È capitato a tutti facendo zapping, di incappare in spot pubblicitari in cui alcune donne parlano del disagio causato dalle perdite urinarie nei più svariati contesti sociali (in ascensore, durante una cena tra amiche, mentre si gioca con i nipotini, etc…) e di come le loro vite siano drasticamente migliorate dopo l’acquisto dell’assorbente pubblicizzato.
Pubblicità come queste contribuiscono ad alimentare lo stereotipo che nelle donne, dopo una certa età, piccole perdite urinarie siano “inevitabili” e che dunque non vi sia la possibilità di una terapia risolutiva. Ma…quanto c’è di vero in questo? L’incontinenza urinaria femminile è davvero fisiologica? È quindi vero che una donna, specie dopo i cinquanta anni, non debba fare altro che tollerare questa condizione e cercare di nasconderla?

Incontinenza urinaria: scendiamo nei dettagli

Partiamo dalle basi: cos’è l’incontinenza urinaria? Secondo le principali società scientifiche internazionali, l’incontinenza urinaria è una qualsiasi perdita involontaria di urina. È una condizione molto più diffusa nel sesso femminile che in quello maschile, e si stima che circa un terzo delle donne dopo i cinquanta anni sperimentino (anche saltuariamente) episodi di incontinenza urinaria. I dati epidemiologici di questa condizione sono, però, lacunosi e imprecisi a causa del fatto che molte pazienti si vergognano di parlarne con il proprio medico o la considerano una situazione “normale”.
Esistono vari tipi di incontinenza urinaria, che è importante conoscere perché un corretto inquadramento permette di proporre la terapia corretta. In maniera molto sintetica abbiamo:

  • incontinenza urinaria da sforzo: perdita involontaria di urina associata a fenomeni quali colpi di tosse, starnuti, sollevamento di pesi, eccetera
  • Incontinenza urinaria da urgenza: perdita involontaria di urina associata a un intenso stimolo alla minzione
  • Incontinenza urinaria mista: una forma caratterizzata sia da perdite da sforzo che da urgenza

La forma più frequente nella donna è sicuramente quella da sforzo, con un aumento della sua incidenza all’aumentare dell’età e nelle donne pluripare.

Incontinenza urinaria da sforzo: questione di equilibrio

La continenza, soprattutto nelle donne, è un fenomeno complesso, dato da un delicato gioco di equilibrio tra le pressioni addominali, vescicali e uretrali. L’uretra femminile (il “tubo” che dalla vescica va verso l’esterno) è molto diversa da quella maschile: è molto più breve (solo 3 cm), è rettilinea (quella maschile ha due curve) e non vi sono organi intorno che la “comprimono “ (come la prostata negli uomini). Come conseguenza di ciò, la resistenza uretrale femminile (che può essere vista come l’opposizione dell’uretra alle fughe di urina) è molto più bassa di quella maschile. Per garantire la continenza, quindi, l’organismo femminile sfrutta un sistema di tessuti fibrosi e muscoli che servono a “chiudere” passivamente l’uretra quando aumenta la pressione.

Il ginecologo John O. De Lancey si è specializzato nello studio delle strutture intorno all’uretra. Grazie all’esame di numerosi cadaveri capì che l’uretra giace su uno strato di supporto costituito dalla fascia endopelvica e dalla parete vaginale anteriore. In presenza di un aumento della pressione endo-addominale si sviluppa una forza diretta verso il basso che causa una rotazione dell’uretra, portando a far collabire le sue pareti, determinando la chiusura del lume. L’unione di fascia endopelvica, parete vaginale, arco tendineo della fascia pelvica e muscolo elevatore dell’ano forma lo strato di supporto “a forma di amaca” contro il quale l’uretra viene compressa. Considerando la complessità del sistema, è facile immaginare come, nel momento in cui uno qualsiasi dei suoi componenti risulti danneggiato o non funzioni come dovrebbe, l’intero sistema perda di efficacia. Nelle donne, il principale fenomeno che porta all’alterazione delle strutture di supporto è il parto vaginale: il passaggio del bambino nel canale del parto può provocare uno stiramento (e in alcuni casi una lacerazione) di queste strutture. A lungo andare, queste modificazioni possono far sì che l’uretra non si chiuda più come dovrebbe quando aumenta la pressione addominale (con conseguenti perdite di urina).

A chi rivolgersi? La visita uro-ginecologica

Considerando la natura del disturbo, è normale che molte pazienti si sentano a disagio e siano restie a parlare dell’incontinenza urinaria al proprio medico. Eppure è proprio il medico di Medicina Generale la figura che ha il compito di impostare l’iter diagnostico e terapeutico per l’incontinenza urinaria e di indirizzare la paziente verso lo specialista più adatto.
I medici che si occupano di incontinenza urinaria femminile sono l’urologo e il ginecologo.

Attraverso un’attenta visita (completa di esame obiettivo ginecologico) lo specialista sarà in grado di determinare il tipo di incontinenza, la sua entità, le possibili cause e le opzioni terapeutiche a disposizione. È fondamentale che la paziente partecipi attivamente alla visita, senza vergognarsi di descrivere i segni e i sintomi e, magari, tenendo un diario minzionale (una annotazione delle minzioni giornaliere, della quantità di urina persa mediante pesatura degli assorbenti etc…) per aiutare il medico nello studio dell’incontinenza.

Il ruolo dell’esame urodinamico invasivo

In molti casi una visita uro-ginecologica completa può essere sufficiente a diagnosticare correttamente una incontinenza urinaria, ma alcune volte può essere necessario il ricorso a esami diagnostici più complessi.
In questi casi, l’esame urodinamico invasivo rappresenta il gold standard per lo studio dell’incontinenza. Attraverso questo esame l’urologo (o il ginecologo) può determinare con molta precisione le pressioni che si sviluppano dentro la vescica, i livelli di attività del muscolo detrusore (il muscolo che, attivandosi, “spreme” la vescica e permette di urinare), il grado di sensibilità della vescica, nonché il tipo e l’entità delle perdite urinarie.

La quantità di urina persa rappresenta il secondo criterio per inquadrare l’incontinenza urinaria, che viene definita lieve (perdite <20g), moderata (perdite tra 21g e 74g) e grave (perdite > 75g).
Prendendo in considerazione il tipo di incontinenza e la quantità di urina persa, lo specialista proporrà alla paziente la strategia terapeutica più adatta tra le numerose opzioni terapeutiche a disposizione.

Incontinenza urinaria: terapia conservativa e chirurgica

Nel caso dell’incontinenza urinaria da urgenza, la prima linea di terapia è spesso costituita dai farmaci: gli anticolinergici sono una classe di farmaci che riducono le contrazioni della muscolatura vescicale (è come se “addormentassero” la vescica) diminuendo in questo modo l’urgenza minzionale. Qualora questi farmaci non dovessero essere sufficienti o non potessero essere utilizzati è possibile ricorrere a strategie più invasive come la neuro modulazione sacrale o l’iniezione intradetrusoriale di tossina botulinica.

Per l’incontinenza urinaria da sforzo, invece, non esistono terapie farmacologiche sicuramente efficaci, ma esistono protocolli di fisioterapia molto validi, eventualmente associati a terapie chirurgiche.

Per le forme di incontinenza lieve il primo approccio terapeutico è generalmente costituito dalla fisiokinesiterapia perineale attraverso gli esercizi di Kegel (una serie di contrazioni del pavimento perineale). Nel caso di forme di incontinenza più grave o nel caso in cui la fisioterapia non dovesse essere efficace, si può fare ricorso a terapie chirurgiche. Queste sono costituite dagli sling medio uretrali, ovvero dei dispositivi protesici che sostengono l’uretra sostituendo la struttura ad amaca che garantisce la chiusura uretrale.

Che l’incontinenza urinaria sia una patologia comune nelle donne dopo i cinquanta anni è un dato di fatto, ma ciò non significa che le pazienti debbano rassegnarsi e accettare tale condizione come inevitabile. Un colloquio con il proprio medico di famiglia, senza paure o imbarazzo, rappresenta il primo passo di un percorso terapeutico che può portare a una soluzione soddisfacente.

 

Fonti

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