Il fegato è la più grande ghiandola del nostro corpo, responsabile di alcuni processi metabolici collegati alla digestione e alla trasformazione degli alimenti, alla difesa dell’organismo e all’eliminazione delle sostanze tossiche.

Di come curarlo e preservarlo in buona salute nel tempo abbiamo parlato diffusamente con Mario Pirisi, professore ordinario di Medicina Interna presso l’Università del Piemonte Orientale. Nato a Nuoro nel 1956, e laureatosi a Sassari con specializzazione in gastroenterologia nel 1985, il professore ha alle spalle un intenso percorso clinico e accademico che l’ha portato prima a Torino, poi a Udine per la ricerca sui trapianti, in seguito in Australia presso l’istituto di immunologia, e infine a Novara, dove risiede da circa 20 anni con la famiglia.

 

Professor Pirisi, quali sono le malattie che colpiscono il fegato più frequentemente?

È la cirrosi la malattia più comune del fegato, che spesso in modo errato viene associata a un eccessivo e ripetuto consumo di alcol. Sappiamo che l’abuso di alcol è una causa importante, ma non è la principale: il primato in questo caso va alle infezioni virali, e fra queste la più frequente è l’epatite C.

Ci sono tuttavia numerose altre cause delle malattie del fegato, e tutte – se non gestite correttamente – portano all’esito finale della cirrosi epatica. A volte in tempi relativamente brevi, ma più frequentemente il processo impiega anni, persino decenni.

Tra le diverse cause troviamo alcune malattie di natura metabolica, che accompagnano condizioni croniche come il diabete, e che danno origine a ciò che chiamiamo fegato grasso. Poi ci sono alcune malattie di tipo immunologico, e altre di natura genetica.

La risposta del fegato è abbastanza simile per tutte queste cause: uno stato infiammatorio che provoca delle lacerazioni, a cui segue la deposizione di materiale fibrotico, cicatriziale. Il fegato cambia struttura, diventa nodoso e coperto di cicatrici, e soprattutto si modifica l’apporto di sangue al fegato.

 

Come si contrae il virus dell’epatite C – attraverso la saliva, l’aerosol, il cibo infetto …?

No, l’unico modo per contrarlo è il contatto con il sangue delle persone infette. Viene definita per questo una ‘malattia parenterale inapparente’. Consideri che il virus fino a 30 anni fa non era stato ancora individuato. La sua scoperta risale al 1989 – prima di quella data, un donatore di sangue su 7 poteva avere il virus dell’epatite C, ma non eravamo in grado di riconoscerlo. Oggi è più facile vincere all’Enalotto che contrarre l’epatite C con una trasfusione!

E la storia dell’epatite C è tra gli sviluppi più fenomenali della medicina del secolo scorso: non solo siamo riusciti finalmente a isolare il virus, ma abbiamo anche scoperto un modo estremamente efficace per curarlo. Oggi l’infezione si cura facilmente, con una probabilità di successo molto alta. La terapia utilizza alcuni farmaci antivirali, che usati in modo combinato danno una probabilità di guarigione quasi certa, intorno al 99%. Il 12 luglio è partita anche in Piemonte la campagna di screening gratuito della popolazione (nata tra il 1969 e il 1989) per l’epatite C, e si rivolge in particolare alle persone più a rischio, coloro che fanno uso di sostanze stupefacenti.

 

Quali effetti ha in generale l’invecchiamento sul nostro fegato e, in particolare, di cosa si ammala il fegato di una persona anziana?

Va ricordato che il fegato ha una sua peculiare circolazione del sangue, una doppia circolazione venosa (come l’ipofisi) chiamata anche ‘circolazione mirabile’. Ecco, con l’avanzare degli anni, nel fegato si riduce la quantità di sangue circolante, e si riduce anche il numero di cellule. Ciononostante, se in buona salute, il fegato conserva intatta negli anni la sua capacità vitale. Capita infatti spesso di trapiantare il fegato di una persona anziana, che continua a funzionare perfettamente.

Quest’organo ha anche una straordinaria capacità di rigenerazione. Ricorda il mito di Prometeo? L’aquila ogni notte gli divora il fegato che di giorno ricresce, procurando così al giovane semidio una sofferenza infinita. Ho letto un articolo molto interessante su questo tema. La domanda posta dagli autori dell’articolo è come facevano gli antichi Greci a conoscere questa caratteristica del fegato. Hanno vagliato varie ipotesi – per esempio che avrebbero potuto osservarlo dalle ferite inferte in battaglia ai soldati, che poi si rimarginavano. Ipotesi da escludere senza ombra di dubbio, perché a quel tempo chi veniva ferito in modo grave, certamente moriva. La risposta degli autori è dunque che gli antichi non potevano saperlo: hanno semplicemente attribuito a Prometeo la capacità divina di rigenerare il fegato, e ci hanno azzeccato!

Venendo alla seconda parte della sua domanda, tutti i processi patologici del fegato che abbiamo visto, quando si manifestano nella persona anziana assumono una forma più severa: l’organo diventa più suscettibile al danno alcolico e cicatrizza maggiormente. Riprendo l’esempio dell’epatite C: negli anni in cui non avevamo ancora i mezzi per curarla, sapevamo che le donne in qualche modo erano protette fino al periodo post menopausa, ma che poi la malattia si sarebbe riacutizzata.

Ci sono poi i tumori del fegato. Se consideriamo le diverse malattie di cui abbiamo parlato, e che provocano continui processi di distruzione e rigenerazione, nel tempo possono dare origine anche a formazioni tumorali. L’epatocarcinoma è un tumore molto aggressivo, il 5°- 6° per frequenza nella popolazione mondiale maschile, e il 3° per letalità. Una delle ragioni è che si tratta di un cancro che attacca un organo già malato, un fegato cirrotico.

 

Una sfida per il futuro, se ho compreso correttamente, sarà dunque scoprire come curare la cirrosi del fegato?

Assolutamente sì, potremmo dire che è come il Santo Graal! Anche se in realtà, in una certa misura, riusciamo anche adesso: la cirrosi non è sempre un processo irreversibile, come si riteneva quando ho iniziato a studiare medicina. Ha una sua dinamicità, evolve nel tempo; tuttavia, resta il fatto che certe fasi del suo sviluppo restano purtroppo irreversibili.

 

Parliamo di cure e di prevenzione. Ci sono novità promettenti su entrambi i fronti?

Iniziamo affermando che abbiamo a disposizione un vaccino estremamente efficace contro l’epatite di tipo B, e che dal 1991 vacciniamo con successo tutta la popolazione. Non è purtroppo disponibile un vaccino per l’epatite C, e non ce n’è uno alle porte, tuttavia disponiamo di una terapia molto efficace, che è gratuita per tutti. In questo caso l’obiettivo non è la guarigione della malattia, bensì il controllo della malattia, minimizzandone gli effetti negativi. La terapia utilizza farmaci antivirali – il cui principio attivo è il sofosbuvir – che in qualche modo “spengono” l’infezione funzionando da inibitori di alcuni pezzi delle proteine virali, e costituiscono un trattamento efficace per quasi tutte le infezioni del fegato.

Dal 2014 in Italia abbiamo trattato circa 230 mila persone con l’epatite C, e di queste circa 110 mila erano affette da cirrosi; vale la pena ricordare che oggi noi siamo perfettamente in grado di guarire l’infezione da epatite C, ma non la cirrosi. Abbiamo poi a disposizione alcuni farmaci più tradizionali, come i cortisonici e gli antinfiammatori.

Per la terapia del fegato grasso ci sono in sviluppo una serie di farmaci, che stiamo già provando in modo combinato in alcuni studi; sono molto promettenti, il problema è il loro costo elevato e la sostenibilità nel tempo da parte del sistema sanitario. Anche la cura dell’epatocarcinoma – che resta una malattia grave, spesso con una prognosi di pochi mesi – si è evoluta negli anni, e oggi abbiamo a disposizione alcune combinazioni di farmaci che tengono sotto controllo i checkpoint immunologici. Però, insieme alla cura, i nostri sforzi devono essere indirizzati a sensibilizzare la popolazione affinché non si arrivi a queste forme estreme della malattia, adottando una serie di comportamenti corretti in grado di prevenirla.

Sul fronte della prevenzione, oggi è sempre più evidente l’importanza della dieta per la salute della persona in generale, e di conseguenza del fegato. Oltre alla qualità degli alimenti, e alla loro composizione, la moderazione è un elemento cruciale, che personalmente considero una regola di vita da applicare non solo nel nostro rapporto con il cibo.

Le faccio un esempio. Io ho superato da poco i 65 anni, e mentre finora ero autorizzato a consumare fino a due drinks alcolici al giorno, ora posso consumarne solo uno, che è la quantità concessa alle donne e indifferentemente dall’età. Nelle persone anziane il problema dell’eccessivo consumo di alcol è piuttosto rilevante, ed è spesso imputabile ad altri fattori, come la solitudine e la depressione. In generale, una raccomandazione utile potrebbe essere quella di bere meno, ma di maggior qualità. Saremmo più in grado di apprezzare gli aspetti positivi dei vini dei nostri territori, essendo in qualche modo ‘costretti’ a bere poco. Va anche detto che ogni tanto un’eccezione alla regola è ammessa, e può essere anche piacevole. Ma di norma dobbiamo cercare di mantenere il peso corporeo vicino al peso ideale, consumando tutti i gruppi alimentari con il giusto apporto calorico.

 

Un’ultima domanda professore. Quali sono le condizioni che rendono inevitabile il trapianto?

Un tempo si ricorreva al trapianto quasi esclusivamente in presenza di un epatocarcinoma, oggi sappiamo che alcune forme di epatite possono guarire grazie al trapianto, con il paziente che nella maggior parte dei casi ha un decorso post operatorio molto rapido ed estremamente positivo.

Desidero ricordare che il fegato è un organo molto particolare da un punto di vista immunologico – potrei dire che in qualche modo è privilegiato – ed è quindi molto più semplice controllare il rigetto in un trapianto di fegato che non, per esempio, di rene.

 

A cura di Patrizia Salvaterra

Fonti:

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