Snack dolci e salati, bevande zuccherate, piatti pronti: gli alimenti ultraprocessati vengono consumati in misura sempre maggiore, con rischi per la salute che vanno dalle malattie metaboliche alle demenze

Non solo dannosi per la salute, ma anche in grado di accelerare l’invecchiamento del cervello: stiamo parlando degli alimenti ultra-processati. Torte e merendine confezionate, patatine, bibite, zuppe istantanee, cereali zuccherati, piatti pronti e molti altri alimenti che si trovano nelle corsie dei nostri supermercati sono classificati come ultra-processati, ovvero prodotti alimentari trasformati industrialmente e spesso ricchi di zuccheri, grassi e sale aggiunti. Progettati per essere di pronto consumo, gustosi ed economici, questi cibi rappresentano un enorme cambiamento nella produzione e nella distribuzione degli alimenti e nel corso degli anni hanno contribuito a modificare in maniera significativa le abitudini delle persone, che, soprattutto nei paesi industrializzati, ne consumano quantità sempre maggiori. Ma quali sono gli effetti degli alimenti ultra-processati sulla salute? Mentre le conseguenze del consumo di alcuni sono meglio definite, come il legame tra un consumo eccessivo di bevande zuccherate e insorgenza di malattie metaboliche, non è altrettanto chiaro se vi siano conseguenze dirette anche sul cervello, ad esempio accelerando il declino delle funzioni cognitive.

Quali sono i cibi ultraprocessati

Facciamo prima un passo indietro: vengono definiti processati o ultra-processati tutti quegli alimenti che hanno subito numerose lavorazioni industriali per migliorare la palatabilità e la conservazione nel lungo periodo. Si tratta di formulazioni che contengono pochi o nessun alimento vero e proprio, insieme a sostanze trasformate estratte da altri cibi (come oli, grassi, zuccheri, amidi e proteine ​​isolate), sale, aromi, coloranti, emulsionanti e altri additivi, aggiunti per creare consistenze o sapori altamente gradevoli. Tutti questi ingredienti vengono combinati in modo da ottenere cibi molto appetibili e facilmente conservabili, ma che generalmente non mantengono l’integrità o il contenuto nutrizionale degli alimenti originali e spesso sono ricchi di zuccheri, sale e grassi.
Ma come fare a riconoscere questi cibi?

Come riconoscere gli alimenti ultra-processati

Un metodo abbastanza affidabile per sapere se un alimento confezionato appartiene a questa tipologia di prodotti è quello di valutare l’etichetta degli ingredienti: se la lista è lunga e composta da sostanze difficilmente reperibili e non è riproducibile a livello casalingo, è probabile che l’alimento sia ultra-processato. Inoltre, dobbiamo ricordare che, per legge, l’ordine con cui gli ingredienti appaiono in etichetta è decrescente di quantità (il primo ingrediente dell’elenco è presente in percentuale maggiore del secondo e così via). A livello scientifico e istituzionale, invece, per identificare le diverse tipologie di prodotti generalmente si utilizza la cosiddetta classificazione Nova, riconosciuta dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e utilizzata dal 2010, che distingue i cibi prodotti e distribuiti dall’industria alimentare in diverse categorie, che vanno da quelli freschi o minimamente trasformati (per esempio carne, pesce, frutta e verdura, pasta e pane fresco) a quelli più lavorati (come oli, burro, zucchero, oppure pesce in scatola o pane confezionato), fino ad arrivare agli alimenti ultra-processati. Esempi di questo tipo di cibi sono snack dolci e salati, cereali per la colazione, gelati industriali, bevande zuccherate, carni lavorate, pasti pronti surgelati e molti altri prodotti che normalmente si trovano nei carrelli e nelle case di una buona fetta della popolazione, specie quella dei paesi più industrializzati. In effetti, secondo stime recenti, i cibi ultra-processati rappresentano più della metà delle calorie assunte dai cittadini statunitensi e dai cittadini britannici. Sebbene i numeri italiani siano più confortanti, il consumo di alimenti ultra-processati è elevato anche nel nostro paese: secondo uno studio condotto sulle abitudini alimentari di quasi 25.000 adulti italiani della coorte dello studio clinico MOLI-SANI, seguiti dal 2005 al 2010, quasi il 20% delle calorie giornaliere deriva da cibi ultra-processati.

Gli effetti sulla salute

Nonostante si discuta ancora sulla classificazione Nova, in alcuni casi troppo generica per orientare le scelte dei consumatori, e sugli alimenti ultra-processati in sé (a cui viene spesso data una connotazione negativa, sebbene la lavorazione industriale sia spesso estremamente utile per la corretta conservazione degli alimenti), diversi studi suggeriscono che gli alimenti ultra-processati potrebbero avere conseguenze negative sulla salute di chi li consuma. Tuttavia, mentre è ormai noto che una dieta basata principalmente su alimenti freschi o minimamente lavorati (un aspetto chiave della dieta mediterranea) protegge dalle malattie croniche e da tutte le cause di mortalità, non sono ancora molti gli studi che descrivono gli effetti nocivi di un elevato consumo di alimenti ultra-processati.

Lavori recenti non sembrano indicare un ruolo positivo per questi cibi, tutt’altro: dallo studio MOLI-SANI, per esempio, è emerso che un consumo maggiore di alimenti ultra-processati è associato a un maggiore rischio di mortalità per tutte le cause; nella coorte francese dello studio NutriNet-Santé, che ha seguito oltre 100.000 adulti per dieci anni, i ricercatori hanno trovato associazioni statisticamente significative tra un maggiore consumo di alimenti ultra-processati e un aumento del rischio di cancro e sindrome dell’intestino irritabile, oltre tassi significativamente più elevati di malattie cardiovascolari, malattie coronariche e malattie cerebrovascolari. Inoltre, uno studio brasiliano ha evidenziato che il consumo precoce di alimenti ultra-processati è stato associato a una maggiore incidenza di dislipidemia nei bambini. Insomma, assumere molti alimenti ultra-processati sembra non fare bene alla nostra salute.

Alimenti ultraprocessati e declino cognitivo

Non solo, questi alimenti avrebbero effetti negativi anche sulle capacità cognitive, specie quelle delle persone anziane; nel 2022, infatti, sono stati pubblicati tre diversi studi i cui risultati sembrano andare proprio in questa direzione. Il primo, uno studio trasversale su adulti statunitensi anziani, ha trovato un’associazione tra il consumo di alimenti ultra-processati e una peggiore fluenza verbale, il secondo, che ha seguito per dieci anni oltre 72.000 persone di età pari o superiore a 55 anni nel Regno Unito, indagando l’associazione tra consumo di questi cibi e la demenza, ha trovato che il consumo di cibi ultra-lavorati era correlato con un rischio più elevato di demenza per tutte le cause, demenza vascolare e malattia di Alzheimer. Infine, uno studio dell’Università di San Paolo, in Brasile, condotto su oltre 10.000 persone, ha riscontrato che un consumo di alimenti ultra-processati maggiore del 19,9% delle calorie giornaliere totali era associato a un declino più rapido delle prestazioni cognitive globali e della funzione esecutiva, soprattutto nei partecipanti di età inferiore ai 60 anni, il che, sostengono gli autori, suggerisce l’importanza degli interventi preventivi negli adulti di mezza età.

Ma in che modo questi cibi sarebbero in grado di influire sulle capacità cognitive? Vi sono diverse ipotesi al vaglio della comunità scientifica: da un lato, il declino cognitivo potrebbe essere dovuto a lesioni cerebrovascolari causate all’elevato consumo di cibi ultra-processati, ricchi di zuccheri e grassi (allo stesso modo in cui questi cibi sembrano esporre di più al rischio di malattie cardiovascolari), poiché le funzioni cognitive sono particolarmente sensibili alle lesioni microvascolari. Un altro possibile meccanismo biologico, complementare al precedente, potrebbe essere quello correlato all’infiammazione sistemica causata dal consumo di questi alimenti, poiché un alto livello di molecole che favoriscono l’infiammazione sembrerebbe favorire il declino cognitivo.

Le demenze sono la più importante causa di disabilità nei paesi industrializzati e si stima che la loro prevalenza triplicherà entro il 2050, raggiungendo 153 milioni di casi in tutto il mondo, con un effetto significativo sul carico di malattia delle persone, specie quelle anziane. Tuttavia, i trattamenti per questo tipo di malattie hanno un’efficacia limitata, ecco perché  mettere in atto interventi che possano prevenire o ritardare la loro insorgenza: cambiamenti nello stile di vita come maggiore attività fisica, abitudini alimentari sane e smettere di fumare possono contribuire a prevenire le demenze. In particolare, una dieta che includa cereali integrali, verdura e frutta, noci e pesce e che limiti il consumo di alimenti ultra-processati, soprattutto nelle persone di mezza età, può essere una delle strategie vincenti per aiutare a prevenire il declino cognitivo.

Bibligrafia:

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