dal percorso riabilitativo: complesso ma indispensabile per il recupero di un’autonomia di movimento e quindi di vita. Rimane comunque valido che l’arma migliore per evitare le fratture sia quella di fare prevenzione.

Ne abbiamo parlato con il Professor Alessio Baricich, medico chirurgo e specialista in Medicina Fisica e Riabilitazione che, all’interno dell’Università del Piemonte Orientale, svolge attività clinica e di ricerca per il trattamento dei pazienti affetti da disabilità di origine neurologica, da disturbi del movimento, del metabolismo osseo e del dolore muscolo-scheletrico in ambito riabilitativo. Gli abbiamo fatto qualche domanda per capire meglio l’origine, le cause e il modo migliore per affrontare una frattura del femore.

Professor Baricich, parlando delle fratture del femore, cosa succede nello specifico e perché sono così diffuse tra le persone anziane?

La frattura del femore è una delle principali cause di disabilità, nonché uno dei problemi più frequenti nelle persone anziane. Si tratta di fratture “da fragilità”, ovvero che avvengono su una base patologica. Il trauma che le provoca (definito “trauma non efficiente”) implica un meccanismo di lesione generato da una forza che in condizioni normali non dovrebbe causare una frattura. L’osteoporosi è spesso causa di questa fragilità ossea. Alla base vi sono molteplici fattori di rischio: alcuni esempi sono i cambiamenti del metabolismo osseo dopo la menopausa, l’immobilità, l’invecchiamento. 

Inoltre, esistono dei fattori che aumentano il rischio di caduta: una combinazione di elementi porta alcune persone ad essere purtroppo candidati ideali per le frattura di femore.

Peraltro, anche altri distretti possono essere coinvolti in fratture da fragilità: pensiamo ad esempio alle fratture di polso occorse dopo una caduta o alle fratture vertebrali, che molto spesso avvengono senza sintomi e in assenza di traumi. Come potete vedere, la questione è molto complessa. 

Quali possono essere le cause? Ci sono delle cause strettamente legate all’invecchiamento?

Alla base ci sono due problemi tipici dei pazienti affetti da osteoporosi: la fragilità dell’osso e l’alterata resistenza del femore (soprattutto di alcuni segmenti dell’osso che tipicamente sono quelli su cui insistono le maggiori forze di carico e sono quelli più predisposti a rompersi). Non è, però, solo una questione di fragilità: ci sono una serie di altri fattori correlati all’invecchiamento che predispongono alla frattura di femore. Il paziente anziano, infatti, è un paziente che ha delle modificazioni a carico dei muscoli (spesso è affetto da sarcopenia) che a loro volta provocano la riduzione della forza, della potenza e della velocità di contrazione muscolare: tutto ciò predispone il paziente alla caduta, perché il corpo non è in grado di reagire in maniera adeguata alla perdita di equilibrio. L’insieme di questi fattori, insomma, può predisporre a questo tipo di problema.

Una persona anziana si rompe il femore: cosa succede dopo? Come verrà curata?

Il primo passo da fare è la stabilizzazione della frattura, per cui il paziente deve essere trattato da punto di vista ortopedico: è necessario stabilizzare la frattura attraverso diverse tecniche chirurgiche, con mezzi di sintesi o con protesi, a seconda della sede della frattura e delle caratteristiche della persona.

L’aspetto critico nella chirurgia è che idealmente essa andrebbe eseguita nelle prime 48 ore dal momento della frattura, ma questo purtroppo non è sempre possibile: tuttavia, intervenire precocemente riduce il rischio di complicanze del post-intervento. L’altro aspetto importante è la presa in carico riabilitativa, perché dopo un intervento come questo il paziente deve essere inserito in un percorso finalizzato ad aumentare il grado di autonomia e di abilità di gestione delle attività quotidiane. Per raggiungere questi obiettivi è richiesto un programma di esercizi che mirano a ottimizzare lo stato funzionale del paziente (lavorando su tutti gli aspetti relativi alla forza, al movimento e al cammino), a ripristinare il livello di autonomia prima della frattura, e anche per cercare di prevenire nuovi episodi di caduta. È spesso necessario integrare le attività con alcuni ausili che possono facilitare e rendere più sicuri gli spostamenti e il cammino. 

Quali sono tempi e le modalità di recupero?

Dal punto di vista di stabilizzazione e guarigione della frattura i tempi sono relativamente brevi: solitamente i pazienti a cui viene eseguito l’intervento vengono rimessi in piedi e fatti camminare da subito. Il problema principale è rappresentato dai fattori contingenti associati alla frattura e al percorso riabilitativo nel suo insieme. I tempi sono influenzati molto dalle condizioni del paziente: se è in buona salute o meno e se ha avuto complicanze legate all’evento. Nel giro di qualche mese di solito si arriva all’obiettivo che i clinici si sono prefissati: auspicabilmente è il ripristino delle condizioni precedenti alla frattura, altre volte è un recupero funzionale il migliore possibile ma inferiore al livello di autonomia pre-frattura. 

L’idea che si sta diffondendo è quella di creare dei modelli di presa in carico precoce del paziente fratturato in maniera tale che esso venga inserito in un percorso dedicato, dove l’aspetto chirurgico è solo uno degli aspetti fondamentali. Tale modello viene definito Fracture Liaison Service. Anche in Italia si sta cercando di ragionare in questi termini: la riabilitazione non solo deve seguire cronologicamente l’intervento chirurgico, ma deve comprendere un percorso integrato sin dalle prime fasi: in sintesi, il paziente inizia il suo iter all’interno di un percorso che ha già tutti i passi ben definiti. Questo modello, che è solo uno di quelli disponibili, ha dimostrato di avere particolari benefici.

La frattura al femore nell’anziano ha anche un impatto psicologico? Per quanto riguarda il recupero, quanto è importante un supporto da questo punto di vista?

Quando un paziente anziano viene ricoverato è sempre un momento critico perché l’ospedalizzazione è già di per sé un fattore di rischio: c’è un impatto sulla persona anche – ma non solo – a livello psicologico. L’altro elemento da considerare è che la caduta e la frattura sono eventi fortemente traumatici per il paziente: uno dei problemi più frequenti è la paura di cadere, che nei casi più gravi limita fortemente l’iniziativa a muoversi e spostarsi. 

Ovviamente, l’immobilità aggrava quegli stessi fattori di rischio che hanno portato alla prima caduta: tale circolo vizioso può compromettere il raggiungimento dell’autonomia del paziente, incrementando ulteriormente il rischio di una nuova caduta.

Parliamo di prevenzione: cosa si può fare in termini di stili di vita per ridurre il rischio di rottura del femore nelle persone anziane?

Parlare di prevenzione nell’ambito delle fratture è complesso: sarebbe più corretto parlare di prevenzione primaria e prevenzione secondaria, perché è utile impostare un programma ai fini della prevenzione per i pazienti mai fratturati, ma anche ridurre il rischio di nuove fratture in pazienti che hanno già subìto una prima frattura di fragilità.

Una gestione non corretta dei fattori predisponenti espone queste persone ad un altissimo rischio di fratture di femore, che poi rappresentano il vero evento drammatico, quello che maggiormente impatta sull’autonomi del paziente. 

In primis, il trattamento farmacologico dell’osteoporosi riveste un ruolo fondamentale: l’osteoporosi è il fattore di rischio principale per le fratture da fragilità, pertanto il trattamento per questa malattia è un elemento imprescindibile nelle persone che ne sono affette. Occorre una terapia adeguata ai bisogni del paziente, e questo aspetto non è banale, perché in realtà la corretta gestione farmacologica dei pazienti fatturati rappresenta un elemento critico per molte persone. 

I Fracture Liaison Services, di cui si parlava, hanno l’obiettivo non solo di migliorare la gestione intraospedaliera della frattura ma anche di ottimizzare la gestione farmacologica precoce del rischio di ri-frattura. Nelle fasi successive è poi essenziale monitorare che la persona assuma correttamente la terapia prescritta: dal momento che tali terapie vengono somministrate per anni in maniera continuativa, questo è un aspetto cruciale. 

Oltre all’aspetto relativo alla terapia medica, vanno integrati altri elementi che riducano il rischio di caduta, come il rinforzo muscolare e i programmi di educazione al cammino, anche nel mantenimento e quindi nell’attività quotidiana del paziente. Il paziente deve essere invitato a mantenere un certo livello di mobilità, senza ovviamente aumentare il rischio di caduta. Ciò vuol dire non mettere i pazienti in condizione di cadere. Un ottimo esempio è il trattamento “ecologico” della casa del paziente (togliere i tappeti e cercare di avere spazi adeguati per lo spostamento, eliminando il rischio di inciampare in mobili sedie, suppellettili): sembra una sciocchezza, ma in realtà molto spesso l‘abitazione è un luogo estremamente pericoloso per il paziente anziano. 

Da ultimo un elemento imprescindibile è quello nutrizionale, perché un paziente denutrito o malnutrito (condizione molto frequente nelle persone anziane) è un paziente che può andare incontro anche ad alterazioni muscolari di forza o di resistenza. Un’alimentazione adeguata non solo dal punto di vista quantitativo ma anche qualitativo è fondamentale. 

Sottolineo infine l’importanza di un’adeguata integrazione di vitamina D. In casi particolari, possono poi essere valutate possibili integrazioni di calcio e aminoacidi laddove l’apporto alimentare risulti essere non adeguato. 

 

A cura di Chiara Di Lucente

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