È luogo comune considerare il disturbo ADHD (Sindrome da Deficit di Attenzione e Iperattività) una patologia caratteristica soltanto dell’età pediatrica. In realtà questo disturbo persiste per tutto l’arco di vita, cambiando espressione clinica a seconda della fase evolutiva. Purtroppo l’ADHD in Italia è una patologia ancora poco diagnosticata negli adulti e di conseguenza poco trattata, sebbene interferisca negativamente con stili di vita minando le possibilità di un invecchiamento sano e longevo.

Come riconoscere il disturbo

L’ADHD è di per sé complicato da diagnosticare, tanto in età infantile quanto in età adulta, e ancora di più nella terza età se il disturbo non è stato rilevato clinicamente in precedenza. L’ADHD, infatti, può confondersi con altre patologie e spesso presenta un quadro complesso di comorbilità. 

Caratteristica fondamentale dell’ADHD è il persistente pattern di disattenzione e/o impulsività. Nel bambino la disattenzione può manifestarsi a livello comportamentale in molti modi: difficoltà a mantenere attenzione a lungo su un gioco o su un compito assegnato, difficoltà a gestire il tempo, apparente incapacità di ascolto, divagazione da un compito che richiede impegno cognitivo. 

L’impulsività o iperattività si riferisce, invece, a un’incontenibile attività motoria: il bambino ha difficoltà a stare fermo sulla sedia, muove continuamente le mani o i piedi, ad esempio. 

I comportamenti impulsivi, più marcati nell’ infanzia, tendono in adolescenza e in età adulta a stemperarsi molto. Crescendo l’impulsività viene introiettata e può manifestarsi in loquacità o vera e propria logorrea. 

L’età adulta e l’impatto sugli stili di vita

Se in età infantile l’ADHD può essere confuso con il disturbo dello spettro autistico (anche i bambini autistici risultano spesso iperattivi e con tempi di attenzione brevissimi), in età adulta il quadro clinico è reso più complicato se il disturbo – di origine genetica – non è stato correttamente diagnosticato e trattato. Alcune stime indicano che il 50-66% dei pazienti pediatrici, se non adeguatamente trattati, mantiene il disturbo in età adulta. 

L’ADHD va a braccetto con disturbi specifici dell’apprendimento (quasi il 40% delle persone con ADHD hanno importanti difficoltà di lettura e scrittura) e con la disregolazione emotiva: per questo tra le comorbidità più frequenti in adolescenti e adulti vi sono depressione e disturbi d’ansia. 

Non solo. Problemi di dipendenze da alcool e sostanze – il tabagismo riguarda il 40% dei soggetti – e disturbi di alimentazione sono molto frequenti. Inoltre, dato che cibi ad alto indice glicemico hanno un potere compensativo sulle frustrazioni e migliorano le prestazioni attentive, sono tutt’altro che rari problemi cardiovascolari, diabete, anoressie e bulimie con associato disturbo dell’immagine corporea.

L’ADHD nell’adulto è, dunque, una patologia differente rispetto all’ADHD nel bambino e nell’adolescente, con conseguenze significative sulla salute e sugli stili di vita che impattano sull’invecchiamento.

I risultati di un recente studio (Barkley e Fisher2019) hanno mostrato che l’ADHD persistente lungo l’arco di esistenza riduce l’aspettativa di vita di circa 12 anni. Le ragioni sono molteplici e di certo legate allo stile di vita disordinato, dipendenze da alcool e sigarette come abbiamo detto, ma anche la disattenzione, che in età avanzata aumenta le probabilità di incidenti domestici. 

L’ADHD nell’anziano

Sebbene sia correlato a disturbi specifIci dell’apprendimento, l’ADHD non comporta necessariamente un basso quoziente intellettivo (QI), anzi, spesso le persone ADHD con medio-alto QI in età lavorativa, grazie a opportune strategie di adattamento, riescono a mascherare bene il loro disturbo e risultare dinamici e creativi. Ma quando arriva il momento di andare in pensione, il disturbo può irrompere e manifestarsi attraverso un apparente declino cognitivo, che è facile attribuire all’insorgere improvviso di una demenza. Niente di più errato. Tra ADHD e demenza – affermano gli esperti – non vi è correlazione. 

Diverse manifestazioni comportamentali possono, tuttavia, confondere le due patologie: la difficoltà nella gestione del tempo, ad esempio, porta la persona anziana a un’inattività o iperattività inconcludente e dispersiva. Inoltre, la disregolazione emotiva, tipica nell’ADHD, può rendere l’anziano eccessivamente irritabile, con scatti di rabbia immotivati e repentini cambi di umore. 

La conseguenza, su un medio o lungo periodo, è l’isolamento della persona, che a sua volta non può che peggiorare il quadro di salute generale. 

Trattamenti psicologici e farmacologici

I trattamenti psicologici per l’ADHD nell’adulto sono di diverso tipo e puntano a migliorare i comportamenti disfunzionali e accrescere l’autostima. L’intervento psicoterapico che sembra portare maggiori benefici agli adulti ADHD è la terapia cognitivo comportamentale, che mira a modificare i pensieri e i comportamenti negativi che rinforzano gli effetti dannosi del disturbo, insegnando alle persone tecniche di controllo sui sintomi principali.

Come indicano alcuni studi, le terapie psicologiche possono avere una maggiore efficacia quando sono associate a mirate terapie farmacologiche: e qui tocchiamo un punto dolente.

Gli studi sulle terapie farmacologiche negli adulti ADHD sono ancora pochi e la mancanza di solide prove di efficacia non ha ancora reso possibile la prescrizione in Italia di alcuni farmaci utilizzati per i bambini anche negli adulti, se non in modalità off-label. Ciò comporta che possono essere prescritti soltanto sotto la responsabilità del medico dopo il consenso informato del paziente. 

Questa situazione è evidentemente frutto della passata ed erronea convinzione che l’ADHD colpisca solo bambini e giovanissimi e che regredisca da sé. 

Cambiamento degli stili di vita

A fronte di questo quadro, di certo poco consolante, la migliore terapia per l’ADHD nella terza età è senza dubbio quella di intraprendere un vero e proprio cambiamento degli stili di vita. Primo obiettivo è regolare le ore del sonno. Poi, compiere esercizi fisici: il moto sembra avere un impatto molto positivo. E, in ultimo, ovviamente, una dieta sana

I trattamenti nell’anziano sono finalizzati a mantenere una discreta salute psico-fisica sia attraverso la regolarizzazione dello stile di vita, sia attraverso il raggiungimento di un livello accettabile di autostima personale che consenta una corretta gestione del tempo, del denaro e delle relazioni interpersonali. 

La vicinanza di familiari e l’assistenza di caregiver diviene quindi fondamentale,  così come l’integrazione multidisciplinare di psichiatri, psicologi, geriatri, medici di medicina generale e assistenti socio-sanitari nell’indicare trattamenti e strategie di sostegno personalizzati.  

 

A cura di Emiliano Loria

 

Fonti

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