Quando invecchiamo, affrontiamo un inevitabile processo di indebolimento fisico. La composizione corporea subisce alterazioni in termini di distribuzione della massa magra e grassa, si indeboliscono le nostre ossa e si riduce anche la massa muscolare. Oltre a certi limiti questi processi diventano vere e proprie patologie debilitanti, prendendo il nome di osteoporosi e di sarcopenia. Con il progetto MODESTHE, UPO sta indagando i meccanismi che causano queste condizioni tipiche della terza età e quali siano le strategie per rallentarne l’insorgenza. Intervistiamo in merito al loro lavoro la prof.ssa Nicoletta Filigheddu e il prof. Claudio Molinari.

Il vostro progetto studia la sarcopenia e l’osteoporosi. Di che cosa stiamo parlando?

La sarcopenia è la perdita di massa muscolare, accompagnata da un deterioramento della funzionalità motoria. Non è semplice tracciare un limite netto tra naturale effetto dell’invecchiamento e vera e propria patologia, ma certamente oltre certi limiti sorgono delle forti limitazioni alla motilità e alla deambulazione che costringono l’anziano all’immobilità. Questo instaura un preoccupante circolo vizioso: il ridotto utilizzo della muscolatura causa un ulteriore peggioramento del suo tono generale che non viene più recuperato.

L’osteoporosi è invece una perdita di massa ossea, che mina la solidità del nostro scheletro e ci espone al rischio di pericolose fratture. L’abbiamo inclusa nel progetto MODESTHE, afferma la dott.ssa Filigheddu, perché osso, muscolo e grasso sono tessuti che “comunicano tra di loro” tramite l’interazione meccanica e alcune proteine rilasciate dal muscolo che agiscono sull’osso regolandone la fisiologia.

Quindi sarcopenia e osteoporosi sono fenomeni collegati. Se da un lato è una complicazione, dall’altro è una risorsa per la ricerca e la clinica: significa che frenare una di queste condizioni probabilmente permette di mitigare anche l’altra.

Quali sono gli obiettivi tattici del progetto MODESTHE, nella lotta a sarcopenia e osteoporosi?

Nel nostro passato recente, continua la dott.ssa Filigheddu, c’è un bel lavoro sulla ghrelina, “l’ormone della fame” che aumenta quando siamo a digiuno.

La ghrelina esiste in due forme, definite acilata e deacilata in base alla presenza o all’assenza di un gruppo chimico che ne modifica l’attività. Delle due è la forma acilata a indurre l’appetito ed è stata molto studiata dalla comunità scientifica come possibile trattamento della sarcopenia.Noi abbiamo scelto di studiare il suo “parente povero”, la ghrelina deacilata, che non ha avuto la stessa attenzione. La ghrelina deacilata lega un recettore diverso da quella acilata (ancora non identificato) e mostra di avere effetti simili sul muscolo ma senza indurre l’appetito. Questo è un vantaggio perché significa che non aumenta il rischio di sviluppare né obesità, né diabete.

I livelli di questi ormoni diminuiscono all’avanzare dell’età. Ciò che abbiamo scoperto è che la ghrelina deacilata è in grado di ripristinare massa e funzionalità muscolare in un modello animale di sarcopenia, anche quando questa massa è già stata persa. La sfida, ora, è ideare strategie di cura e modi di somministrazione al paziente, cosa per la quale ci serviranno delle collaborazioni mirate.

Sempre parlando di ormoni, la nostra attenzione è ora concentrata sulla vitamina D, argomento interessante ma complesso.

Da tempo è noto un legame tra livelli di vitamina D, massa e funzionalità dei muscoli, nel senso che bassi livelli di vitamina D sono spesso associati alla perdita di massa muscolare come accade anche in alcune forme tumorali. L’idea che dare vitamina D permetta di recuperare massa muscolare è valida, ma solo in alcuni casi. Ora è indispensabile comprendere perché questa supplementazione non ha lo stesso effetto per tutti i pazienti.

Gli studi che abbiamo condotto negli ultimi anni ci suggeriscono che potrebbe essere un effetto della forma di somministrazione. La vitamina D viene data al paziente come precursore, che poi viene processato dall’organismo in diversi metaboliti. Questi metaboliti potrebbero avere effetti opposti sul muscolo scheletrico, alcuni protettivi e altri dannosi. L’effetto globale sarebbe quindi dovuto al bilanciamento complessivo di questi metaboliti.

Non è chiaro se tutti questi metaboliti agiscano grazie al recettore attualmente noto della vitamina D – i cui livelli, ancora una volta, decrescono con l’età – né se questo sia effettivamente l’unico recettore capace di rispondere alla vitamina D. Queste sono alcune delle domande aperte cui la ricerca dovrà dare risposta.

La vostra ricerca si focalizza solamente sullo sviluppo di terapie ormonali contro la sarcopenia?

No, conduciamo anche delle ricerche per isolare e caratterizzare principi di origine vegetale che siano possibili farmaci o integratori, capaci di prevenire o quantomeno rallentare l’insorgenza di sarcopenia e osteoporosi.

Questa linea di ricerca è iniziata attingendo alla tradizione novarese: ci siamo rivolti a un esperto di antropologia culturale, il professor Davide Porporato, per chiedergli se ci fossero delle piante utilizzate nella cultura popolare come adiuvanti per dare energia alle persone anziane – qualcosa che avesse attinenza con il mantenimento della funzionalità muscolare – e lui ci ha consigliato l’Equiseto.

Quindi stiamo studiando principalmente l’efficacia di estratti titolati di equiseto nel prevenire la perdita di massa muscolare, in collaborazione anche con l’università di Perugia. Al momento sono in corso studi in vitro su colture cellulari muscolari di topo e da poco su cellule di pazienti anziani sarcopenici.

In cosa consiste la ricerca sui fitofarmaci?

La popolazione, spiega il prof. Molinari, ha usato per secoli erbe medicinali basandosi su osservazioni empiriche ed esperienziali, cioè prove ed errori. Ora si studiano i meccanismi molecolari alla base dei principi attivi vegetali e spesso esistono realmente. È interessante notare come si sia riusciti a giungere a conoscenze di questo tipo prima del metodo scientifico e sperimentale.

Ora sappiamo che le cellule hanno una serie di vie metaboliche assolutamente condivise e coinvolte in tutti i processi vitali come l’apoptosi – la morte programmata della cellula, che esiste in ogni tessuto. Nel muscolo, nel fegato, nel cervello… – l’infiammazione, la riproduzione, la sopravvivenza, l’autofagia. Si studiano i meccanismi di queste vie in relazione, volta per volta, alla patologia di interesse per capire se possiamo intervenire in qualche modo per curarla o prevenirla.

Il nostro interesse ora è capire se alcuni principi naturali di origine vegetale usati nella medicina popolare possano avere un ruolo nel mitigare il decorso di sarcopenia e osteoporosi. Al momento, infatti, non è all’orizzonte alcuna “cura definitiva”: riteniamo che la possibilità più realistica a nostra disposizione sia rallentare l’insorgenza di queste condizioni con la prevenzione e l’integrazione alimentare.

Questo genere di studi si inscrive in un processo generale di estrazione di sapere medico tradizionale che dall’Erboristeria, che è una conoscenza empirica, progredisce nella Fitoterapia, nella quale il principio attivo coinvolto è noto, e poi nella vera e propria Farmacologia quando il principio attivo è stato isolato, caratterizzato e viene prodotto come integratore per somministrarlo in modalità standard e con esiti controllati.

In che direzione va la ricerca fitoterapica contro la sarcopenia e l’osteoporosi?

La rete di ricerca con cui collaboriamo si sta interessando dell’Artemisia, per i suoi effetti antiinfiammatori e antiossidanti a livello del muscolo, e della Curcuma. Questa pianta contiene una sostanza detta curcumina, un analogo della vitamina D. La vitamina D è un ormone che non si limita a regolare il metabolismo del calcio, come si pensava un tempo, ma controlla l’attività di circa 200 geni. Un effetto enorme! La curcumina mima questo effetto, con azione protettiva contro la sarcopenia. È anche un buon agente neuroprotettivo: le popolazioni dell’India ne mangiano molta nel curry e sviluppano pochissimi casi di Alzheimer e Parkinson.

La pianta che stiamo invece studiando noi, alla ricerca di effetti protettivi contro la sarcopenia, è l’Equiseto, noto dai tempi dei romani come trattamento di emorragie, ferite, ulcere, tubercolosi e problemi renali. La riteniamo interessante anche per il suo contenuto in silicati, integratori che rinforzano la massa ossea.

Un integratore, per sua natura integra. Non cura quando un’offesa alla struttura muscolare è già in atto. In uno sportivo che deve star fermo per un infortunio la massa muscolare si riduce e si fa molta fatica a recuperarla. Nell’anziano è addirittura impossibile, e questo insegna un’importante lezione: l’invecchiamento non è evitabile ma lo si può preparare fin da giovani.

Lo si può fare seguendo stili di vita sani, in particolar modo dalla maturità. Oltre all’attività fisica e all’alimentazione si può guidare meglio il proprio invecchiamento con dei buoni integratori. Un problema deriva dal successo nello studio degli integratori: più passa il tempo più sono potenti perché purificati (come il resveratrolo e la curcumina) e sono quindi dei “quasi farmaci”, sempre però liberamente vendibili. Andrebbero a mio avviso vincolati al consiglio di uno specialista.

Articoli Correlati


Iscriviti alla Newsletter

* Richiesti

Scegli la newsletter

Consenso all’utilizzo dei datiAging Project userà le informazioni che fornisci al solo scopo di inviarti la newsletter richiesta.

Puoi annullare l'iscrizione in qualsiasi momento cliccando sul link che trovi nel footer dell'email. Per informazioni sulla Privacy Policy clicca qui.

Cliccando su "Acconsenti", accetti anche che le tue informazioni saiano trasferite a Mailchimp per l'elaborazione. Ulteriori informazioni sulle privacy di Mailchimp qui