Non solo i polmoni. Man mano che passano i mesi, numerosi studi evidenziano gli effetti deleteri che Covid-19 può avere su tutto il corpo: sembra che a essere coinvolti siano l’apparato cardiovascolare, il cervello, e anche i reni. Non solo: fin dai primissimi casi in Cina, all’inizio del 2020, emergeva anche il ruolo che le malattie dei reni, e i fattori di rischio che predispongono a queste, avessero negli esiti dell’infezione da Sars-Cov-2.

Sfortunatamente, sembra che Covid-19 peggiori la salute dei reni, e che, allo stesso tempo, reni già malati peggiorino l’esito dell’infezione da coronavirus. Il Professor Vincenzo Cantaluppi, direttore della struttura complessa a direzione universitaria di Nefrologia e Trapianto Renale dell’Ospedale Maggiore di Novara, che, nell’ambito del progetto Aging, studia le lesioni renali acute nell’anziano, ha voluto indagare più a fondo il rapporto di Covid-19 con le malattie che colpiscono i reni.

Professor Cantaluppi, recentemente ha lavorato a due pubblicazioni che esplorano il doppio filo che unisce Covid-19 e malattie dei reni. Ce ne può parlare?

La prima pubblicazione è basata sull’epidemiologia: è uno studio fatto sui dati della prima ondata della primavera 2020, dove emergeva chiaramente che i pazienti ospedalizzati con esito peggiore erano quelli affetti da altre malattie, tra cui l’insufficienza renale.

In questo lavoro abbiamo definito il concetto di riserva funzionale del rene: possiamo paragonare questa riserva al denaro che conserviamo in cassaforte, in termini di funzione renale. I nostri reni, infatti, non funzionano sempre al 100% della loro capacità, ma in percentuale più bassa, perché devono essere in grado di rispondere a stress, che possono essere fisiologici – come una gravidanza – o patologici, come un’insufficienza renale acuta o cronica. Man mano il rene viene stressato, la riserva funzionale diventa sempre più piccola, ma la filtrazione rimane costante proprio perché attingiamo alla nostra cassaforte. Quando il denaro finisce però, l’efficienza di filtrazione diminuisce: quindi il paziente che ha una riserva funzionale minore, sarà più propenso a sviluppare una malattia renale cronica.

La riserva funzionale diminuisce l’età e con l’insorgenza di malattie: quello che volevamo dimostrare, infatti, è che la maggior incidenza di esiti infausti in pazienti anziani affetti da Covid-19, probabilmente è dovuta a una scarsa riserva funzionale del rene. Per questo il lavoro sottolinea come sia importante, anche in in questo contesto, valutare la funzione renale per gestire meglio l’ospedalizzazione dei pazienti: è chiaro che quelli con riserva funzionale del rene più bassa saranno più propensi ad avere un ricovero più prolungato, ed eventualmente ad aver bisogno di una dialisi. Oltre ciò, Covid-19 è un fattore che aumenta l’invecchiamento di tutti gli organi, tra cui il rene.

La seconda pubblicazione ha uno stampo più pratico, giusto?

La seconda pubblicazione riguarda un gruppo di studio internazionale sulle lesioni renali acute. Si è trattato di una serie di web meeting tenutisi durante la scorsa estate, i cui argomenti e risultati sono stati poi discussi e sintetizzati in questo articolo. Abbiamo ottenuto un insieme di raccomandazioni sulla diagnosi, la prevenzione e il trattamento del danno renale acuto nel Covid-19. Vengono proposte anche delle linee guida sulla ricerca futura.

Quello che viene fuori è che la compromissione renale è importante in Covid-19: questa, infatti, è una patologia polmonare, ma probabilmente, insieme al cuore, il rene è il secondo organo a essere più colpito. Fin dai primi casi registrati, prima cinesi e poi italiani e americani è emerso che i pazienti hanno all’ingresso in ospedale le tipiche alterazioni della funzione renale, e molti sviluppano insufficienza renale acuta. Chi entra già con una malattia renale cronica o una complicanza come diabete o ipertensione ha più possibilità di sviluppare una lesione renale acuta, e in ogni caso questa è correlata con l’aumento della mortalità.

Quindi Covid-19 e lesioni renali acute sono collegate?

Che Covid-19 e le lesioni renali acute (in inglese Acute Kidney Injuries, AKI) siano correlate lo abbiamo visto anche studiando i dati ospedalieri: nel periodo Covid-19, l’incidenza di lesioni renali acute intraospedaliere è duplicata, rispetto ad altri periodi. Questo vuol dire anche un lavoro maggiore del nefrologo perché sono aumentati i casi di insufficienza renale acuta e di necessità di dialisi. Si tratta di una cosa da tenere in considerazione.Nello studio si è visto che, in tutto il mondo, circa il 20-25% dei pazienti ricoverati con Covid-19 ha sviluppato una lesione renale acuta.

Localmente, noi del progetto Aging abbiamo implementato l’ambulatorio post-AKI, in modo da valutare gli effetti a lungo termine di Covid-19 nei pazienti che sono stati ospedalizzati: è diventato l’ambulatorio post-AKI-Covid. Purtroppo, a causa della seconda ondata di contagi, abbiamo dovuto interrompere questa attività a ottobre, ma questo ci ha offerto un input interessante per il futuro.

In che modo le patologie a carico del rene influiscono sul decorso di Covid-19? E viceversa, Covid-19 ha delle conseguenze sulla salute del rene?

È una specie di scambio bidirezionale. Il virus ha la capacità di infettare diversi tipi di cellule che costituiscono il rene: ci può essere un effetto diretto dell’infezione, che scatena un’infiammazione locale, la quale si può associare a un’infiammazione più generalizzata che viene dal danno polmonare. Questa può danneggiare tutti gli organi, tra cui il rene.

In più, la presenza di una malattia renale cronica è assolutamente associato a un esito peggiore del Covid-19. Ci sono numerose cause che fanno entrare in insufficienza renale acuta: il paziente che entra in rianimazione con sindrome respiratoria spesso ha anche un’infezione batterica, che si sovrappone all’infezione di Sars-Cov-2. Qui possono entrare in gioco le tecniche di dialisi, mirate a eliminare alcune tossine della sepsi batterica.

Con l’aumentare dell’età è stata riscontrata un’incidenza maggiore delle malattie dei reni in pazienti affetti da Covid-19? Quale potrebbe essere il motivo?

Sì, questo è confermato da tutte le casistiche, la presenza di un’età avanzata e di malattie concomitanti è un fattore molto importante, indice di un esito peggiore e di una progressione verso la malattia renale cronica.

C’è una teoria secondo cui l’età avanzata e la presenza di malattie provochi nelle cellule degli organi un aumento dello stress ossidativo, facendole entrare in senescenza (una delle alterazioni biologiche tipiche delle cellule nell’invecchiamento, e nel malato renale in particolare). Una delle caratteristiche principali delle cellule senescenti è la capacità di produrre fattori infiammatori, che poi si trovano in circolo nei pazienti, e che, in un contesto di infezione e infiammazione come quello di Covid-19 che possono provocare fibrosi d’organo. Infatti si stanno conducendo degli studi con farmaci in grado di eliminare le cellule senescenti, per verificare se possono rallentare la progressione della disfunzione d’organo.

Quali sono i passi successivi che la ricerca deve fare, nell’indagare il rapporto tra Covid-19 e malattie dei reni? Questo può portare un effettivo vantaggio nella gestione dei pazienti, durante quest’emergenza sanitaria?

A livello di ricerca clinico-epidemiologica, i dati che abbiamo raccolto ci hanno fatto capire che la valutazione della funzione renale nel paziente affetto da Covid-19 è un fattore da tenere sott’occhio, anche solo per valutare la terapia da assegnare a ciascun paziente: un malato con insufficienza renale potrebbe non tollerare alcuni i farmaci.

A livello di ricerca fisiopatologica, individuare nuovi componenti molecolari potrebbe farli diventare target efficaci per nuove terapie. Io credo poco al singolo proiettile che faccia guarire, perché gli attori in atto in Covid-19 sono molti, ma la modulazione di tutti questi fattori potrebbe portare a un miglioramento nell’esito del paziente.

Lo studio della fisiopatologia del danno d’organo è utile per questo e per lo sviluppo di nuove terapie: ad esempio stiamo facendo delle ricerche anche sulle cellule staminali, in modo da riparare il danno d’organo che consegue l’infezione. Tutti questi studi derivano dalla ricerca fisiopatologica, e soprattutto dal confronto della fisiopatologia nel paziente Covid-19, paragonato al paziente con malattia renale o la sepsi.

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