La nostra è una società che invecchia, e i tumori sono patologie principalmente a carico delle persone anziane: eppure spesso i pazienti oncologici anziani vengono poco considerati nelle sperimentazioni cliniche e nell’impiego di nuovi protocolli medici. Scopriamo perché sarebbe importante, invece, un approccio geriatrico all’oncologia

Di Daniele Chignoli e Chiara di Lucente

La nostra è una società che invecchia: secondo il rapporto Istat sulla popolazione italiana del 2019, in Italia oggi ci sono 5 anziani per ogni bambino. Un numero che si è quintuplicato rispetto al primo censimento della Repubblica Italiana, nel 1951: in poco più di settant’anni l’età media della popolazione è aumentata, rendendoci un paese decisamente più anziano. Con l’incremento delle persone anziane è aumentata anche l’incidenza delle malattie associate all’invecchiamento, prime tra tutte i tumori: circa il 64% dei nuovi casi di tumori che si registrano ogni anno in Italia, infatti, colpiscono persone sopra i 65 anni.

I tumori negli anziani che spesso presentano altre malattie croniche e che sono più fragili richiedono cure personalizzate, secondo un approccio geriatrico all’oncologia. Di cosa si tratta?

Patologie oncologiche e invecchiamento: un po’ di numeri

Per quanto riguarda l’insorgenza di tumori, l’età rappresenta un fattore molto importante: gli uomini e le donne ultrasessantacinquenni hanno un rischio di sviluppare un tumore maligno rispettivamente 10 volte e 6 volte superiore rispetto ai più giovani. Questo perché il cancro, il più delle volte, impiega un notevole lasso di tempo a svilupparsi: più passano gli anni, più a lungo una persona sarà stata esposta ai fattori di rischio determinanti per l’insorgenza di un tumore.

Secondo l’ultimo rapporto AIRTUM le neoplasie più diffuse tra le donne anziane sono il cancro alla mammella, quello al colon-retto, al polmone, al pancreas e allo stomaco; tra gli uomini anziani, invece, i tumori più frequenti interessano la prostata e, a seguire, i polmoni, il colon-retto, la vescica e lo stomaco.

Sebbene i tumori rappresentino ancora la seconda causa di morte dopo le malattie cardio-vascolari, la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è aumentata notevolmente sia per gli uomini che per le donne: anche tra le persone anziane ci sono numerosi pazienti a cui è stata diagnosticata una patologia neoplastica e che hanno terminato le cure, i cosiddetti survivor.

Nonostante ciò, negli anziani tra i 70 e gli 84 anni a cui è stato diagnosticato un tumore il tasso di sopravvivenza a 5 anni, rispetto alle persone tra i 55 e i 69 anni, si riduce notevolmente. Invecchiando, infatti, l’aspettativa di vita si riduce, spesso a causa di patologie correlate con l’invecchiamento.
Esse non solo rappresentano fattori di rischio per l’insorgenza di tumori, ma aggiungono un livello notevole di complessità nella gestione del paziente oncologico anziano: si tratta delle comorbilità, quelle malattie che sono concomitanti con una diagnosi di tumore.

Queste possono influire considerevolmente sulla prognosi del tumore, sia direttamente nella progressione del cancro, che indirettamente, ad esempio compromettendo l’azione delle terapie farmacologiche.

Il tumore nella persona anziana: aspetti psico-sociali

Una diagnosi di tumore è un evento potenzialmente traumatico nella vita di una persona, e può esserlo in particolare per un anziano. Inoltre attorno al concetto di cancro ci sono delle convinzioni, anche sbagliate, che sembrano essere radicate soprattutto nelle persone di una certa età.
Per esempio, secondo un’indagine condotta in alcuni ospedali spagnoli, il 2% delle persone anziane intervistate ritiene che il cancro sia una malattia contagiosa, mentre il 5% crede che la diagnosi di cancro sia la punizione per azioni sbagliate nel passato. Di contro, solo il 28% degli intervistati ritiene che la popolazione anziana sia quella più a rischio per l’insorgenza di un tumore. Questo può spiegare in parte perché spesso la diagnosi di un tumore nell’anziano viene fatta tardivamente, quando la prognosi è peggiore, rivelando l’importanza di una diagnosi precoce e di un’educazione alla prevenzione primaria e secondaria.

Se per alcuni tumori, come quello della prostata e quello al seno, il tasso di progressione della malattia è minore negli anziani rispetto alle persone più giovani, per altri tipi, come quello al colon-retto, non vale lo stesso principio.

Al concetto di cancro sono associati pensieri riguardo la sofferenza, il dolore e la paura della morte, ed è per questo che spesso, a fronte di una diagnosi di tumore, sono comuni le reazioni di negazione e rassegnazione. Quando si tratta di patologie oncologiche, infatti, non è solo il corpo a venire intaccato, ma anche la sfera psicologica della persona.

Una diagnosi di tumore può essere associata ad ansia e depressione, ed è stato dimostrato che i pazienti oncologici anziani riportano tassi maggiori di depressione rispetto alle loro controparti più giovani: probabilmente associare il cancro ad aspetti esistenziali (per esempio legati alla fine della vita), insieme a sentimenti di solitudine, scarso desiderio di fare piani per il futuro, fatica fisica e dolore, aumenta il rischio di depressione.

Un altro aspetto da non sottovalutare è quello delle terapie oncologiche. Spesso i trattamenti per le patologie oncologiche, specie la chemioterapia e la radioterapia, sono altamente debilitanti. Generalmente, poi, il paziente anziano è un individuo fragile, con malattie croniche già presenti prima della diagnosi di tumore e per cui presumibilmente assume già farmaci. Le possibilità, quindi, che le terapie anti-cancro causino una maggiore tossicità negli anziani sono destinate ad aumentare.

Secondo l’indagine citata prima, il 34% degli anziani intervistati preferirebbe non ricevere alcun trattamento in caso di diagnosi di tumore, mentre il 51% ritiene di non poter sopravvivere alla chemioterapia. La diffidenza nei confronti delle terapie oncologiche non è una convinzione senza fondamento: sebbene sia stato dimostrato, tranne che per alcuni tumori come i linfomi, che la chemioterapia abbia lo stesso livello di efficacia indipendentemente dall’età dei pazienti, il percorso di cura di un paziente oncologico anziano può intaccare la salute in maniera ancora maggiore del tumore stesso. È importante, quindi, valutare anche quanto eventuali terapie siano appropriate per il paziente.

L’appropriatezza delle cure oncologiche nel paziente anziano

Le cure oncologiche, in particolare le chemioterapie antineoplastiche, hanno effetto citotossico: devono, cioè, uccidere le cellule tumorali e nel farlo non possono essere abbastanza selettive da non colpire in qualche misura anche le cellule sane, cioè il resto dell’organismo.

È per questo che le cure antitumorali hanno spesso effetti collaterali, anche debilitanti. Sui pazienti anziani, soprattutto se fragili, il rischio dovuto alla tossicità della cura è maggiore rispetto a quello degli adulti e occorre una valutazione che metta adeguatamente in luce queste vulnerabilità per stabilire, innanzitutto, se conviene procedere nella cura, che potrebbe nuocere in misura maggiore dei benefici apportati in termini di aspettativa e di qualità della vita.

L’aspettativa di vita degli anziani, soprattutto di quelli sopra gli 80 anni, i cosiddetti grandi anziani, è infatti minore rispetto a quella di fasce di popolazione più giovani; inoltre la fragilità tipica di chi ha sviluppato delle sindromi geriatriche la diminuisce ulteriormente. La scelta di sottoporsi a terapie antitumorali potrebbe inserirsi in quadri di fragilità, comorbilità e di trattamenti farmacologici e determinare un peggioramento dello stato di salute della persona anziana.

Questa scelta è in primis del paziente, adeguatamente informato dai medici, ma può coinvolgere anche i parenti che hanno in carico il benessere e l’interesse dell’anziano nella misura in cui eventuali deficit cognitivi diminuiscono le sue facoltà di valutazione e scelta autonoma. Di conseguenza possono essere scelte terapie di supporto adeguate a migliorare la qualità della vita del paziente durante il percorso su cui è ricaduta la sua scelta.

La necessità dell’oncologia geriatrica

Nonostante rappresentino i 2/3 dei pazienti oncologici, gli anziani sono i meno rappresentati nelle sperimentazioni cliniche e nei protocolli terapeutici. A causa della loro maggiore vulnerabilità e della presenza di comorbilità, infatti, generalmente le persone anziane sono escluse dalle sperimentazioni cliniche in oncologia, per esempio per testare nuovi agenti chemioterapici. Il risultato però è che le terapie sperimentate potrebbero rivelarsi meno efficaci o avere più effetti collaterali man mano che l’età si alza, rispetto a quanto rilevato nelle sperimentazioni.

E anche quando le ricerche si rivolgono proprio a questa categoria, ci scontriamo contro un altro limite: cosa si intende, in oncologia, per “paziente anziano”? Sembra che non ci sia una definizione medica univoca: alcuni studi si riferiscono alle persone sopra ai 65 anni, altri sopra ai 70, altri ancora addirittura sopra agli 80. Può sembrare una questione di mera forma, ma non è affatto così: come già sottolineato, l’età può giocare un ruolo chiave nell’arruolamento dei pazienti nelle sperimentazioni cliniche. Senza contare, poi, che non tutti gli anziani sono uguali: più gli anni aumentano, maggiore è la probabilità di trovarsi di fronte un paziente particolarmente vulnerabile.

A volte, poi, l’età può davvero essere solo un numero: una paziente oncologica di 65 anni con gravi malattie concomitanti alla diagnosi probabilmente avrà una prognosi peggiore di un’altra di 70 anni ma senza comorbilità. Alcuni studi suggeriscono che sia meglio parlare di fasi del ciclo vitale di ogni singola persona, piuttosto che stabilire dei limiti di età fissi, in quanto la salute di una persona è data dalla somma delle sue esperienze, oltre che dalla sua età anagrafica. Appare, quindi, fondamentale utilizzare anche altri parametri per personalizzare il trattamento del paziente oncologico anziano.
Infatti non è solo la ricerca a trovarsi in difficoltà. Presenza di comorbilità, diagnosi che avvengono solitamente a uno stadio avanzato della malattia, scarso accesso alle cure: queste sono le principali complicazioni nella presa in carico di un paziente oncologico anziano e che hanno un impatto sulla prognosi finale. Per tutti questi motivi l’approccio dei professionisti sanitari alle persone anziane affette da patologie oncologiche dovrebbe essere multidisciplinare, il più possibile personalizzato e con un focus importante sulla geriatria.

La valutazione geriatrica multidimensionale

L’approccio geriatrico all’oncologia utilizza uno strumento diagnostico versatile, la Valutazione Geriatrica Multidimensionale (VGM), che è stato originariamente sviluppato per pianificare l’assistenza sociosanitaria ai pazienti anziani, valutandone la fragilità, ovvero la condizione di vulnerabilità latente tipica dell’anziano, con la possibile perdita di autonomia e maggiore rischio di mortalità.

La VGM consiste in un’ampia gamma di test e misurazioni, svolta da team di specialisti sanitari preparati, che permette di identificare, descrivere e spiegare i problemi del paziente anziano – come le eventuali disabilità e comorbilità – e tenere in conto aspetti caratterizzanti come lo stato cognitivo, psicologico e il ruolo socioeconomico del paziente.

Una volta definite le sue capacità funzionali, lo scopo classico di una VGM è di stabilire la necessità di determinati servizi assistenziali o riabilitativi e sviluppare un piano di trattamento e cura personalizzato per la condizione del paziente che tenga conto delle esigenze specifiche della terza età. Questo solitamente prolunga l’aspettativa di vita del paziente anziano e ne migliora la qualità.

Cosa valutare nel paziente oncologico anziano

Tra gli aspetti indagati in una valutazione geriatrica, molti hanno una grande rilevanza anche per il paziente anziano che si sottopone a cure oncologiche.

Una ridotta autonomia del paziente, tratto comune nei “grandi anziani”, si traduce facilmente in un peggioramento delle complicanze dovute al trattamento antitumorale. Ciò rende importante la valutazione dell’aspetto sociale nell’ambito della VGM: senza adeguato supporto di figure di riferimento, come i familiari, è improbabile che un anziano non del tutto autosufficiente riesca ad affrontare nel migliore dei modi un percorso di cura oncologica. E, allo stesso modo, delle figure di supporto all’anziano possono fornire aiuto psicologico al paziente fragile e fare da raccordo con i professionisti sanitari comunicando con loro per conto del paziente, cosa importante per riportare con sufficiente precisione dati di assunzione delle eventuali altre terapie dovute a comorbilità.

Ugualmente importante è la condizione nutrizionale dell’anziano. La malnutrizione è spesso difficile da individuare a prima vista e negli anziani predispone alla progressiva diminuzione della massa e della forza muscolare, la sarcopenia. La condizione pro-infiammatoria dovuta a molti tipi di tumore, specie se in stato avanzato, è di per sé causa di una condizione simile, la cachessia, e le due condizioni possono sommarsi nell’anziano, con ripercussioni anche gravi. Per questo un’adeguata valutazione geriatrica del paziente oncologico permette di intervenire con un ricondizionamento fisico che fornisca una struttura migliore per sopportare l’impatto delle cure oncologiche.

Altre condizioni comuni nell’anziano che rischiano di peggiorare durante un percorso di cura antitumorale sono l’insonnia e la depressione, e conoscere la situazione dello specifico paziente nella sua interezza consente di intervenire anche su questi aspetti con vantaggio sia per l’aderenza terapeutica che per la qualità della vita.

Perché utilizzare la valutazione geriatrica?

Nell’ambito dell’oncologia geriatrica, la VGM è un utilissimo strumento per guidare le scelte terapeutiche mirate al bene del paziente, inquadrare e valutare la sua risposta alle cure antitumorali e impostare adeguate cure di supporto.

Le terapie di supporto, o cure palliative, sono tutti quei trattamenti che non curano direttamente la malattia neoplastica, ma sono pensati per mitigare le sensazioni dolorose e le condizioni sintomatiche più spiacevoli della malattia, come anche gli effetti collaterali delle cure chemioterapiche o radiologiche.

Tipicamente questi effetti coinvolgono la nausea, l’astenia, i disturbi della minzione e, negli uomini, la disfunzione erettile e pertanto le cure di supporto sono affiancate alle cure antitumorali fin dalla prima diagnosi per migliorare la qualità della vita, l’aderenza terapeutica e la sopravvivenza del paziente oncologico, fino al recupero delle funzionalità dopo la terapia.

Nei casi in cui si sceglie di proseguire con le cure anticancerose, le terapie di supporto includeranno strumenti per contrastare i loro effetti collaterali più spiacevoli.

Ad esempio, va posta una particolare attenzione all’effetto collaterale più noto delle cure antitumorali, la nausea. Nei pazienti oncologici anziani nausea e vomito si presentano con una minor frequenza, ma assumono una gravità maggiore perché possono condurre più facilmente a eccessiva disidratazione e al rischio di insufficienza renale o perdita di peso.

O ancora, l’effetto immunosoppressore di alcune cure antitumorali può invece condurre a uno stato febbrile (neutropenia febbrile) che espone a pericolose infezioni. Il paziente anziano, fragile, rischia di contrarre infezioni di gravità maggiore rispetto a un adulto più giovane. In caso di neutropenia febbrile è quindi necessario agire prontamente somministrando farmaci immunostimolanti.

Un’altra condizione a cui porre attenzione nei pazienti oncologici anziani è la presenza di anemia. Sebbene non sia causata direttamente dall’invecchiamento, è una condizione che con l’avanzare dell’età può diventare più comune e i trattamenti chemioterapici possono aggravarla.

Un effetto negativo che interessa in particolare i pazienti oncologici sottoposti a cure antitumorali a base ormonale è rappresentato dalle alterazioni del metabolismo dei tessuti ossei. Negli anziani è particolarmente rischioso per via dello stato di progressione dell’osteoporosi che viene fortemente aggravato e può portare a gravi fratture.

L’applicazione di tutte le precauzioni e le cure di supporto non si conclude con la remissione del paziente dal percorso di cura antitumorale. Anche i pazienti che hanno sconfitto il cancro tendono infatti a mostrare nel tempo gli effetti collaterali delle cure antitumorali. Nel 2015 circa il 74% dei survivor aveva più di 60 anni e questo dato mostra come la valutazione geriatrica sia uno strumento importante anche per accompagnare i pazienti oncologici guariti dal cancro nel percorso post remissione, migliorando la loro terza età.

BIBLIOGRAFIA

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