In questo articolo affronteremo il tema del cambiare le abitudini, in una modalità diversa, ascoltando una discussione aperta tra due professionisti: la Dott.ssa Carmela Rinaldi e il Dott. Agatino Sanguedolce, fisioterapista territoriale dell’ Azienda USL, collaboratore dell’Università del Piemonte Orientale ed esperto in promozione della salute.

CR: Sul sito dell’Aging Project parliamo di sane abitudini di vita e raccomandiamo sempre comportamenti in linea con i concetti della lifestyle medicine, ma nella pratica clinica quanta consapevolezza emerge dalle persone su questi argomenti?

AS: Sul piano teorico, almeno la metà dei pazienti è correttamente informata e sanno che gli stili di vita possono influenzare i loro problemi di salute, ma nella pratica è ben più improbabile che dei sani comportamenti siano attuati con costanza. Ad esempio, molti sono in sovrappeso e almeno 6-7 pazienti su 10 non svolgono nessun tipo di attività fisica, se non sporadiche passeggiate, soprattutto nel periodo estivo, tralasciando completamente ogni tipo di attività fisica o di esercizio nel periodo invernale, fatto salvo il lavoro o le faccende domestiche.

CR: Effettivamente, la sedentarietà totale in Italia colpisce almeno il 35% della popolazione, mentre un 30% è parzialmente attivo, il restante invece si definisce attivo, ovvero si avvicina il più possibile alle raccomandazioni OMS dei ben noti 30-60 minuti di attività fisica moderata, come una camminata veloce, per 5 giorni a settimana. Occorre precisare, che in alcuni studi recenti si nota che solo il 20% della popolazione svolge esercizi per la forza e la massa muscolare (pesi ed elastici o corpo libero), utili soprattutto alle persone anziane.
Sicuramente è un problema culturale sia della popolazione generale che dei professionisti sanitari, associato alla ben comprensibile tendenza delle persone a cercare una soluzione veloce o semplice a un evento complesso come l’invecchiamento o la malattia.

 

AS: Proprio per questo motivo, durante le occasioni di incontro con i professionisti sanitari, la persona ha bisogno di essere ascoltata, in un clima sereno, senza giudizio, né paternalismo. Dalla mia esperienza clinica, posso dire che c’è parecchio interesse su questi temi, ma occorre dedicarvi tempo e spazio. D’altronde la promozione della salute non deve essere un approccio basato sul passaggio di informazioni, ma uno scambio tra esperti, dove il sanitario è il riferimento per la sua professione, ma il paziente è l’esperto di sè stesso.
Mi stupisce sempre, ad esempio, che alcuni pazienti oncologici o con esiti di cardiopatie, non abbiano ricevuto alcun consiglio sulla pratica progressiva e regolare dell’attività fisica o di una sana alimentazione. Spesso queste persone sentono che manca qualcosa e si rivolgono a professionisti non sanitari, che possono far perdere l’occasione di far affrontare al paziente il lavoro sui determinanti di salute modificabili, appunto gli stili di vita.
Perciò, in un clima collaborativo, il professionista sanitario aggiornato, secondo le più moderne evidenze scientifiche sul campo, può incentivare la persona ad attuare comportamenti virtuosi, soprattutto se è chiaro un vantaggio sui termini di salute e si offre la possibilità alla persone di avere il giusto controllo della propria salute (autodeterminazione).

I determinanti di salute

I determinanti di salute, modificato da ISS.

 

CR: Su questo argomento, sono state proposte varie teorie e pratiche comunicative. Il nostro Ministero della Salute, nel Piano Nazionale della Prevenzione 20-25, consiglia un approccio “di opportunità”, ovvero cogliere ogni occasione per parlare di corretti stili di vita della persona assistita, attraverso adeguate competenze di counselling. Come abbiamo detto in altre occasioni, si posizionano in modo adeguato il modello transteorico del cambiamento di Prochaska e DiClemente e il colloquio motivazionale di Miller e Rollnick.

AS: Ogni professionista sanitario dovrebbe acquisire competenze nei modelli comunicativi, preferibilmente spostandosi dal tradizionale modello biomedico focalizzato sulla malattia, a quello biopsicosociale centrato sull’individuo nella sua totalità, includendo mente, corpo e contesto di vita. Questo approccio risulta particolarmente efficace nel trattare le patologie croniche (noncommunicable diseases), le quali sono responsabili di almeno due terzi delle morti premature nel mondo, soprattutto tra le popolazioni svantaggiate dal punto di vista socio-economico e culturale.
Durante la visita con il paziente, si deve affrontare l’argomento “stili di vita”. Nelle persone ignare del problema, fataliste o diffidenti, detti “precontemplativi”, ovvero senza nessuna velleità del cambiamento del comportamento entro sei mesi, occorre informare e attivare una emozione… una prospettiva futura. Proviamo a farci una domanda: quanto siamo soddisfatti del nostro stile di vita da 1 a 10? Che voto daremmo alla nostra alimentazione, ad esempio riferendoci alla dieta mediterranea, al nostro livello di attività fisica o alla qualità del sonno? Come saremo tra 5-10 anni se continuiamo a fumare, a essere sovrappeso e a non muoverci a sufficienza? La risposta apre un dibattito con noi stessi e con il professionista, che può portare la persona a pesare i pro e i contro del proprio stile di vita e spostarsi verso uno stadio del cambiamento di “contemplazione”.

stadi cambiamento

Gli stadi del cambiamento, modificato da luoghidiprevenzione.it

 

CR: In questo frangente, è importante notare che la persona potrebbe trovarsi in uno stato di ambivalenza, cioè può essere parzialmente incline ad affrontare il problema ma incontrare varie difficoltà logistiche o psico-emotive che ostacolano il passaggio a una fase di “determinazione”. Questa fase implica la preparazione e il raccoglimento della forza di volontà e della motivazione intrinseca, e può richiedere mesi o addirittura anni prima di essere raggiunta. La motivazione intrinseca è connessa fortemente alla salute e\o ai propri valori personali: se è solida, solo lei può spianare la strada verso un cambiamento virtuoso. In questa fase di “contemplazione”, effettivamente si posiziona benissimo l’esercizio che hai menzionato, detto della bilancia decisionale, qui semplificata in questo schema, tratto dall’Istituto Superiore di Sanità.

 

Bilancia decisionale

In ambulatorio, il professionista della salute può meglio guidare il paziente in questa delicata analisi: se i benefici del cambiamento superano di numero e soprattutto di valore quelli del vecchio comportamento, allora il paziente è pronto per cambiare entro un mese (fase di “determinazione”).

AS: Aggiungo che è bene anche chiedersi, con voto a da 1 a 10: quanto è importante per me cambiare? Quanta fiducia ho in me stesso? Quanto sono disponibile? Se il voto si ritiene basso, cosa (o chi) può darmi un aiuto per aumentarlo? Se il voto è alto, allora si è pronti ad andare avanti!
A questo punto, è bene fissare una data per l’iscrizione in palestra o la prima visita dal dietista, nel centro antifumo, oppure l’inizio del “taglio” delle occasioni stressanti o l’aumento della durata e della qualità del sonno. L’organizzazione logistica è fondamentale perché occorre porsi degli obiettivi SMART, ovvero specifici, misurabili, realistici e alla propria portata, in un tempo definito , pena la “ricaduta” in uno stadio precedente del cambiamento.
Meglio se si trovano degli “alleati”, persone che possano sostenere il cambiamento, da una parte riducendo le occasioni di ricadere nel vecchio comportamento (non farti comprare sempre quei frollini al cioccolato, limitati alle feste!) e dall’altra aumentando le occasioni per procedere col nuovo comportamento (parcheggia più distante, così cammini di più). Non scordare di autogratificarsi, ovvero ricompensarsi per i propri risultati e il proprio impegno, dedicando tempo a sé e alle proprie passioni, in questa fase che diventa una fase di “azione”.

CR: E’ importante sottolineare il concetto degli obiettivi SMART, d’altronde non si può dimagrire perdendo tutto il peso in una settimana o iniziare a correre o a camminare veloce già per 1 ora il primo giorno! Inoltre, occorre evitare di cadere nella trappola dell’”ortoressia”, ovvero di essere troppo ligi ed eccessivamente severi con sé stessi, per non cadere nello “stress da prestazione”. La vita deve essere un piacere e l’eventuale lavoro sullo stile di vita non deve pesare sull’esistenza della persona, la cura non deve essere peggiore della malattia, ma deve sempre creare un chiaro vantaggio in prospettiva nel breve, medio e lungo termine.
La parte (meno?) difficile sta nel mantenimento: occorre che il cambiamento sia sostenibile nel contesto di appartenenza e che il suo costo in termini personali e di tempo, vada complessivamente a migliorare la qualità di vita, tenendo alta la motivazione, senza compromettere altri ambiti. In questo caso, potrebbe essere necessaria una rivalutazione della strategia, cammin facendo.

 

AS: Possiamo concludere la nostra chiacchierata lanciando un messaggio ai professionisti e ai cittadini. Quando possibile, aggiorniamoci ad hoc e affrontiamo in prima battuta un sostenibile cambiamento virtuoso degli stili di vita, rispettando noi stessi, immaginando una prospettiva di miglioramento tangibile. Evitiamo di ricorrere sempre e solo ai farmaci al primo mal di schiena o al primo riscontro di lieve ipertensione e ipercolesterolemia. In queste occasioni, l’evidenza scientifica può confermare che lo stile di vita è un determinante positivo e duraturo con molti più benefici che rischi. Allora attenti a:

  • non eliminare categorie intere di cibi dalla dieta, se non in caso di conclamata e diagnosticata intolleranza o allergia. L’esclusione di intere categorie di cibo comporterebbe il rischio di malnutrizione e carenze di nutrienti;
  • non ricorrere a farmaci, integratori “miracolosi” o anche a solo multivitaminici che in sovradosaggio hanno dimostrato molti rischi per la salute;
  • non pensare di risparmiare le articolazioni artrosiche, evitando di fare attività fisica ed esercizio per paura di consumarle, quando invece l’evidenza scientifica dimostra che l‘esercizio progressivo preserva le articolazioni, mentre il disuso è responsabile del loro invecchiamento;
  • non dedicare tempo e spazio ad attività che possono dare un beneficio emotivo momentaneo, come l’uso eccessivo di social e piattaforme streaming, a scapito del sonno, dell’esercizio e di attività con interazioni sociali reali che possono dare l’occasione di fare movimento e combattere lo stress o l’isolamento sociale, importante determinante di salute, soprattutto per anziani e adolescenti.

In altre parole, vogliamoci bene, ma pensiamo al nostro benessere psico emotivo adesso e per il futuro, ricordandoci che, sebbene un corretto stile di vita si debba imparare da bambini, NON è mai troppo tardi per iniziare un cambiamento a nessuna età.

In un vecchio proverbio millenario cinese, Confucio recita:

“Il momento migliore per piantare un albero era 20 anni fa…..il secondo momento migliore è adesso!”

E voi, cosa state aspettando?

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