La ricerca sui superager inizia negli anni Novanta, con il caso di una donna di 81 anni che aveva mantenuto una memoria eccezionale, simile a quella di persone molto più giovani. Dopo la sua morte, i ricercatori della Northwestern University di Chicago analizzarono il suo cervello e notarono che nella corteccia entorinale era presente un solo groviglio neurofibrillare, uno di quegli accumuli della proteina tau che aumentano con l’età e che rappresentano uno dei segni tipici della malattia di Alzheimer. Trovarne soltanto uno fu totalmente inaspettato, in netto contrasto con ciò che si aspettavano di trovare nel cervello di un anziano.
Da quel momento iniziarono a domandarsi se il declino cognitivo sia davvero inevitabile con il passare degli anni o se sia in qualche modo evitabile. Da qui prese forma il Northwestern University SuperAging Program, un progetto che studia uomini e donne ultraottantenni con una memoria paragonabile a quella di persone di 50 o 60 anni, persone il cui cervello sembra non invecchiare mai.
Chi partecipa al programma e come si diventa “superager”
Nel corso dei suoi primi 25 anni, il Northwestern University SuperAging Program ha coinvolto complessivamente 290 persone. Oggi, i partecipanti attivi sono 133, suddivisi in due gruppi: 101 superager (età media di ingresso 90 anni, con un range tra 81 e 111 anni) e 32 controlli neurotipici (età media 89 anni, con un range tra 81–97 anni). Inoltre, grazie alle donazioni post-mortem, il programma ha potuto contare su 77 autopsie cerebrali, fondamentali per capire che cosa distingue i cervelli dei superager.
Per entrare nel programma, la selezione è molto rigorosa. Il criterio principale riguarda la memoria: per essere definiti superager bisogna avere almeno 80 anni ed eccellere in un test chiamato Rey Auditory Verbal Learning Test (RAVLT). In questo test viene letta al partecipante una lista di 15 parole che deve ricordare, subito e dopo un intervallo di tempo. Un ottantenne in media ne ricorda circa 5; un superager deve ricordarne almeno 9, cioè quasi il doppio. Oltre alla memoria, anche le altre funzioni cognitive devono risultare nella norma per l’età.
Individuare i superager si è rivelato, sin da subito, un compito difficile. All’inizio si faceva affidamento sui volontari già coinvolti negli studi sull’Alzheimer o sul passaparola, ma solo una piccola percentuale soddisfaceva i criteri molto rigidi del programma. Con il tempo si è quindi passati a iniziative di sensibilizzazione e reclutamento, come incontri pubblici, collaborazioni con medici, campagne informative e contatti diretti con associazioni e comunità locali. Questo approccio ha permesso di individuare con maggiore efficacia i candidati giusti e garantire al programma una base solida di partecipanti.
Il legame tra cervello e personalità
I superager presentano caratteristiche che li differenziano nettamente dai loro coetanei. Le ricerche di neuroimaging, gli studi cellulari e le analisi post-mortem mostrano una combinazione unica di resilienza e resistenza ai cambiamenti tipici dell’invecchiamento cerebrale.
Un dato ricorrente riguarda la corteccia cerebrale, che nei superager conserva spessore e dimensioni simili a quelli di persone molto più giovani. In particolare, il giro del cingolo anteriore, coinvolto nella regolazione delle emozioni e della socialità, risulta più spesso perfino rispetto a quello di adulti cinquantenni.
Inoltre, il loro cervello contiene una maggiore densità di neuroni di von Economo, cellule che sembrano avere un ruolo nell’empatia e nelle relazioni sociali. Non a caso, i superager tendono a descriversi come persone socievoli e impegnate, valutano le proprie relazioni in modo più positivo rispetto ai coetanei e continuano a mantenere un ruolo attivo nella comunità anche in età molto avanzata. I questionari di personalità confermano livelli più alti di estroversione, a indicare una predisposizione a cercare e coltivare legami sociali.
Oltre a queste peculiarità, il cervello dei superager mostra neuroni della corteccia entorinale più grandi, che potrebbero rendere il circuito della memoria più resistente, e presenta meno segni delle alterazioni tipiche dell’Alzheimer: meno grovigli di proteina tau, un sistema colinergico (fondamentale per memoria e attenzione) meglio conservato e una ridotta infiammazione cerebrale.
Il valore delle relazioni
Questi 25 anni di ricerca sui superagers ci mostrano che il cervello non è inesorabilmente destinato al declino, sia grazie alla predisposizione biologica che agli stili di vita, dove la socialità emerge come filo conduttore.
Questo non significa che tutti possano diventare superager, dato che la componente genetica e biologica del cervello gioca un ruolo importante. Tuttavia, la ricerca suggerisce che alcuni aspetti potrebbero essere più accessibili di quanto pensiamo. L’investimento nelle relazioni sociali, la curiosità verso gli altri e il mantenimento di un ruolo attivo nella comunità non sono solo comportamenti che migliorano la qualità della vita, ma potrebbero essere veri e propri strumenti di neuroprotezione.
E forse, la chiave per mantenere giovane la nostra mente risiede proprio nella nostra capacità di rimanere connessi con gli altri, coltivando relazioni significative fino in età avanzata.
A cura di Lucia Benaglio
Riferimento bibliografico
Weintraub S, Gefen T, Geula C, Mesulam MM. The first 25 years of the Northwestern University SuperAging Program. Alzheimers Dement. 2025 Aug;21(8):e70312. doi: 10.1002/alz.70312. PMID: 40772536; PMCID: PMC12329684.
