Se vivere più a lungo non significa necessariamente invecchiare in salute, un corretto stile di vita può essere un valido alleato per prevenire le patologie correlate all’invecchiamento. In particolare, da alcuni anni l’attenzione dei ricercatori (e non solo) si è concentrata sulle cosiddette diete anti-età, in particolare quelle basate sulla restrizione calorica. Può un cambiamento della dieta avere un impatto sullo sviluppo delle malattie legate all’età e addirittura sull’invecchiamento stesso? Quali sono le basi scientifiche dietro al principio della restrizione calorica?

Il menù delle diete anti-invecchiamento

Quando ci si approccia al tema dei regimi alimentari anti-età ci si ritrova in un dedalo di acronimi inglesi che riassumono le diverse tipologie di intervento. Per semplificare, il menù dei regimi alimentari definiti anti-età propone diete ipocaloriche, con una riduzione dell’introito calorico dal 20 al 50%, oppure isocaloriche, con un contenuto di calorie paragonabile a una dieta tradizionale ma con ridotto apporto di specifici nutrienti o con particolari tempistiche dei pasti.

Tra le diete più sperimentate troviamo:

  • restrizione calorica, con o senza ridotto contenuto proteico;
  • dieta mima-digiuno: cicli di restrizione calorica in cui 3 o 4 giorni di dieta ipocalorica si alternano ad altrettanti cicli di dieta libera;
  • dieta chetogenica: dieta povera di carboidrati dove i grassi forniscono circa il 75% delle calorie giornaliere. Serve per favorire il processo di chetogenesi, ovvero di produzione di sostanze (i chetoni) che vengono utilizzate dalle cellule come carburante in alternativa al glucosio;
  • digiuno intermittente: regime alimentare in cui si alternano giorni di digiuno quasi totale a giorni di alimentazione normale;
  • alimentazione limitata nel tempo: i pasti vengono concentrati tutti in una specifica fascia oraria, per esempio saltando la colazione e mangiando solo in una specifica fascia oraria, per poi digiunare per 16 ore consecutive.

 

La restrizione calorica

Vari studi su modelli animali, dal moscerino della frutta ai topi, fino a mammiferi più simili all’essere umano come i primati, hanno dimostrato che la restrizione calorica non solo aumenta l’aspettativa di vita, ma ha anche un impatto positivo sulla salute dell’animale e sembra rallentare il processo di deterioramento fisico che caratterizza l’invecchiamento.

Esiste una vera e propria correlazione inversa tra l’apporto di calorie e la longevità, che appare tanto più forte quanto più precocemente si inizia a seguire una dieta a basso contenuto calorico. I ricercatori hanno poi cercato di riprodurre le stesse condizioni sperimentali sugli esseri umani, che hanno portato a risultati promettenti, nonostante le numerose difficoltà dovute alla scarsa aderenza dei soggetti al regime alimentare. Attenzione però: la restrizione calorica può essere definita come una riduzione dell’introito calorico rispetto a una dieta libera, ma va mantenuto un apporto di nutrienti adeguato e bilanciato.

Non è quindi sinonimo di denutrizione né di malnutrizione.

 

Una lezione di storia e una di geografia

Può sembrare un riferimento azzardato, ma le due guerre mondiali hanno rappresentato un’occasione per studiare, involontariamente e a proprie spese, gli effetti della restrizione calorica. Nel 1917 la popolazione danese fu costretta a ridurre il consumo di cibo per due anni, ma le politiche governative furono lungimiranti nel pianificare attentamente gli approvvigionamenti per garantire ai propri cittadini un’alimentazione con un contenuto adeguato di cereali integrali, latte e verdure. Il risultato fu sorprendente: il tasso medio di mortalità fu ridotto del 34%.

La stessa situazione fu sperimentata in Norvegia tra il 1941 e il 1945. Anche in questo caso, una restrizione calorica del 20% per quasi quattro anni in assenza di malnutrizione comportò una riduzione della mortalità del 30% rispetto ai livelli precedenti il conflitto bellico.

Spostiamoci ora nel Giappone dei giorni nostri, in particolare sull’isola di Okinawa, famosa per i compleanni festeggiati da molti suoi abitanti. Si stima infatti che gli ultracentenari siano quasi cinque volte più numerosi che in qualsiasi altro Paese industrializzato (circa 50 ogni 100.000 persone) e che la mortalità dovuta a malattie cardiovascolari e ai tumori sia notevolmente inferiore anche rispetto allo stesso Giappone. La causa di questa longevità in salute sembra risiedere proprio nella dieta degli isolani, tendenzialmente ipocalorica e con un ridotto contenuto di proteine, basata prevalentemente su prodotti vegetali, pesce e soia.

 

Un po’ di scienza

Resta ora da comprendere la ragione alla base degli effetti della dieta sull’invecchiamento. Dai risultati degli studi sugli animali e sugli esseri umani sembra che la restrizione calorica, oltre a ridurre la massa grassa, alteri il metabolismo del tessuto adiposo, aumentando la produzione di adiponectina, una molecola anti-infiammatoria, e riducendo quella di leptina, pro-infiammatoria e stimolante l’appetito. È inoltre in grado di regolare la produzione e la risposta ormonale, per esempio migliorando la risposta delle cellule all’insulina.

Tutti questi effetti riducono notevolmente il rischio di patologie cardiovascolari e metaboliche, verosimilmente attraverso l’attivazione di alcune “vie di longevità” all’interno delle cellule: la riparazione dei danni al DNA, l’attività antiossidante e anti-infiammatoria, una migliore efficienza del metabolismo energetico, la funzione delle cellule staminali e l’autofagia, un paradossale fenomeno di auto-cannibalismo cellulare molto utile per eliminare componenti vecchi o danneggiati e “fare pulizia” all’interno della cellula.

Questa spiegazione è tuttavia piuttosto riduttiva. Quando infatti si è tentato di mimare l’effetto della dieta ipocalorica attraverso alcuni farmaci capaci di agire proprio su queste vie, i risultati sull’aspettativa di vita sono stati in gran parte deludenti, suggerendo che molto probabilmente sono molti altri i meccanismi alla base di questi processi biologici, per il momento ancora sconosciuti.

 

I pro e i contro

Occorre fare attenzione ad alcuni dettagli che potrebbero condurre chi è meno informato ad una cattiva interpretazione.

In primo luogo, le modalità con cui le ricerche vengono condotte sono molto diverse se i soggetti in studio sono animali di laboratorio o esseri umani. Nel primo caso è molto più semplice controllare la dieta del gruppo sperimentale, ma allo stesso tempo può risultare più difficile attenersi a specifici protocolli. Ad esempio, per assicurarsi che l’apporto calorico dei topi sia ridotto, spesso i ricercatori sono costretti a privarli del cibo per alcune ore, altrimenti i roditori affamati divorerebbero rapidamente tutto ciò che viene loro offerto e continuerebbero a oltranza per compensare la restrizione alimentare delle ore precedenti. Spesso quindi la linea di demarcazione tra digiuno intermittente isocalorico e dieta ipocalorica è molto sottile e impedisce di comprendere appieno se gli effetti sull’invecchiamento siano effettivamente dovuti al ridotto apporto di calorie o alle ore di digiuno.

Un altro aspetto da considerare è se i vantaggi di una dieta ipocalorica siano dovuti a meccanismi che agiscono in modo specifico sul complesso processo di invecchiamento oppure semplicemente all’effetto anti-obesità. I risultati degli studi su esseri umani possono trarre in inganno. Per esempio, l’ambizioso progetto CALERIE 1, che ha ottenuto buoni risultati su esseri umani dopo sei mesi di bilancio energetico negativo, si è inizialmente rivolto a soggetti adulti sovrappeso. In altre parole, si vive di più perché non si è né obesi né sovrappeso, con tutti i vantaggi sulla salute che il ciò comporta, o perché mangiando meno si riesce ad intervenire sul deterioramento fisico che caratterizza l’invecchiamento? Sarete delusi di sapere che purtroppo non c’è ancora una risposta. Gli studi svolti finora sull’uomo non sono durati abbastanza a lungo per tentare di risolvere questa importante questione.

Per togliere il medico di torno dovremo dunque davvero mangiare solo una mela al giorno?

Certamente no, e soprattutto no alle diete fai-da-te. Vari studi hanno infatti dimostrato che la restrizione calorica, se portata all’estremo, comporta vari rischi per la salute, quali un apporto sbilanciato di nutrienti, stanchezza cronica, anemia, ridotta densità ossea e perfino effetti negativi sull’umore. Inoltre, non è ancora chiaro quale sia l’introito calorico ideale per restare in salute e per invecchiare in salute, anche perché questo potrebbe essere più soggettivo del previsto e influenzato da variabili quali il patrimonio genetico di ciascun individuo.

Sono molti i dubbi ancora irrisolti sul rapporto tra dieta e longevità, come i diversi benefici di un’alimentazione ipocalorica o del digiuno vero e proprio, il ruolo di specifici macronutrienti come le proteine nel processo di invecchiamento, o l’effettiva applicabilità di una dieta restrittiva in un mondo consumista dove la disponibilità di cibo è pressoché illimitata e a volte addirittura eccessiva. Ciononostante, gli studi condotti sinora hanno permesso di iniziare a comprendere la complessa relazione tra alimentazione, salute e aspettativa di vita, anche dal punto di vista prettamente scientifico, aprendo la strada a prospettive di ricerca futura allo scopo di studiare non una formula anti-età, ma una formula di sana longevità.

A cura di Chiara Puricelli

 

Riferimenti bibliografici

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